Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 89, a. 1; In 4 Sent., d. 18, q. 1, a. 2, sol. 1
Pare che il peccato non produca una macchia nell'anima.
1. Una natura superiore non può sporcarsi in seguito al contatto con una natura inferiore: per cui un raggio di sole, come nota S. Agostino [ Contra quinque haer. 5 ], non si sporca a contatto di corpi purulenti.
Ora, l'anima umana è di natura molto superiore alle realtà transitorie, alle quali si volge peccando.
Perciò quando pecca non ne riceve una macchia.
2. Il peccato, come sopra si è visto [ q. 74, aa. 1,2 ], risiede specialmente nella volontà.
La volontà poi, come dice Aristotele [ De anima 3,9 ], è inclusa nella ragione.
Ora la ragione, o intelletto, non viene macchiata dalla considerazione di alcuna cosa, ma anzi ne riceve un perfezionamento.
Quindi neppure la volontà viene macchiata dal peccato.
3. Se il peccato causasse una macchia, questa sarebbe o qualcosa di positivo o una pura privazione.
Ora, se fosse qualcosa di positivo non potrebbe essere che una disposizione o un abito: infatti da un atto sembra che nient'altro possa essere causato.
Ma non è una disposizione né un abito, poiché eliminando l'abito e la disposizione può restare ancora la macchia: come è evidente nel caso di chi, dopo aver peccato mortalmente di prodigalità, passa a commettere un peccato contrario.
Quindi la macchia non è qualcosa di positivo.
- E non è neppure una semplice privazione, poiché tutti i peccati si assomigliano dal lato dell'allontanamento e della privazione della grazia, per cui risulterebbe identica la macchia di tutti i peccati.
Quindi la macchia non è un effetto del peccato.
Sta scritto di Salomone [ Sir 47,20 ]: « Imprimesti una macchia alla tua gloria ».
E altrove [ Ef 5,27 ]: « Al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga ».
E nei due casi si parla della macchia del peccato.
Perciò il peccato produce una macchia.
In senso proprio si parla di macchia per le cose materiali quando un corpo lucente, p. es. una veste, o l'oro, o l'argento o altre cose simili, perde la sua lucentezza a contatto con altri corpi.
Perciò nelle cose spirituali se ne deve parlare per analogia a una simile macchia.
Ora, l'anima umana può avere due tipi di lucentezza: l'una dovuta allo splendore della luce naturale della ragione, che la dirige nei suoi atti, l'altra dovuta allo splendore della luce divina, cioè della sapienza e della grazia, che porta l'uomo a compiere il bene dovuto.
Quando dunque l'anima aderisce con l'amore a una cosa, entra come in contatto con essa.
Ora, quando l'anima pecca, aderisce a qualcosa che è contrario alla luce della ragione e della legge divina, come è evidente da quanto sopra [ q. 71, a. 6 ] si è detto.
Per cui questa perdita di luminosità è chiamata metaforicamente macchia dell'anima.
1. L'anima non viene macchiata dalle realtà inferiori per la loro virtù, come se queste agissero su di essa, ma al contrario è l'anima che col suo agire si sporca, aderendo ad esse disordinatamente, contro la luce della ragione e della legge divina.
2. L'atto intellettivo si compie con la presenza delle realtà intelligibili nell'intelletto secondo il modo dell'intelletto stesso: perciò l'intelletto non può esserne macchiato, ma piuttosto ne riceve un perfezionamento.
Invece l'atto della volontà consiste in un moto verso le cose, cosicché l'amore unisce l'anima alla realtà amata.
E così l'anima si macchia quando vi aderisce disordinatamente, secondo il detto di Osea [ Os 9,10 ]: « Divennero abominevoli come ciò che essi amavano ».
3. La macchia non è qualcosa di positivo nell'anima, e non indica una semplice privazione: indica invece la privazione di una certa lucentezza dell'anima in rapporto alla sua causa, cioè al peccato.
Quindi peccati diversi arrecano macchie diverse.
E avviene qualcosa di simile con l'ombra, che è la privazione della luce dovuta all'interposizione di un corpo: secondo la diversità dei corpi infatti le ombre cambiano.
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