Summa Teologica - I-II |
In 2 Sent., d. 42, q. 2, a. 3; De Malo, q. 8, a. 1
Pare che oltre alla superbia e all'avarizia non ci siano altri peccati specifici da denominare peccati capitali.
1. Aristotele [ De anima 2,4 ] insegna: « Il capo sta agli animali come la radice sta alle piante »: infatti le radici sono analoghe alla bocca.
Se quindi si dice che « la radice di tutti i mali » è la cupidigia, è chiaro che essa soltanto, e non altri vizi, merita di essere chiamata vizio capitale.
2. Il capo è ordinato alle altre membra, poiché dal capo si propaga in qualche maniera la sensazione e il moto.
Il peccato invece è privazione di ordine.
Perciò un peccato non ha mai l'aspetto di capo.
Quindi non si deve parlare di vizi capitali.
3. Si dicono delitti capitali quelli che sono puniti con la pena capitale.
Ma con questa pena sono colpiti peccati di tutti i generi.
Quindi i vizi capitali non sono peccati specificamente determinati.
S. Gregorio [ Mor. 31,45 ] enumera alcuni vizi specifici, che egli denomina capitali.
Capitale deriva da capo.
E il capo è propriamente quella parte dell'animale che è il principio e l'elemento direttivo di tutto l'animale.
Perciò in senso metaforico si denomina capo qualsiasi principio: anzi, si denominano capi persino gli uomini che dirigono e governano gli altri.
Quindi in un primo senso il vizio capitale deriva dal capo propriamente detto: e in questo senso si chiama capitale il peccato che viene punito con la pena capitale.
Ma ora noi non parliamo dei peccati o delitti capitali in questo senso, bensì dei peccati capitali che vengono denominati in base al significato metaforico del termine capo, in quanto cioè tale termine indica un principio o elemento direttivo di altre cose.
E allora è capitale quel vizio da cui nascono altri vizi: specialmente quanto all'origine della causa finale, che costituisce per essi l'origine formale, secondo le spiegazioni date [ q. 72, a. 6 ].
Quindi il vizio capitale non solo è il principio degli altri vizi, ma ne è pure la guida e in qualche modo il trascinatore: infatti l'arte o l'abito che ha per oggetto il fine ha sempre l'iniziativa e il comando rispetto ai mezzi.
Per cui S. Gregorio [ l. cit. ] paragona i vizi capitali ai comandanti di un esercito.
1. Capitale è un aggettivo denominativo che si riallaccia per derivazione e partecipazione al capo, da cui desume qualche proprietà, ma non è il capo in senso proprio.
Perciò si dicono vizi capitali non solo quelli che hanno l'aspetto di origini primordiali, come l'avarizia e la superbia, chiamate rispettivamente radice e inizio, ma anche quelli che hanno l'aspetto di origini prossime rispetto a un certo numero di peccati.
2. Il peccato è privo di ordine sotto l'aspetto dell'allontanamento: poiché da questo lato si presenta come un male; e il male, al dire di S. Agostino [ De nat. boni 4 ], « è privazione di misura, di bellezza e di ordine ».
Ma sotto l'aspetto della conversione ha per oggetto un bene.
E così da questo lato ci può essere nel peccato un certo ordine.
3. La obiezioni si riferisce a quel peccato che viene denominato capitale in base alla pena meritata.
Ma non è di questo che noi parliamo.
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