Summa Teologica - I |
Pare che l'intelligenza sia una potenza distinta dall'intelletto.
1. Sta scritto nel libro De spiritu et anima [ 11 ]: « Quando vogliamo salire dalle realtà inferiori a quelle superiori troviamo prima il senso, poi l'immaginazione, quindi la ragione, l'intelletto, e infine l'intelligenza ».
Ma l'immaginazione e il senso sono due potenze distinte.
Quindi anche l'intelletto e l'intelligenza.
2. Secondo Boezio [ De consol. 5, pr. 4 ], « l'uomo stesso è conosciuto diversamente dal senso, dall'immaginazione, dalla ragione e dall'intelligenza ».
Ma l'intelletto e la ragione sono una stessa potenza.
Quindi Pare che l'intelligenza sia una potenza distinta dall'intelletto, al modo stesso in cui la ragione è una potenza distinta dall'immaginazione e dal senso.
3. Aristotele [ De anima 2,4 ] insegna che « gli atti antecedono le potenze ».
Ma l'intelligenza è un atto distinto dagli altri atti che vengono attribuiti all'intelletto.
Infatti dice il Damasceno [ De fide orth. 2,22 ] che « il primo moto [ dello spirito ] è chiamato intelligenza; se l'intelligenza si volge a un oggetto, si ha l'intenzione; se questa è prolungata e configura l'anima in conformità all'oggetto inteso, si ha l'investigazione [ excogitatio ]; l'investigazione poi che viene fatta su un medesimo soggetto e che esamina e giudica se stessa è detta fronesi ( cioè sapienza ); la fronesi poi, estendendosi a sua volta, produce il pensiero [ cogitatio ], cioè la parola interiore ben ordinata; e da questo si dice che deriva la parola espressa dalla lingua ».
Pare dunque che l'intelligenza sia una potenza speciale.
Secondo il Filosofo [ De anima 3,6 ] « l'intelligenza è la conoscenza degli indivisibili, nei quali non c'è falsità ».
Ma una tale conoscenza spetta all'intelletto.
Quindi l'intelligenza non è una potenza distinta dall'intelletto.
Il termine intelligenza significa propriamente l'atto stesso dell'intelletto, che è l'intendere.
Però in certi libri, tradotti dall'arabo, sono chiamate Intelligenze le sostanze separate, che noi chiamiamo angeli: per la ragione forse che tali sostanze sono sempre intelligenti in atto.
Invece nei libri tradotti dal greco gli angeli sono chiamati Intelletti o Menti.
- Dunque l'intelligenza non si distingue dall'intelletto come una potenza da una potenza, ma come un atto dalla sua facoltà.
E una tale divisione la troviamo anche presso i filosofi.
A volte infatti essi distinguono quattro intelletti: agente, possibile, « abituale » e acquisito [ adeptus ].
E dei quattro soltanto l'intelletto agente e quello possibile sono potenze distinte, poiché in ogni ordine di realtà la potenza attiva è distinta da quella passiva.
Gli altri tre invece si distinguono secondo i tre stati dell'intelletto possibile, il quale a volte è soltanto in potenza, e allora è detto possibile, a volte è in atto primo, cioè ha la scienza, e viene detto « abituale », altre volte infine è in atto secondo, cioè intende, e allora prende il nome di intelletto in atto, o intelletto acquisito [ adeptus ].
1. Ammesso che sia da accettarsi l'autorità di quel testo, l'intelligenza sta per l'atto dell'intelletto.
E in tal senso essa si contraddistingue dall'intelletto come un atto dalla sua potenza.
2. Boezio prende l'intelligenza per quell'atto dell'intelletto che trascende l'atto della ragione.
Quindi soggiunge che « la ragione appartiene soltanto al genere umano, come l'intelligenza alla sola Divinità »: infatti appartiene solo a Dio conoscere tutto senza alcuna ricerca.
3. Tutti gli atti enumerati dal Damasceno appartengono a un'unica potenza, cioè a quella intellettiva.
Questa infatti dapprima ha la semplice apprensione di una cosa, e tale atto viene detto intelligenza; quindi ordina l'apprensione avuta a un'altra conoscenza o a un'operazione: e tale atto è detto intenzione.
Il persistere poi nell'indagine suddetta prende il nome di investigazione [ excogitatio ].
Se però [ l'intelletto ] esamina la materia investigata alla luce di verità certe, allora si dice che conosce o che sa: il che è proprio della fronesi o sapienza: poiché « giudicare appartiene al sapiente », come dice Aristotele [ Met. 1,2 ].
Dal fatto poi di ritenere una cosa come certa, perché esaminata, si pensa al modo di manifestarla agli altri: e questo è l'ordinamento della parola interiore, da cui procede la locuzione esterna.
Infatti non ogni differenza di atti causa una distinzione di potenze, ma solo quella che non può essere ricondotta a un identico principio, come sopra [ q. 78, a. 4 ] si è spiegato.
Indice |