Summa Teologica - I |
Infra, q. 103, a. 5; In 1 Sent., d. 39, q. 2, a. 2; C. G., III, cc. 1, 64, 75, 94; De Verit., q. 5, aa. 2 sqq.; Comp. Theol., cc. 123, 130, 132; De Angelis, cc. 13, 14, 15; In Div. Nom., c. 3, lect. 1
Pare che non tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza.
1. Tutto ciò che è predisposto non è fortuito.
Se dunque tutte le cose sono state predisposte da Dio, nulla vi sarà di fortuito: e così scompaiono il caso e la fortuna.
Il che è contro l'opinione comune.
2. Ogni saggio provveditore elimina più che può le deficienze e i mali dalle cose di cui ha la cura.
Ma noi vediamo che nelle cose ci sono tanti mali.
Quindi o Dio non può impedirli, e allora non è onnipotente, oppure non ha cura di tutte le cose.
3. Ciò che accade per necessità non richiede provvidenza o prudenza.
Da cui l'affermazione del Filosofo [ Ethic. 6,5 ] che la prudenza « è la saggia disposizione delle cose contingenti per le quali vi è deliberazione e scelta ».
Ora, siccome molte cose avvengono per necessità, non tutto è soggetto alla divina provvidenza.
4. Chi è abbandonato a se stesso non soggiace alla provvidenza di alcun governante.
Ma gli uomini sono da Dio abbandonati a se stessi, secondo quanto è scritto [ Sir 15,14 ]: « Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere »; e in modo speciale i malvagi [ Sal 81,13 ]: « L'ho abbandonato alla durezza del suo cuore ».
Quindi non tutte le cose sono soggette alla divina provvidenza.
5. L'Apostolo [ 1 Cor 9,9 ] scrive che « Dio non si dà pensiero dei buoi », e per lo stesso motivo neppure di tutte le altre creature irrazionali.
Quindi non tutte le cose sono soggette alla provvidenza di Dio.
Nella Sacra Scrittura [ Sap 8,1Vg ] leggiamo a proposito della divina sapienza: « Si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa ».
Alcuni negarono totalmente la provvidenza, come Democrito e gli Epicurei, i quali affermarono che il mondo è produzione del caso.
Altri invece dissero che soltanto gli esseri incorruttibili dipendono dalla provvidenza, mentre quelli corruttibili [ ne dipenderebbero ] non quanto agli individui, ma quanto alle specie, poiché sotto questo aspetto sono incorruttibili.
E in persona di costoro così parlano gli amici di Giobbe [ Gb 22,14 ]: « Le nubi gli fanno velo e non vede; sulla volta dei cieli egli passeggia e non si occupa delle cose nostre ».
Tuttavia da questa condizione degli esseri corruttibili Mosè Maimonide [ Dux neutr. 3,17 ] eccettuò gli uomini, per lo splendore dell'intelligenza che essi partecipano; quanto agli altri individui corruttibili seguì invece l'opinione degli altri filosofi.
È necessario dire invece che tutte le cose, non solo considerate in generale, ma anche individualmente, sottostanno alla divina provvidenza.
Eccone la dimostrazione.
Siccome ogni agente opera per un fine, tanto si estende l'ordinamento degli effetti al fine quanto si estende la causalità del primo agente.
Se infatti nell'operare di qualche agente accade che qualcosa avvenga al di fuori dell'ordinamento al fine, il motivo è che tale effetto deriva da qualche altra causa estranea all'intenzione dell'agente.
Ora la causalità di Dio, il quale è l'agente primo, si estende a tutti gli esseri non solo quanto ai princìpi della specie, ma anche quanto ai princìpi individuali, sia delle cose incorruttibili, sia delle cose corruttibili.
È quindi necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l'essere sia da Dio ordinato al suo fine, secondo il detto dell'Apostolo [ Rm 13,1 ]: « Ciò che è da Dio, è ordinato ».
Siccome dunque la provvidenza di Dio non è altro che l'ordinamento delle cose verso il loro fine, come è già stato detto [ a. prec. ], è necessario che tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza nella misura della loro partecipazione all'essere.
Bisogna anche notare, come sopra si è dimostrato [ q. 14, a. 11 ], che Dio conosce tutti gli esseri, universali e particolari.
E poiché la sua conoscenza sta in rapporto alle cose come le norme di un'arte stanno alle opere della medesima, come fu detto sopra [ q. 14, a. 8 ], è necessario che tutte le cose siano sottoposte al suo ordinamento, come le opere di un'arte sono sottoposte alle norme dell'arte.
1. Una cosa è [ parlare ] della causa universale e un'altra [ parlare ] della causa particolare.
Si può infatti sfuggire all'ordinamento della causa particolare, ma non a quello della causa universale.
