Summa Teologica - I |
In 1 Sent., d. 8, q. 5, a. 2, ad 6; In 2 Sent., d. 17, q. 2, a. 1; C. G., II, cc. 73, 75; De Spir. Creat., a. 9; De anima, a. 3; Comp. Theol., c. 85; De Unit. Int.
Pare che il principio intellettivo non si moltiplichi secondo la molteplicità dei corpi, ma che invece ci sia un unico intelletto per tutti gli uomini.
1. Nessuna sostanza immateriale presenta una molteplicità di individui di un'unica specie.
Ma l'anima umana è una sostanza immateriale, non essendo composta di materia e di forma, come si è visto [ q. 75, a. 5 ].
Quindi non vi sono più anime nella stessa specie.
Ora, tutti gli uomini appartengono a un'unica specie.
Quindi ci sarà un intelletto unico per tutti gli uomini
2. Tolta la causa, si toglie anche l'effetto.
Se dunque le anime umane si moltiplicassero secondo la molteplicità dei corpi, avremmo come conseguenza che, tolti i corpi, verrebbe eliminata anche la pluralità delle anime, e di esse non resterebbe che qualcosa di unico.
Ma questa è un'eresia, poiché scomparirebbe la differenza dei premi e delle pene.
3. Se il mio intelletto è diverso dal tuo, esso è un'entità individuale, e così il tuo: poiché sono entità particolari quelle che differiscono di numero avendo però comune la specie.
Ora, tutto ciò che viene ricevuto in un essere si trova in esso secondo il modo del ricevente.
Quindi le immagini intenzionali delle cose sarebbero ricevute nel mio intelletto e nel tuo con i caratteri individuali: il che è contro la natura dell'intelletto, il quale è fatto per conoscere gli universali.
4. L'oggetto conosciuto deve trovarsi nell'intelletto che lo conosce.
Se dunque il mio intelletto è diverso dal tuo, bisogna che l'oggetto inteso da me sia diverso da quello che è inteso da te.
Per conseguenza l'oggetto sarà molteplice in base agli individui, e intelligibile solo in potenza, per cui bisognerà poi astrarre l'universale dalle due intellezioni: poiché da oggetti diversi si può sempre astrarre un intelligibile comune e universale.
Ciò però è incompatibile con la natura dell'intelletto, perché in tal caso non si vede come si potrebbe distinguere l'intelletto dall'immaginativa.
Quindi non resta che ammettere un solo intelletto per tutti gli uomini.
5. Quando il discepolo riceve la scienza dal maestro non si può dire che la scienza del maestro generi la scienza nel discepolo, perché in tal caso anche la scienza sarebbe una forma attiva, come il calore, il che evidentemente è falso.
Pare dunque che una scienza numericamente unica venga comunicata dal maestro al discepolo.
Ma ciò non può avvenire se non si ammette che è unico l'intelletto di ambedue.
Perciò deve essere unico l'intelletto del discepolo e del maestro, e quindi di tutti gli uomini.
6. S. Agostino [ De quant. animae 32 ] scrive: « Se dicessi che le anime umane sono soltanto molteplici, riderei di me stesso ».
Ma l'unità dell'anima risulta specialmente dall'intelletto.
Perciò è unico l'intelletto di tutti gli uomini.
Il Filosofo [ De anima 2,3 ] afferma che le cause particolari stanno agli enti particolari come quelle universali agli enti universali.
Ora, come è impossibile che un'anima di una data specie appartenga ad animali di specie diversa, così è impossibile che un'anima intellettiva numericamente unica appartenga a esseri numericamente distinti.
Non è assolutamente possibile che ci sia un intelletto solo per tutti gli uomini.
E ciò è evidente se, come pensava Platone, l'uomo fosse l'intelletto stesso.
Infatti in tal caso se Socrate e Platone non avessero che un intelletto unico, Socrate e Platone non sarebbero che un solo uomo; e non si distinguerebbero tra loro se non per qualcosa di estraneo alla loro essenza.
