Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 35, q. 2, a. 2, sol. 1
Pare che l'intelletto non sia un dono dello Spirito Santo.
1. I doni della grazia sono distinti dai doni di natura, poiché si aggiungono a questi.
Ma l'intelletto è un certo abito naturale dell'anima mediante cui si conoscono i primi princìpi noti per natura, come insegna Aristotele [ Ethic. 6,6 ].
Esso quindi non può essere posto come un dono dello Spirito Santo.
2. I doni di Dio vengono partecipati dalle creature secondo le loro attitudini e capacità, come insegna Dionigi [ De div. nom. 4 ].
Ora, la natura umana è atta a conoscere la verità non in maniera immediata, come comporterebbe l'intelletto, ma in maniera discorsiva, come è proprio della ragione, sempre secondo Dionigi [ De div. nom. 7 ].
Quindi la conoscenza che Dio dona agli uomini deve essere chiamata dono della ragione, e non dono dell'intelletto.
3. Aristotele [ De anima 3, cc. 9,10 ] dimostra che tra le potenze dell'anima l'intelletto si contrappone alla volontà.
Ma non c'è un dono dello Spirito Santo denominato volontà.
Quindi non ci deve neppure essere un dono denominato intelletto.
Sta scritto in Isaia [ Is 11,2 ]: « Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelletto ».
Il termine intelletto sta a indicare una conoscenza intima: poiché intelligere equivale a intus legere [ leggere dentro ].
E ciò è evidente per chi consideri la differenza fra l'intelletto e il senso.
Infatti la conoscenza sensitiva si occupa delle qualità sensibili esterne, mentre quella intellettiva penetra fino all'essenza delle cose, poiché l'oggetto dell'intelletto, come dice Aristotele [ De anima 3,6 ], è « ciò che la cosa è ».
Ora, molti sono i generi delle cose che si nascondono all'interno, e che la conoscenza umana deve penetrare.
Infatti sotto gli accidenti è nascosta la natura sostanziale delle cose, sotto le parole è nascosto il loro significato, sotto le similitudini e le figure è nascosta la verità in tal modo figurata; e anche le realtà intelligibili sono sempre interiori rispetto a quelle sensibili percepite esternamente; inoltre nelle cause sono nascosti gli effetti, e viceversa.
Si può quindi parlare di intelletto in relazione a tutte queste cose.
E siccome la conoscenza umana comincia dai sensi, ossia quasi dall'esterno, è evidente che più la luce dell'intelletto è forte, più è capace di penetrare intimamente.
Ora, la luce naturale del nostro intelletto ha un potere limitato, potendo arrivare solo fino a un certo punto.
Quindi l'uomo ha bisogno di una luce soprannaturale per conoscere certe cose che è incapace di percepire con la luce naturale.
E questa luce soprannaturale che l'uomo riceve è chiamata dono dell'intelletto.
1. La luce naturale che in noi è innata può farci conoscere immediatamente alcuni princìpi universali noti per natura.
Siccome però l'uomo è ordinato a una felicità soprannaturale, come sopra [ q. 2, a. 3; I, q. 12, a. 1; I-II, q. 3, a. 8 ] si è visto, è necessario che egli raggiunga delle verità più alte.
E per questo si richiede il dono dell'intelletto.
2. Il processo discorsivo del raziocinio comincia sempre da un'intellezione per terminare con un'intellezione: infatti noi ragioniamo partendo da alcuni dati intellettivi, e concludiamo il processo discorsivo quando arriviamo a intendere ciò che prima ci era sconosciuto.
Perciò quanto è oggetto di raziocinio nasce da una intellezione precedente.
Ora, il dono della grazia non può derivare da una luce naturale, ma è un apporto nuovo che perfeziona questa luce.
E così questo apporto non è detto ragione, ma piuttosto intelletto: poiché questa luce supplementare sta alle realtà soprannaturali che essa ci fa conoscere come la luce naturale sta a quelle che conosciamo in primo luogo.
3. La volontà, o la volizione, denomina semplicemente un moto appetitivo, senza indicarne alcuna eccellenza.
Invece intelletto indica una particolare eccellenza della cognizione, cioè una penetrazione intima.
Quindi un dono soprannaturale merita più il nome di intelletto che quello di volontà.
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