Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 33, q. 1, a. 2, sol. 4; De Virt., q. 1, a. 10, ad 7, 8, 9; q. 5, a. 4
Pare che le virtù infuse non differiscano nella specie dalle virtù acquisite.
1. La virtù acquisita e quella infusa, stando alle cose già dette [ a. prec. ], non differiscono che in ordine al fine ultimo.
Ma gli abiti e gli atti umani sono specificati dal fine prossimo, non dal fine ultimo.
Quindi le virtù infuse, morali o intellettuali, non differiscono specificamente da quelle acquisite.
2. Gli abiti sono conosciuti attraverso gli atti.
Ma l'atto della temperanza infusa è identico a quello della temperanza acquisita, che è il dominio sulle concupiscenze del tatto.
Quindi tali virtù non differiscono specificamente.
3. La virtù infusa differisce da quella acquisita per il fatto che l'una è prodotta immediatamente da Dio, l'altra invece dalla creatura.
Ma l'uomo che Dio creò e quello generato per via naturale non differiscono specificamente: come non differivano l'occhio che egli diede al cieco nato e quello prodotto dalla facoltà formativa.
Perciò la virtù acquisita e quella infusa sono della medesima specie.
Qualsiasi differenza che si trova nella definizione, se viene tolta, dà una differenza specifica.
Ora, come si è visto [ a. 2; q. 55, a. 4 ], nella definizione della virtù infusa troviamo le parole: « che Dio produce in noi senza di noi ».
Quindi la virtù acquisita, alla quale questo elemento non si addice, non si identifica specificamente con la virtù infusa.
Gli abiti si possono distinguere specificamente in due modi.
Primo, in base alle ragioni formali e specifiche dei loro oggetti, come si è visto [ q. 54, a. 2; q. 56, a. 2; q. 60, a. 1 ].
L'oggetto però di qualsiasi virtù è il bene relativo alla materia propria di quella virtù: come l'oggetto della temperanza è il bene relativo ai piaceri a cui mirano le concupiscenze o i desideri del tatto.
E il motivo formale di tale oggetto dipende dalla ragione, che stabilisce la regola in queste concupiscenze, mentre l'oggetto materiale sono le concupiscenze medesime.
Ora, è evidente che la regola imposta dalla ragione umana in queste concupiscenze è differente da quella imposta dalla legge divina.
Nel mangiare, p. es., la ragione umana detta di non nuocere alla salute del corpo e di non creare ostacoli all'atto della ragione; invece secondo le regole della legge divina si richiede che l'uomo « tratti duramente il proprio corpo e lo trascini in schiavitù » [ 1 Cor 9,27 ] mediante l'astinenza dal cibo, dalla bevanda e da altre cose consimili.
Per cui è evidente che la temperanza infusa differisce specificamente da quella acquisita; e lo stesso si dica delle altre virtù.
Secondo, gli abiti si possono distinguere specificamente in base ai diversi termini a cui sono ordinati: infatti la guarigione dell'uomo e quella del cavallo sono di specie diversa, per la diversità delle nature a cui sono ordinate.
E in questo senso il Filosofo [ Polit. 3,2 ] scrive che le virtù dei cittadini sono diverse secondo le loro buone disposizioni rispetto ai diversi sistemi di governo.
E anche in questa maniera le virtù morali infuse, le quali fanno sì che gli uomini siano ben disposti come « concittadini dei santi e familiari di Dio » [ Ef 2,19 ], differiscono specificamente dalle virtù acquisite, mediante le quali l'uomo è ben disposto in ordine alle cose umane.
1. La virtù infusa e quella acquisita non differiscono soltanto per il loro rapporto con il fine ultimo, ma anche per il loro rapporto con il proprio oggetto, come si è spiegato [ nel corpo ].
2. Il principio regolatore delle concupiscenze relative ai piaceri del tatto è diverso nella temperanza acquisita e in quella infusa, come si è detto [ ib. ].
Per cui i loro atti non si identificano.
3. Dio produsse l'occhio del cieco nato in vista del medesimo atto per cui la natura forma gli altri occhi: perciò quell'occhio era della medesima specie.
E lo stesso avverrebbe se Dio volesse produrre miracolosamente nell'uomo le stesse virtù che vengono acquisite con la ripetizione degli atti.
Ma non è questo il nostro caso, come si è spiegato [ ib. ].
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