Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 43, q. 1, a. 2; In Matth., c. 12
Pare che chiunque pecca per malizia pecchi per abito.
1. Il Filosofo [ Ethic. 5,6 ] afferma che non è di tutti commettere le ingiustizie come fa l'ingiusto, cioè per scelta, ma solo di chi ne ha l'abito.
Ora, si è visto [ a. 1 ] che peccare per malizia è peccare scegliendo il male.
Quindi peccare per malizia è solo di chi ha l'abito [ peccaminoso ].
2. Origene [ Per Arch. 1,3 ] insegna che « uno non si svuota o crolla a un tratto, ma gradualmente e un po' per volta ».
Ora, lo svuotamento più grave si ha quando si pecca per malizia.
Perciò non capita subito da principio che uno arrivi a peccare per malizia, ma dopo molta pratica, dalla quale può nascere l'abito.
3. Perché uno pecchi per malizia bisogna che la volontà stessa inclini al male che sceglie.
Ora, la natura di questa potenza non inclina l'uomo al male, ma piuttosto al bene.
Se quindi essa sceglie il male bisogna che ciò derivi da un fatto sopraggiunto, e cioè dalla passione o dall'abito.
Ma si è visto [ q. 77, a. 3 ] che quando uno pecca per passione non pecca per malizia, bensì per fragilità.
E così quando uno pecca per malizia bisogna che pecchi per abito.
L'abito cattivo sta alla scelta del male come l'abito buono sta alla scelta del bene.
Ora capita che qualcuno, senza avere l'abito virtuoso, scelga ciò che è conforme alla virtù.
Quindi capita pure che uno, senza avere l'abito del vizio, possa scegliere il male: cioè può peccare per malizia.
Il rapporto della volontà con il male è diverso da quello che essa ha con il bene.
Infatti per sua natura questa potenza tende al bene di ordine razionale come al suo oggetto proprio: per cui si dice che ogni peccato è contro natura.
Perciò l'inclinazione della volontà a scegliere il male deve avere un'origine estranea.
Talora infatti dipende da un difetto della ragione, come quando uno pecca per ignoranza; talora invece da un impulso dell'appetito sensitivo, come quando uno pecca per passione.
Ma in questi due casi non si pecca per malizia: si pecca invece per malizia solo quando la volontà stessa si volge direttamente al male.
E ciò può avvenire in due modi.
Primo, in forza di una disposizione corrotta che la inclina al male in modo da renderle il male stesso conveniente e affine, per cui in forza di tale convenienza la volontà tende al male come se fosse un bene: poiché ogni cosa tende per se stessa verso quanto ad essa conviene.
Ora, tale disposizione corrotta o è un abito acquisito con l'uso, trasformato poi in una seconda natura, oppure è uno squilibrio patologico dovuto al corpo, come nel caso di chi soffre di inclinazioni naturali verso certi peccati per la corruzione del suo fisico.
- Secondo, la volontà può tendere direttamente al male per la rimozione di una remora.
Chi p. es. si trattiene dal peccare non per il dispiacere del peccato, ma solo per la speranza della vita eterna o per il timore dell'inferno, qualora venga a mancare la speranza per la disperazione, o il timore per la presunzione, conseguentemente si abbandona al peccato quasi senza alcun freno, cioè per malizia.
Così dunque il peccato di malizia presuppone sempre nell'uomo un qualche disordine, che però non sempre è un abito.
Quindi non è necessario che chi pecca per malizia pecchi per abito.
1. Agire come l'ingiusto non significa solo fare delle ingiustizie con malizia, ma anche farle con piacere, e senza una grave resistenza della ragione.
E questo è solo di chi ne ha l'abito.
2. Nessuno decade a un tratto al punto di peccare per malizia, ma si presuppone sempre qualche altra cosa: questa però non sempre è un abito, come si è detto [ nel corpo ].
3. A inclinare la volontà al male non c'è soltanto la passione, o l'abito, ma vi sono anche altre cose, come si è detto [ q. 77, a. 3 ].
4. [ S.c. ]. La scelta del male non è paragonabile a quella del bene.
Poiché il male non può mai trovarsi senza il bene di natura, mentre il bene può sussistere perfettamente senza il male della colpa.
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