Ma in tal caso la distinzione tra Socrate e Platone sarebbe come quella esistente tra l'uomo vestito con la tunica e [ il medesimo ] vestito con la cappa: cosa questa del tutto assurda.
Parimenti è impossibile l'ipotesi se si ritiene, con Aristotele, che l'intelletto è una parte o una potenza di un'anima che è la forma dell'uomo.
Infatti non è possibile che più cose numericamente distinte abbiano un'unica forma, come non è possibile che abbiano un unico essere: poiché la forma è il principio dell'essere.
E questa impossibilità è ugualmente evidente qualunque sia il modo proposto [ per spiegare ] l'unione dell'intelletto con questo o quell'altro uomo.
È chiaro infatti che, se abbiamo una causa agente principale e due strumenti, si potrà dire che sia sostanzialmente uno l'agente, ma saranno più di una le azioni: come se un uomo tocca diversi oggetti con due mani, sarà unico colui che tocca, ma duplice il toccamento.
Se viceversa lo strumento è unico ma gli agenti principali sono distinti, si dirà che gli agenti sono molteplici, ma unica è l'azione: come se molti rimorchiano una nave con la fune, avremo molti rimorchiatori, ma unico sarà il rimorchio.
Se poi l'agente principale è uno solo e unico è lo strumento, si dirà che unico è l'agente e unica l'azione: quando il fabbro, p. es., percuote con un martello, abbiamo un unico percussore e un' unica percussione.
- Ora, è evidente che l'intelletto, in qualsivoglia modo si unisca o si aggreghi a questo o a quell'altro uomo, conserva un primato su tutte le facoltà dell'uomo: infatti le potenze sensitive sono sottoposte all'intelletto e lo servono.
Supponendo dunque che siano molteplici gli intelletti e unico il senso di due uomini, nel caso, p. es., che avessero un solo occhio in comune, avremmo più veggenti, ma un'unica visione.
Se invece fosse unico l'intelletto, per quanto possano essere diverse tutte le altre facoltà di cui l'intelletto si serve come di strumenti, in nessuna maniera si potrà evitare che Socrate e Platone siano un unico essere intelligente.
E se aggiungiamo che l'intendere, che è un'operazione dell'intelletto, non avviene per mezzo di un organo distinto dall'intelletto, ne seguirà pure che unico è l'agente e unica l'azione: cioè che tutti gli uomini saranno un unico essere intelligente, e unica sarà la loro intellezione - voglio dire rispetto al medesimo oggetto intelligibile -.
La mia intellezione e la tua potrebbero però essere distinte in forza della diversità dei fantasmi - essendo distinta dalla tua la mia immagine fantastica della pietra -, se tale immagine informasse l'intelletto possibile secondo la distinzione che ha in me e in te: infatti uno stesso agente può produrre azioni diverse mediante forme diverse; come nell'occhio si hanno visioni diverse mediante le diverse forme delle cose.
Ma il fantasma non è la forma [ intenzionale ] dell'intelletto possibile, essendolo invece la specie intelligibile astratta dai fantasmi.
Ora, un solo intelletto non può astrarre che una sola idea da molti fantasmi della medesima specie.
E lo riscontriamo dal fatto che uno stesso uomo, nel quale possono trovarsi varie immagini fantastiche della pietra, non può astrarre che un'idea unica della pietra, idea mediante la quale intende, con una sola operazione, la natura della pietra, nonostante la pluralità dei fantasmi.
Se dunque ci fosse un solo intelletto per tutti gli uomini, la diversità dei fantasmi esistenti in questo e in quell'altro non potrebbe causare la diversa intellezione di questo e di quell'altro uomo, come invece pensa, illudendosi, il Commentatore [ De anima 3, comm. 5 ].
- Si deve perciò concludere che è assolutamente impossibile e insostenibile che vi sia un solo intelletto per tutti gli uomini.
1. Benché l'anima intellettiva, come anche l'angelo, non derivi dalla materia, tuttavia è la forma di una data materia, il che non può dirsi dell'angelo.
Perciò si possono avere molte anime di una stessa specie mediante la divisione della materia, mentre non ci possono essere assolutamente più angeli di un'unica specie.
