Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se le circostanze degli atti umani debbano interessare il teologo

In 4 Sent., d. 16, q. 3, a. 1, sol. 2, 3; De Malo, q. 2, a. 6; In 3 Ethic., lect. 3

Pare che le circostanze degli atti umani non debbano interessare il teologo.

Infatti:

1. Gli atti umani non sono considerati dal teologo se non in quanto sono atti qualificati, cioè buoni o cattivi.

Ma le circostanze non possono qualificare gli atti: poiché una cosa non viene qualificata formalmente da ciò che è fuori, ma da quanto è dentro di essa.

Quindi le circostanze non devono essere considerate dal teologo.

2. Le circostanze sono accidenti degli atti.

Ma « per ogni realtà vi sono infiniti accidenti »: perciò, come dice Aristotele [ Met. 6,2 ], « nessuna arte o scienza, eccetto la sofistica, si occupa di ciò che esiste accidentalmente ».

Quindi il teologo non deve occuparsi delle circostanze degli atti umani.

3. Lo studio delle circostanze interessa i retori.

Ma la retorica non fa parte della teologia.

Quindi lo studio delle circostanze non appartiene al teologo.

In contrario:

L'ignoranza delle circostanze causa atti involontari, come insegnano il Damasceno [ De fide orth. 2,24 ] e S. Gregorio di Nissa [ Nemesio, De nat. hom. 31 ].

Ma l'involontarietà scusa dalla colpa, di cui il teologo deve interessarsi.

Quindi al teologo spetta anche lo studio delle circostanze.

Dimostrazione:

Le circostanze interessano il teologo per tre motivi.

Primo, perché il teologo considera gli atti umani in quanto l'uomo si serve di essi per orientarsi verso la beatitudine.

Ora, tutto ciò che è ordinato a un fine deve essere proporzionato a quel fine.

Ma gli atti vengono proporzionati al loro fine mediante una certa commisurazione, determinata dalle debite circostanze.

Quindi la considerazione delle circostanze deve interessare il teologo.

- Secondo, perché il teologo considera gli atti umani in quanto si trovano in essi il bene e il male, il meglio e il peggio: e tali variazioni dipendono dalle circostanze, come vedremo [ q. 18, aa. 10,11; q. 73, a. 7 ].

- Terzo, perché il teologo considera l'aspetto caratteristico degli atti umani di essere meritori o demeritori: proprietà questa che presuppone la loro volontarietà.

Ma l'atto umano è giudicato volontario o involontario in base alla conoscenza o all'ignoranza delle circostanze, come si è già detto [ s.c.; q. 6, a. 8 ].

Quindi lo studio delle circostanze deve interessare il teologo.

Analisi delle obiezioni:

1. Il bene ordinato a un fine è denominato utile, il che implica una relazione: per cui il Filosofo [ Ethic. 1,6 ] scrive che « nel genere della relazione il bene è l'utile ».

Ora, le cose che sono dette in modo relativo vengono denominate non solo da quanto si trova in esse, ma anche da ciò che le riguarda esternamente, come è evidente nelle determinazioni di destro o sinistro, di uguale o disuguale, e simili.

Siccome dunque la bontà degli atti consiste nella loro utilità in rapporto al fine, nulla impedisce che essi siano denominati buoni o cattivi in rapporto a elementi che li toccano dall'esterno.

2. Gli accidenti che capitano in maniera del tutto accidentale sono trascurati da qualsiasi disciplina per la loro incertezza e infinità.

Ma tali accidenti non hanno il carattere di circostanza: poiché le circostanze, come si è spiegato [ a. 1 ], pur restando estrinseche all'atto, tuttavia lo riguardano, essendo ordinate ad esso.

Gli accidenti propri invece riguardano l'arte.

3. Lo studio delle circostanze interessa al moralista, al politico e al retore.

Al moralista perché in base ad esse si riscontra, o viene a mancare, il giusto mezzo della virtù negli atti umani e nelle passioni.

Al politico e al retore perché le circostanze rendono gli atti lodevoli o riprovevoli, scusabili o condannabili.

Il loro interesse però è diverso: infatti il retore se ne serve per persuadere, il politico per giudicare.

Al teologo poi, a cui devono servire tutte le altre discipline, le circostanze interessano in tutti i modi suddetti: egli infatti deve giudicare con il moralista degli atti virtuosi e peccaminosi, e con il retore e il politico deve considerare gli atti in quanto meritano un premio o una pena.

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