Summa Teologica - I |
C. G., II, c. 58; De Pot., q. 3, a. 9, ad 9; De Spir. Creat., a. 3; De anima, a. 2; Quodl., 11, a. 5; Comp. Theol., cc. 90 sqq.
Pare che nell'uomo, oltre all'anima intellettiva, vi siano altre anime, essenzialmente diverse, e cioè l'anima sensitiva e quella vegetativa.
1. La corruttibilità e l'incorruttibilità non sono di una medesima essenza.
Ora, l'anima intellettiva è incorruttibile, mentre le altre anime, cioè la sensitiva e la vegetativa, sono corruttibili, come si è visto sopra [ q. 75, a. 6 ].
Quindi nell'uomo non può esserci un'unica essenza che sia intellettiva, sensitiva e vegetativa.
2. Se uno rispondesse che anche l'anima sensitiva nell'uomo è incorruttibile, ecco in contrario le parole di Aristotele [ Met. 10,10 ]: « Il corruttibile e l'incorruttibile differiscono tra loro nel genere ».
Ora, l'anima sensitiva del cavallo, del leone e degli altri animali è corruttibile.
Se quindi nell'uomo fosse incorruttibile, non sarebbe dello stesso genere di quella degli animali.
Ma un essere è detto animale in base al fatto che possiede un'anima sensitiva.
Perciò l'animalità non costituirebbe più un genere unico, comune all'uomo e agli altri animali.
Il che è insostenibile.
3. Il Filosofo insegna che l'embrione prima è animale e poi uomo.
Ma così non potrebbe essere se fosse identica l'essenza dell'anima sensitiva e di quella intellettiva: poiché esso è costituito animale dall'anima sensitiva, uomo invece da quella intellettiva.
Quindi nell'uomo non è unica l'essenza dell'anima sensitiva e di quella intellettiva.
4. Il Filosofo [ De Gen. animal. 2,3 ] afferma che il genere viene desunto dalla materia, la differenza specifica invece dalla forma.
Ora la razionalità, che è la differenza costitutiva dell'uomo, è desunta dall'anima intellettiva, mentre si attribuisce all'uomo l'animalità perché possiede un corpo animato dall'anima sensitiva.
Perciò l'anima intellettiva ha, verso il corpo animato dall'anima sensitiva, lo stesso rapporto che ha la forma verso la materia.
Quindi nell'uomo l'anima intellettiva non ha identità di essenza con quella sensitiva, ma la presuppone come suo sostrato materiale.
Leggiamo nel De Ecclesiasticis Dogmatibus [ 15 ]: « Dichiariamo che non vi sono due anime nello stesso uomo, come sostengono Giacomo e altri scrittori di Siria, la prima delle quali, vivificatrice del corpo e infusa nel sangue, sarebbe animale, mentre l'altra, a servizio della ragione, sarebbe spirituale; diciamo al contrario che è una e identica l'anima nell'uomo, che dà vita al corpo al quale si associa, e regola se stessa mediante la ragione ».
Platone ritenne che vi fossero nel corpo diverse anime, distinte anche per la localizzazione negli organi, alle quali egli attribuiva le diverse opere della vita, asserendo che la potenza vegetativa risiede nel fegato, l'appetitiva nel cuore e la conoscitiva nel cervello.
Aristotele [ De anima 2,2 ] invece rigetta tale opinione, per quanto riguarda le parti dell'anima che nelle loro operazioni si servono di organi corporei, per il fatto che negli animali che continuano a vivere anche se tagliati in più parti vediamo che in ciascuna parte si ritrovano varie operazioni dell'anima, come il senso e l'appetito.
Il che non avverrebbe se i diversi princìpi operativi dell'anima fossero distribuiti tra le varie parti del corpo come se fossero di essenza diversa.
Pare invece lasciare nel dubbio [ ib. ] la questione riguardante la parte intellettiva: se cioè essa sia separata dalle altre parti dell'anima soltanto concettualmente o anche localmente.
Ora, si potrebbe certo sostenere l'opinione di Platone se si ammettesse che l'anima è unita al corpo non come forma, ma come motore, secondo appunto la sua teoria.
Infatti non c'è alcun inconveniente ad ammettere che il medesimo mobile venga mosso da motori diversi, specialmente in ordine a parti diverse.
Se però ammettiamo che l'anima è unita al corpo come forma, è assolutamente impossibile che in uno stesso corpo vi siano più anime di essenza differente.
E lo si può provare con tre ragioni.
Innanzitutto perché l'animale che avesse più anime non sarebbe essenzialmente uno.
Infatti nessuna entità è dotata di unità in senso stretto se non perché possiede una forma unica, da cui riceve l'essere: poiché ogni cosa riceve dalla medesima radice l'entità e l'unità; perciò le realtà che vengono denominate da forme diverse non costituiscono un'unità in senso stretto, come p. es. un uomo bianco.
Se pertanto l'uomo ricevesse da una forma, cioè dall'anima vegetativa, l'essere vivente, da un'altra, cioè dall'anima sensitiva, l'essere animale e da un'altra ancora, cioè dall'anima razionale, l'essere umano, ne seguirebbe che l'uomo non sarebbe un'unità in senso stretto.
Come anche lo stesso Aristotele [ Met. 8,6 ] argomenta contro Platone, dicendo che se l'idea di animale fosse diversa da quella di bipede, l'animale bipede non formerebbe una realtà unica in senso stretto.