Infatti nulla può essere sottratto all'ordinamento di una causa particolare se non a motivo di una qualche altra causa particolare che la ostacola: come la combustione del legno può essere impedita dall'azione dell'acqua.
Ora, siccome tutte le cause particolari sono abbracciate dalla causa universale, è impossibile che qualsiasi effetto sfugga all'ordinamento della causa universale.
Quindi un effetto si dirà casuale e fortuito relativamente a una causa particolare, in quanto si sottrae al suo ordinamento, ma rispetto alla causa universale, dal cui ordinamento non può sottrarsi, bisogna dire che è previsto.
Come ad es. l'incontro di due servi, sebbene sia per essi casuale, è tuttavia previsto dal loro padrone, il quale intenzionalmente li ha mandati in un medesimo posto, l'uno all'insaputa dell'altro.
2. Altro è il caso di chi ha la gestione di un bene particolare e altro quello del provveditore universale.
Il primo infatti elimina, per quanto può, ogni difetto da ciò che è affidato alle sue cure, mentre il provveditore universale, per assicurare il bene del tutto, permette qualche difetto in casi particolari.
Quindi la distruzione e le deficienze delle cose create si possono dire contro la loro natura particolare, ma rientrano nell'intenzione della natura universale, in quanto il difetto di una ridonda al bene di un'altra, o anche al bene di tutto l'universo: infatti la distruzione di una cosa segna la generazione di un'altra, e così si conserva la specie.
Essendo dunque Dio il provveditore universale di tutto l'essere, appartiene alla sua provvidenza il permettere alcuni difetti in qualcosa di particolare perché non sia impedito il bene perfetto dell'universo.
Se infatti venissero impediti tutti i mali molti beni verrebbero a mancare all'universo: come non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali, né vi sarebbe la pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni.
Quindi S. Agostino [ Enchir. 24,96 ] può dire: « L'onnipotente Dio non lascerebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto potente e buono da trarre il bene anche dal male ».
- Ora, è da queste due obiezioni che abbiamo appena risolto che pare siano stati spinti coloro che sottrassero alla divina provvidenza gli esseri corruttibili, nei quali si riscontrano il caso e il male.
3. L'uomo non è l'autore della natura, ma si serve per sua utilità delle realtà naturali nella sua attività materiale e morale.
Quindi la provvidenza umana non si estende alle cose necessarie, che provengono dalla natura; ad esse però si estende la provvidenza di Dio, autore della natura.
- Ed è da questa obiezione che pare siano stati mossi coloro che, come Democrito e gli altri antichi [ filosofi ] naturalisti, sottrassero alla divina provvidenza il corso delle realtà naturali, attribuendolo alla necessità della materia.
4. Quando si legge che Dio abbandona l'uomo a se stesso non si intende escludere l'uomo dalla divina provvidenza, ma si vuole solo mostrare che non gli è stata prefissata una capacità operativa determinata a un solo modo di agire, come alle realtà naturali - che non agiscono se non sotto l'impulso di qualcos'altro, senza dirigersi da sé verso il loro fine, come [ -invece fanno- ] le creature razionali mediante il libero arbitrio, in virtù del quale deliberano e scelgono -.
Quindi la Scrittura usa l'espressione « in balìa del suo proprio volere ».
Ma poiché lo stesso atto del libero arbitrio si riconduce a Dio come alla sua causa, è necessario che anche ciò che viene fatto con il libero arbitrio sia sottomesso alla divina provvidenza di Dio, come una causa particolare alla causa universale.
- Agli uomini giusti poi Dio provvede in maniera più speciale che agli empi, in quanto non permette che ad essi accada qualcosa che ostacoli definitivamente la loro salvezza: poiché, come afferma l'Apostolo [ Rm 8,28 ], « tutto coopera al bene di coloro che amano Dio ».
Degli empi, invece, è detto che li abbandona per il fatto che non li ritrae dal male morale.
Non in modo tale però che siano del tutto esclusi dalla sua provvidenza: perché se non fossero conservati dalla sua provvidenza ricadrebbero nel nulla.
- E pare che proprio da questa obiezione sia stato mosso Cicerone [ De divinat. 2 ] quando sottrasse alla divina provvidenza le realtà umane intorno a cui deliberiamo.
5. La creatura razionale, avendo per il libero arbitrio il dominio dei propri atti, come già si disse [ ad 4; q. 19, a. 10 ], è soggetta alla divina provvidenza in un modo tutto speciale: cioè le viene imputato a colpa o a merito quello che fa, e in cambio ne riceve una pena o un premio.
Ora, l'Apostolo nega a Dio la cura dei buoi soltanto sotto questo aspetto, non nel senso che gli individui delle creature irrazionali non siano sottoposti alla provvidenza di Dio, come credeva Mosè Maimonide.
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