Summa Teologica - I

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Articolo 3 - Se nella nostra conoscenza intellettiva i primi dati siano quelli più universali

In 1 Post., lect. 4; In 1 Phys., lect. 1

Pare che nella nostra conoscenza intellettiva i primi dati non siano quelli più universali.

Infatti:

1. Le entità prime e più note secondo natura sono posteriori e meno note rispetto a noi.

Ma le entità più universali hanno una priorità di natura: poiché « è prima ciò che per esistere non è condizionato da altro » [ Praed. 12 ].

Quindi i dati più universali non sono i primi nella nostra conoscenza intellettiva.

2. Noi conosciamo gli esseri composti prima di quelli semplici.

Ma gli esseri più universali sono anche i più semplici.

Quindi sono posteriori rispetto a noi.

3. Il Filosofo [ Phys. 1,1 ] insegna che il definito è oggetto della nostra conoscenza prima che lo siano le parti della definizione.

Ma le nozioni più universali sono parti nella definizione di oggetti meno universali: animale, p. es. entra come parte nella definizione di uomo.

Quindi i dati più universali sono posteriori rispetto a noi.

4. Noi siamo costretti a risalire dagli effetti alle cause e ai princìpi.

Ma gli universali sono come altrettanti princìpi.

Essi dunque non sono i primi dati rispetto a noi.

In contrario:

Aristotele [ Phys. 1,1 ] insegna che « è necessario giungere ai singolari partendo dagli universali ».

Dimostrazione:

Il processo conoscitivo della nostra intelligenza si presenta sotto due aspetti.

Primo, bisogna ricordare che la conoscenza intellettiva deriva in qualche modo da quella sensitiva.

E poiché il senso percepisce i singolari, mentre l'intelletto ha per oggetto gli universali, ne segue necessariamente che nella nostra conoscenza i singolari precedono gli universali.

Secondo, si deve tener presente che il nostro intelletto passa dalla potenza all'atto.

Ma ogni ente che procede dalla potenza all'atto prima raggiunge l'atto incompleto, che è intermedio tra la potenza e l'atto, e poi l'atto perfetto.

Ora, l'atto perfetto che l'intelletto ha di mira è la scienza perfetta, che ci fa conoscere le cose in modo distinto e determinato.

L'atto incompleto è invece la scienza imperfetta, che ci fa conoscere le cose in modo generico e confuso: infatti un oggetto conosciuto in tale modo è conosciuto in parte attualmente e in parte potenzialmente.

Quindi il Filosofo [ Phys. 1,1 ] afferma che « da principio abbiamo l'evidenza e la certezza delle cose più confuse; in seguito invece conosciamo distinguendo i princìpi e gli elementi ».

Ora, è chiaro che conoscere un oggetto in cui sono contenute molte cose senza una conoscenza appropriata di ciascuna di esse è un conoscere in confuso.

E in tal modo può essere conosciuto sia il tutto universale, in cui le parti si trovano potenzialmente, sia il tutto integrale: poiché tanto l'uno quanto l'altro possono essere conosciuti in confuso senza che si conoscano distintamente le loro parti.

Conoscere invece distintamente quanto è contenuto in un tutto universale equivale a conoscere una cosa meno universale.

Per es., conoscere genericamente un animale corrisponde a conoscere un animale [ soltanto ] in quanto è un animale.

Conoscerlo invece distintamente equivale a conoscerlo in quanto è un animale razionale o irrazionale, ossia a conoscere l'uomo o il leone.

Al nostro intelletto dunque si presenta prima la conoscenza dell'animale e poi quella dell'uomo.

E ciò vale per qualsiasi nozione più universale in confronto con altre meno universali.

Del resto questo medesimo ordine si riscontra anche nel senso, poiché anche il senso passa dalla potenza all'atto, come l'intelletto.

Con i sensi infatti si conoscono i dati più comuni prima di quelli meno comuni, sia in ordine allo spazio che in ordine al tempo.

In ordine allo spazio: guardando qualcosa che si avvicina, prima ci si accorge che è un corpo, poi che è un animale; prima ci si accorge che è un animale, poi che è un uomo; prima che è un uomo, poi che è Socrate o Platone.

In ordine al tempo: il bambino impara a distinguere tra l'uomo e le altre cose prima che tra uomo e uomo: perciò Aristotele [ Phys. 1,1 ] scrive che « i bambini da principio chiamano babbo tutti gli uomini, e solo in seguito imparano a fare distinzione tra di essi ».

E la ragione di ciò è evidente.

Chi infatti ha la conoscenza indistinta di una cosa è ancora in potenza a conoscerne il principio distintivo: chi conosce il genere, p. es., è in potenza a conoscere le differenze specifiche.

È perciò chiaro che la conoscenza indistinta si trova tra la potenza e l'atto.

In conclusione, la conoscenza dei singolari è per l'uomo anteriore a quella degli universali, come la conoscenza sensitiva è anteriore a quella intellettiva.

