Summa Teologica - I |
In 3 Sent., d. 27, q. 1, a. 2; De Verit., q. 22, a. 3
Pare che l'appetito non sia una potenza speciale dell'anima.
1. Non è necessario assegnare una potenza dell'anima per ciò che è comune agli esseri animati e a quelli inanimati.
Ora, l'appetire è comune a tutti questi esseri, poiché secondo Aristotele [ Ethic. 1,1 ] il bene è « ciò che tutti appetiscono ».
Quindi l'appetito non è una speciale potenza dell'anima.
2. La distinzione delle potenze si ricava dai loro oggetti.
Ma è identico l'oggetto della conoscenza e dell'appetizione.
Non è quindi necessario ammettere una facoltà appetitiva oltre a quella conoscitiva.
3. Un universale non si distingue in opposizione ai rispettivi particolari.
Ma ciascuna potenza dell'anima appetisce un particolare appetibile, cioè il proprio oggetto.
Quindi per un oggetto quale l'appetibile in genere non è necessario ammettere una potenza particolare distinta dalle altre, che venga detta appetitiva.
Il Filosofo [ De anima 2,3; cf. 3,10 ] distingue la facoltà appetitiva dalle altre potenze.
E il Damasceno [ De fide orth. 2,22 ] distingue le facoltà appetitive da quelle conoscitive.
È necessario ammettere nell'anima una potenza appetitiva.
Per dimostrarlo bisogna considerare che ogni forma ha una sua inclinazione - come il fuoco è spinto dalla sua forma verso l'alto, e a produrre un effetto a sé somigliante -.
Ma negli esseri dotati di conoscenza la forma si trova a un grado più alto che in quelli privi di conoscenza.
Infatti in questi ultimi si trova una forma che determina ciascuno di essi soltanto al proprio essere, che è pure quello naturale per ognuno.
E questa forma naturale ha una sua inclinazione naturale, chiamata appunto appetito naturale.
Quelli invece dotati di conoscenza sono determinati ciascuno al proprio essere naturale dalla loro forma naturale, in modo però da poter ricevere anche le specie [ intenzionali ] delle altre cose: come il senso riceve le specie di tutte le realtà sensibili, e l'intelletto quelle di tutte le realtà intelligibili; per cui l'anima dell'uomo, in forza del senso e dell'intelletto, è in un certo modo tutte le cose.
E sotto questo aspetto gli esseri conoscitivi si avvicinano a una certa somiglianza con Dio, « in cui tutte le cose preesistono », come dice Dionigi [ De div. nom 5,5 ].
Come dunque negli esseri dotati di conoscenza le forme esistono in un grado superiore a quello delle forme naturali, così bisogna che in essi vi sia un'inclinazione più alta dell'inclinazione naturale, chiamata appetito naturale.
E questa inclinazione superiore spetta alla facoltà appetitiva dell'anima, mediante la quale gli animali possono appetire le cose da essi conosciute, oltre a quelle verso cui sono inclinati in forza della forma naturale.
È dunque necessario ammettere una potenza appetitiva di ordine psichico.
1. Negli esseri conoscitivi l'appetizione si trova sotto una forma superiore a quella esistente in tutti gli esseri.
Ed è per questo che bisogna determinare una potenza speciale dell'anima.
2. L'oggetto conosciuto e quello desiderato sono in concreto la stessa cosa, ma c'è una differenza di ragione: poiché un identico oggetto viene conosciuto in quanto è un ente sensibile o intelligibile, mentre viene desiderato in quanto è una cosa conveniente o buona.
Ora, per avere una diversità di potenze non si richiede la diversità materiale degli oggetti, ma quella delle ragioni [ formali ].
3. Ogni potenza dell'anima è una certa forma o natura che ha un'inclinazione naturale verso un oggetto.
Quindi ogni facoltà appetisce, in forza dell'appetito naturale, il proprio oggetto.
Ma oltre a ciò esiste l'appetito animale, legato alla conoscenza, col quale si appetisce una cosa non perché conveniente all'atto di questa o di quella potenza, come sarebbe la visione per la vista o l'audizione per l'udito, bensì perché conveniente all'animale stesso.
Indice |