Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 43, q. 1, a. 1; De Malo, q. 2, a. 8, ad 4; q. 3, a. 12; a. 14, ad 7, 8
Pare che nessuno pecchi per calcolo, ossia per vera malizia.
1. L'ignoranza è l'opposto del calcolo, ossia della vera malizia.
Ora, al dire del Filosofo [ Ethic. 3,1 ], « ogni malvagio è ignorante ».
E nei Proverbi [ Pr 14,22 ] si legge: « Non errano forse quelli che compiono il male? ».
Quindi nessuno pecca per malizia.
2. Dionigi [ De div. nom. 4 ] afferma che « nessuno agisce cercando il male ».
Ma peccare per malizia significa precisamente cercare il male quando si pecca: infatti ciò che è preterintenzionale è come per accidens, e non denomina l'atto.
Quindi nessuno pecca per malizia.
3. La malizia è essa stessa un peccato.
Se quindi fosse causa di peccato, ne seguirebbe che causa del peccato è un peccato, e così all'infinito: il che è impossibile.
Quindi nessuno pecca per malizia.
Sta scritto [ Gb 34,27 ]: « Di proposito si allontanarono da lui, e di tutte le sue vie non si sono curati ».
Ma allontanarsi da Dio è peccare.
Quindi alcuni peccano di proposito, cioè per vera malizia.
Come ogni altro essere, l'uomo per natura tende al bene.
Perciò il fatto che il suo appetito abbandoni il bene deriva da una corruzione o disordine di qualcuno dei suoi princìpi; come avviene per le anormalità che si riscontrano nelle funzioni degli esseri inferiori.
Ora, i princìpi degli atti umani sono l'intelletto e l'appetito, sia razionale, detto volontà, che sensitivo.
Perciò, come negli atti umani il peccato può dipendere da un difetto dell'intelletto, quando cioè uno pecca per ignoranza, o da un difetto dell'appetito sensitivo, quando uno pecca per passione, così può dipendere da un difetto della volontà, consistente in un disordine di essa.
Ora, la volontà è disordinata quando ama un bene minore più di un bene maggiore.
Dal che deriva che uno preferisce sacrificare il bene meno amato per non perdere quello più amato: come quando uno vuole di proposito il taglio di un arto per conservare la vita, che ama di più.
Perciò quando una volontà disordinata ama un bene temporale, come le ricchezze o i piaceri, più dell'ordine della ragione, o della legge divina, o della carità di Dio, o di altre cose del genere, ne segue che preferisce la perdita di un bene spirituale per godere di un bene temporale.
Ora, il male non è altro che la privazione di un bene.
Così dunque uno vuole di proposito un male spirituale, che è un male in senso assoluto e che priva del bene spirituale, per poter godere di un bene temporale.
Perciò si dice che pecca per malizia, o per calcolo, portando la sua scelta cosciente sul male.
1. L'ignoranza talora esclude la scienza atta a conoscere che quanto si vuol compiere è un male: e allora si ha un peccato di ignoranza.
Talora invece esclude la scienza necessaria per conoscere che questa cosa concreta in questo momento è un male: e ciò avviene nel peccato di passione.
Talora infine esclude la scienza necessaria a riconoscere che non si deve tollerare un dato male per raggiungere un determinato bene, lasciando però la conoscenza pura e semplice che si tratta di un male.
E questa è l'ignoranza di chi pecca per malizia.
2. Il male non può essere desiderato per se stesso da nessuno, ma può essere voluto per evitare un altro male, o per conseguire un altro bene, come si è visto [ nel corpo ].
E in questi casi uno preferirebbe conseguire il bene direttamente voluto senza compromettere l'altro bene.
Un lussurioso, p. es., vorrebbe godere il piacere senza l'offesa di Dio.
Tuttavia, fra le due cose, preferisce incorrere nell'offesa di Dio piuttosto che rinunziare al piacere.
3. La malizia di cui si parla come causa di peccato potrebbe essere la malizia abituale: come insinua il Filosofo [ Ethic. 2,5 ], il quale denomina malizia l'abito cattivo allo stesso modo in cui chiama virtù l'abito buono.
E in questo senso si dice che uno pecca per malizia in quanto pecca per l'inclinazione del suo abito cattivo.
- Ma ci si potrebbe anche riferire alla malizia attuale: o denominando malizia la stessa scelta del male, e allora si direbbe che uno pecca per malizia in quanto pecca scegliendo il male, oppure denominando malizia una colpa precedente, da cui segue una nuova colpa: come quando uno, mosso dall'invidia, impugna la grazia dei suoi fratelli.
E anche allora non è che qualcosa sia causa di se stesso, ma un atto interno è causa di un atto esterno.
D'altra parte un peccato può essere causa dell'altro, ma non all'infinito: poiché si deve giungere a un primo peccato che non è causato da altri, come sopra [ q. 75, a. 4, ad 3 ] si è spiegato.
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