Però, sia per i sensi che per l'intelletto, la conoscenza dei dati più universali precede quella dei dati meno universali.

Analisi delle obiezioni:

1. L'universale può essere considerato sotto due aspetti.

Primo, in quanto la natura universale include la relazione di universalità.

E siccome questa relazione di universalità, cioè il fatto che un unico e identico concetto dice ordine a molte cose, proviene dall'astrazione intellettiva, è necessario che sotto tale aspetto l'universale sia un dato posteriore.

Quindi Aristotele [ De anima 1,1 ] dice che « l'animale universale o è nulla, oppure è posteriore ».

Stando invece a Platone, il quale riteneva che gli universali fossero sussistenti, l'universale, anche sotto questo aspetto, sarebbe anteriore ai singolari: i quali non sarebbero che partecipazioni degli universali sussistenti, cioè delle idee.

Secondo, si può considerare negli universali la stessa natura reale, p. es. l'animalità o l'umanità, come esistente nei singolari.

E allora diciamo che vi è un doppio ordine di natura.

Il primo è l'ordine genetico o cronologico, e in esso hanno una priorità gli esseri imperfetti e potenziali.

I dati più universali sono quindi anteriori secondo la natura, stando a questa considerazione: e ciò risulta chiaramente nella generazione umana e in quella degli animali, poiché secondo Aristotele [ De anima 2,3 ] « prima è generato l'animale e poi l'uomo ».

Il secondo è l'ordine di perfezione, o di finalità naturale: quello cioè per cui l'atto, assolutamente parlando, è per sua natura prima della potenza, e il perfetto è prima dell'imperfetto.

E in base a tale ordine i dati meno universali hanno una precedenza su quelli più universali: l'uomo, p. es., ha la precedenza sull'animale, poiché lo scopo a cui tende la natura non è la generazione dell'animale, ma quella dell'uomo.

2. L'universale più esteso può paragonarsi al meno esteso sia come tutto, sia come parte.

Come tutto, perché nell'universale più esteso non solo è contenuto un determinato universale meno esteso, ma altri ancora: animale, p. es., non è soltanto l'uomo, ma anche il cavallo.

Come parte, perché un universale più ristretto include nella sua nozione non soltanto quel determinato universale, ma anche altri: l'uomo, p. es., non è soltanto animale, ma anche razionale.

La nozione di animale quindi, considerata in se stessa, precede nella nostra conoscenza quella di uomo; noi però conosciamo l'uomo prima di apprendere che l'animale fa parte della sua definizione.

3. Le parti [ di un tutto ] si possono conoscere in due modi.

Primo, direttamente, prese in se stesse: e nulla impedisce di conoscere così prima le parti che il tutto: le pietre, p. es., prima della casa.

Secondo, in quanto sono parti di un tutto; e allora è necessario conoscere il tutto prima delle parti: infatti prima conosciamo confusamente la casa e poi ne distinguiamo le singole parti.

Quindi diciamo che gli elementi della definizione, considerati per se stessi, sono conosciuti prima del definito: altrimenti quest'ultimo non potrebbe essere chiarito per mezzo di essi.

Presi però come parti della definizione vengono conosciuti dopo [ il definito ]: abbiamo infatti la nozione confusa di uomo prima di riuscire a distinguere tutti gli elementi che entrano nella sua definizione.

4. Se l'universale viene considerato in quanto implica la relazione di universalità, allora è in qualche modo principio di conoscenza: poiché l'universalità scaturisce dal processo intellettivo, cioè dall'astrazione.

Non è detto però che ogni principio conoscitivo sia anche un principio ontologico, come pensava Platone: poiché noi talora conosciamo la causa mediante gli effetti e la sostanza mediante gli accidenti.

Quindi l'universale preso in questo senso non è, secondo il pensiero di Aristotele [ Met. 7,13 ], né un principio ontologico né una sostanza.

Se invece consideriamo la natura stessa del genere e della specie in quanto si trova nei singolari, allora l'universale, in un certo senso, ha carattere di principio formale rispetto ad essi: infatti il singolare è dovuto alla materia, mentre la natura della specie è desunta dalla forma.

La natura del genere però, confrontata alla natura della specie, ha piuttosto carattere di principio materiale: poiché la natura del genere si desume da quello che è l'elemento materiale della cosa, mentre la differenza specifica si desume da quello che ne è l'elemento formale: l'animalità, p. es., dall'elemento sensitivo, la razionalità invece da quello intellettivo.

E da ciò deriva il fatto che la natura ha di mira la specie, non l'individuo, e neppure il genere: poiché la forma è il fine della generazione, mentre la materia è per la forma.

Non è poi necessario che la conoscenza di qualsiasi causa o principio sia posteriore rispetto a noi: poiché anche nell'ordine delle realtà sensibili possiamo conoscere talora effetti occulti per mezzo delle loro cause, mentre altre volte avviene il contrario.

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