2. Ogni ente possiede l'unità come possiede l'essere: di conseguenza identico sarà il criterio per giudicare la molteplicità di una cosa e quella del suo essere.
Ora, è chiaro che l'anima intellettiva, in forza del suo essere, è unita al corpo come forma; e tuttavia, quando perisce il corpo, essa perdura nel suo essere.
Parimenti la pluralità delle anime avviene secondo la molteplicità dei corpi; e tuttavia, distrutti i corpi, le anime rimangono molteplici nel loro essere.
3. L'individualità di colui che intende, o dell'idea mediante la quale intende, non esclude l'intellezione degli universali: altrimenti le intelligenze separate [ cioè gli angeli ], essendo sostanze sussistenti e perciò particolari, non potrebbero intendere gli universali.
È invece la materialità di colui che conosce, o dell'immagine con la quale conosce, a impedire la conoscenza dell'universale.
Infatti ogni azione avviene secondo la natura della forma che serve all'operazione: il riscaldamento, p. es., avviene secondo la natura del calore; la conoscenza quindi avviene conformemente alla natura dell'immagine che serve alla conoscenza.
Ora, è evidente che un'essenza universale si distingue e si moltiplica in forza dei princìpi individuanti, che si riportano alla materia.
Se dunque la forma che serve alla conoscenza non è astratta dalle condizioni della materia ed è materiale, rappresenterà la natura della specie e del genere in quanto distinta e moltiplicata dai princìpi individuali: e in tal caso non si potrà conoscere la natura della cosa nella sua universalità.
Se invece l'immagine [ intenzionale ] è astratta dalle condizioni della materia individuale rappresenterà la natura della cosa senza gli aspetti che la distinguono e che la rendono molteplice: e si conoscerà così l'universale.
E quanto a ciò poco importa che esistano uno o più intelletti: perché anche se ce ne fosse uno solo, bisognerebbe che esso fosse un intelletto determinato, e che fosse determinata anche la specie intelligibile di cui si serve.
4. Tanto se l'intelletto è uno solo quanto se sono molti, è sempre unico l'oggetto.
Infatti l'oggetto inteso non si trova nell'intelletto come è in se stesso, ma mediante una sua immagine.
« Nell'anima infatti », dice Aristotele [ De anima 3,8 ], « non c'è la pietra, ma l'immagine della pietra ».
E tuttavia l'oggetto inteso è la pietra, non già l'idea della pietra, prescindendo dalla riflessione che l'intelletto può fare su se stesso: altrimenti le scienze non raggiungerebbero la realtà, ma le specie intelligibili.
Ora, può capitare che una medesima cosa ingeneri la propria somiglianza in molti mediante forme molteplici.
E siccome la conoscenza avviene mediante l'assimilazione del conoscente all'oggetto conosciuto, ne segue che il medesimo oggetto può essere percepito da conoscenti diversi, come appare chiaramente nei sensi: molti infatti possono vedere lo stesso colore mediante una pluralità di immagini.
E allo stesso modo più intelletti possono intendere un unico oggetto.
La sola differenza tra il senso e l'intelletto, secondo Aristotele [ l. cit. ], è questa: che la cosa viene percepita dal senso nella sua concretezza, cioè nella condizione in cui si trova fuori dell'anima, mentre la natura della cosa, che viene percepita dall'intelletto, è certamente fuori dell'anima, ma fuori dell'anima essa non ha quel modo di essere che acquista nell'intellezione.
Infatti l'intellezione mira all'essenza universale prescindendo dagli elementi individuanti, mentre fuori dell'anima la cosa non ha questo modo di essere.
- Secondo Platone invece la cosa intesa si trova fuori dell'anima nella condizione in cui si trova quando è oggetto d'intellezione: egli infatti riteneva che esistessero le essenze delle cose separate dalla materia.
5. La scienza nel discepolo non è quella del maestro.
Vedremo in seguito [ q. 117, a. 1 ] come essa venga causata.
6. S. Agostino vuol dire che le anime non sono molteplici al punto di non partecipare neppure di una sola essenza specifica.
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