E per questo motivo egli [ De anima 1,5 ], confutando i difensori della pluralità delle anime nel corpo, va ricercando « ciò che le tiene unite », cioè che fa di esse un'unità.
E non si può dire che sono unite mediante l'unità del corpo, essendo più vero che è l'anima a tenere unito il corpo e a ridurlo all'unità che non il contrario.
In secondo luogo ciò appare insostenibile stando al modo in cui viene fatta l'attribuzione [ dei predicati ].
Gli attributi desunti da forme diverse si predicano infatti l'uno dell'altro in due modi: o accidentalmente [ per accidens ], se queste forme non hanno un'intima correlazione, come quando di una cosa bianca affermiamo che è dolce, oppure nel secondo modo di predicazione essenziale, se dette forme hanno tra loro un'intima correlazione: poiché allora il soggetto viene posto nella definizione del predicato.
L'estensione, p. es., è prerequisita al colore: avremo perciò il secondo modo di predicazione essenziale [ per se ] quando affermiamo che un corpo esteso è colorato.
- Se dunque la forma da cui uno trae la denominazione di animale fosse diversa da quella da cui trae la denominazione di uomo, ne verrebbe questa alternativa: o una [ denominazione ] non potrebbe predicarsi dell'altra se non accidentalmente, poiché le due forme non hanno un'intima correlazione, oppure la predicazione avverrebbe nel secondo modo di predicazione essenziale, poiché una delle anime sarebbe il presupposto dell'altra.
Ma ambedue le ipotesi sono chiaramente false: animale infatti si predica dell'uomo essenzialmente, non accidentalmente; inoltre uomo non viene posto nella definizione di animale, ma viceversa.
Bisognerà dunque che sia identica la forma per cui uno è animale ed è uomo: altrimenti l'uomo non sarebbe realmente animale, così da permettere che animale si predichi essenzialmente [ per se ] dell'uomo.
Terzo, l'impossibilità [ in questione ] risulta ancora dal fatto che se un'operazione dell'anima è intensa, impedisce le altre.
Il che non avverrebbe in alcun modo se il principio di queste operazioni non fosse essenzialmente unico.
Bisogna perciò affermare che nell'uomo esiste un'unica anima, che è sensitiva, intellettiva e vegetativa.
Come poi avvenga ciò lo si può mostrare facilmente se si considerano le differenze delle specie e delle forme.
Vi sono infatti degli esseri le cui specie e forme differiscono tra loro secondo vari gradi di perfezione: come nell'ordine della natura gli esseri animati sono più perfetti di quelli inanimati, gli animali più delle piante, gli uomini più delle bestie; e inoltre nei singoli generi si riscontrano varie gradazioni.
E per questa ragione Aristotele [ Met. 8,3 ] paragona le specie naturali ai numeri, i quali differiscono specificamente per l'addizione o la sottrazione di un'unità.
Inoltre egli paragona le diverse anime alle figure [ geometriche ], l'una delle quali contiene l'altra: il pentagono, p. es., contiene il quadrilatero e lo trascende.
- Così dunque l'anima intellettiva contiene nella sua virtualità tutto ciò che è posseduto dall'anima sensitiva degli animali e da quella vegetativa delle piante.
Come quindi la superficie del pentagono non contiene il quadrilatero in forza di una figura distinta da quella del pentagono - perché allora la figura del quadrilatero, essendo contenuta nel pentagono, sarebbe superflua -, così Socrate non è uomo in forza di un'anima distinta da quella per cui è animale, ma in forza di una sola e identica anima.
1. L'anima sensitiva non ha l'incorruttibilità per il fatto di essere sensitiva, ma questa le è dovuta perché è intellettiva.
Quando perciò è soltanto sensitiva è corruttibile; quando invece possiede il principio intellettivo insieme con quello sensitivo, allora è incorruttibile.
Sebbene infatti il principio sensitivo non dia l'incorruttibilità, tuttavia non la può togliere a quello intellettivo.
2. Non sono le forme a essere collocate in un dato genere o in una data specie, ma i composti.
Ora, l'uomo è corruttibile come gli altri animali.
Perciò la differenza basata sulla corruttibilità e incorruttibilità che deriva dalla forma non produce una differenza di genere tra l'uomo e gli altri animali.
3. Da principio l'embrione ha un'anima che è soltanto sensitiva; eliminata questa sopraggiunge un'anima più perfetta, che è insieme sensitiva e intellettiva, come vedremo meglio in seguito [ q. 118, a. 2, ad 2 ].
4. Non è necessario stabilire negli esseri reali una diversità partendo dalle varie ragioni o intenzioni logiche, che provengono dal nostro modo di intendere: poiché la ragione può percepire un oggetto identico sotto vari aspetti.
Poiché dunque l'anima intellettiva, come si è visto [ nel corpo ], contiene virtualmente tutto quanto ha l'anima sensitiva e ancora di più, la ragione potrà considerare separatamente ciò che appartiene all'anima sensitiva, come qualcosa di imperfetto e di materiale.
E poiché trova in questo un elemento comune all'uomo e agli altri animali, se ne serve per formare il concetto di genere.
Si serve invece delle proprietà in cui l'anima intellettiva oltrepassa quella sensitiva come dell'elemento formale e completivo, e con esso forma la differenza [ specifica ] dell'uomo.
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