Summa Teologica - I |
In 2 Sent., d. 35, q. 1, a. 1; De Malo, q. 1, a. 4
Pare che il male non sia adeguatamente diviso in pena e colpa.
1. Ogni difetto è un male.
Ma in tutte le creature c'è il difetto di non poter conservare la propria esistenza, difetto che tuttavia non è una pena né una colpa.
Quindi il male non è adeguatamente diviso in pena e colpa.
2. Negli esseri irrazionali non esiste né pena né colpa.
Tuttavia si riscontrano in essi la disgregazione e i difetti, che rientrano nel concetto di male.
Quindi non ogni male è una pena o una colpa.
3. La tentazione è un male.
Tuttavia non è una colpa poiché, come dice la Glossa [ ord. su 2 Cor 12,7 ], « la tentazione alla quale non si acconsente non è peccato, ma è materia per l'esercizio della virtù ».
E neppure è una pena, poiché la tentazione precede la colpa, mentre la pena la segue.
Quindi la divisione del male in pena e colpa è inadeguata.
Pare che la divisione sia invece superflua.
Come infatti osserva S. Agostino [ Enchir. 12 ], il male viene così detto « perché nuoce ».
Ma ciò che nuoce è una penalità.
Quindi ogni male viene già abbracciato dal termine pena.
Il male, si disse [ a. 3 ], è privazione di bene, il quale ultimo consiste principalmente ed essenzialmente nella perfezione e nell'atto.
L'atto poi è di due specie: atto primo e atto secondo.
L'atto primo è la forma stessa e l'integrità di una cosa, mentre l'atto secondo ne è l'operazione.
Quindi il male può verificarsi in due modi.
Primo, per una sottrazione della forma o di qualche parte richiesta all'integrità della cosa: e così è un male la cecità, oppure la privazione di un membro.
Secondo, per una carenza della debita operazione: o perché questa non si ha affatto, oppure perché manca del debito modo e del debito ordine.
Ma poiché il bene in senso pieno e assoluto è oggetto della volontà, il male, che è privazione di bene, si trova in una maniera tutta particolare nelle creature razionali dotate di volontà.
Il male quindi che si verifica per una sottrazione della forma o dell'integrità di una cosa riveste il carattere di pena; specialmente se supponiamo che tutto è sottoposto alla provvidenza e alla giustizia di Dio, come sopra [ q. 22, a. 2 ] abbiamo spiegato: rientra infatti nel concetto di pena il fatto di essere contraria alla volontà.
Il male invece che consiste nella carenza della debita operazione, trattandosi di azioni volontarie, riveste il carattere di colpa.
Infatti a uno imputiamo come colpa il non raggiungere la perfezione di un atto del quale secondo la volontà è arbitro.
Così dunque ogni male, nelle cose che hanno attinenza con la volontà, o è una pena o è una colpa.
1. Essendo il male una privazione di bene e non una pura negazione, come si è detto [ a. 3 ], non ogni carenza di bene è un male, ma solo la carenza di quel bene che una cosa per natura dovrebbe avere.
Infatti la mancanza della vista non è un male nella pietra, ma nell'animale: poiché è contro il concetto stesso di pietra avere la vista.
Ugualmente è contro il concetto stesso di creatura conservarsi nell'essere da se stessa: poiché può conservare l'essere soltanto chi lo dà.
Quindi questo difetto non è un male per la creatura.
2. La pena e la colpa sono divisioni soltanto del male che riguarda la volontà.
3. La tentazione, come provocazione al male, è sempre una colpa per chi tenta.
Ma per chi viene tentato propriamente non lo è, a meno che non ne resti in qualche modo turbato: infatti in questo caso l'azione dell'agente viene a trovarsi nel soggetto paziente.
Quindi nella misura in cui il tentato si lascia trascinare al male dal tentatore, cade nella colpa.
4. [ S. c. ]. Quanto all'argomento in contrario osserviamo che nel concetto di pena abbiamo una menomazione diretta del soggetto che agisce, mentre nel concetto di colpa troviamo una menomazione dello stesso soggetto nella sua operazione.
E così l'uno e l'altro concetto vengono abbracciati da quello di male, che appunto si presenta come una menomazione o danno.
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