Summa Teologica - I-II |
I, q. 83, a. 3; In 2 Sent., d. 24, q. 1, a. 2; De Verit., q. 22, a. 15; In 3 Ethic., lect. 6, 9; In 6 Ethic., lect. 2
Pare che la scelta non sia un atto della volontà, ma della ragione.
1. La scelta presuppone un certo raffronto, in base al quale una cosa viene preferita a un'altra.
Ma confrontare è un atto della ragione.
Quindi la scelta è un atto della ragione.
2. Appartiene al medesimo soggetto formulare un sillogismo e tirare la conclusione.
Ma sillogizzare in campo pratico spetta alla ragione.
Essendo quindi la scelta una conclusione di ordine pratico, come insegna Aristotele [ Ethic. 7,3 ], sembra essere un atto della ragione.
3. L'ignoranza non riguarda la volontà, bensì la facoltà conoscitiva.
Ora esiste, al dire di Aristotele [ Ethic. 3,1 ], l'« ignoranza della scelta ».
Quindi la scelta non spetta alla volontà, ma alla ragione.
Il Filosofo [ Ethic. 3,3 ] insegna che la scelta è il « desiderio delle cose che dipendono da noi ».
Ma il desiderio è un atto della volontà.
Quindi anche la scelta.
Il termine scelta [ electio ], implica elementi che spettano alla ragione o intelligenza ed elementi che appartengono alla volontà: infatti il Filosofo [ Ethic. 6,2 ] dice che la scelta è « un'intellezione appetitiva o un'appetizione intellettiva ».
Ora, se due elementi concorrono a formare una cosa, uno di essi è come formale rispetto al'altro.
Per cui S. Gregorio di Nissa [ Nemesio, De nat. hom. 33 ] afferma che la scelta « per se stessa non è l'appetito, e neppure il solo consiglio, ma la loro combinazione.
Come infatti diciamo che l'animale è il composto di anima e corpo, non il corpo o l'anima soltanto, così anche la scelta ».
Ora, bisogna considerare che negli atti dell'anima un atto appartenente sostanzialmente a una data potenza o a un dato abito riceve la forma e la specie da una potenza o da un abito superiore nella misura in cui l'inferiore è subordinato al superiore: se infatti uno compie un atto di fortezza per amore di Dio, materialmente quell'atto è di fortezza, ma formalmente è di carità.
Ora, è evidente che la ragione è superiore in qualche modo alla volontà, e ne ordina gli atti: in quanto cioè la volontà tende al proprio oggetto secondo l'ordine della ragione, essendo la facoltà conoscitiva quella che presenta all'appetitiva il proprio oggetto.
Quindi l'atto mediante cui la volontà tende a una cosa presentata come buona, essendo ordinato al fine dalla ragione, appartiene materialmente alla volontà e formalmente alla ragione.
Ora, in questi casi la sostanza dell'atto è come l'elemento materiale rispetto all'ordine imposto dalla facoltà superiore.
Quindi la scelta sostanzialmente non è un atto della ragione, ma della volontà: infatti la scelta si compie in un certo moto dell'anima verso il bene prescelto.
Quindi è chiaro che essa è un atto della potenza appetitiva.
1. La scelta presuppone un raffronto, ma non è essenzialmente tale raffronto.
2. La conclusione di un sillogismo in campo pratico spetta alla ragione: ed è la decisione, o giudizio, a cui segue la scelta.
E così la conclusione stessa appartiene alla scelta come a una sua conseguenza.
3. Si parla di un'« ignoranza della scelta » non perché la scelta medesima sia una conoscenza, ma perché nel caso è fatta ignorando ciò che va scelto.
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