Summa Teologica - II-II |
Infra, a. 6, ad 3
Pare che l'intelletto posto tra i doni dello Spirito Santo non sia pratico, ma solo speculativo.
1. L'intelletto, come scrive S. Gregorio [ Mor. 1,32 ], « penetra alcune delle cose più alte ».
Ora, le cose che riguardano l'intelletto pratico non sono alte, ma infime: sono infatti i singolari, oggetto delle operazioni.
Quindi il dono dell'intelletto non è un intelletto pratico.
2. L'intelletto dono è superiore all'intelletto virtù intellettuale.
Ma l'intelletto virtù intellettuale riguarda soltanto i necessari, come insegna il Filosofo [ Ethic. 6,6 ].
Perciò a maggior ragione si limita ai necessari l'intelletto dono.
Ma l'intelletto pratico non ha per oggetto i necessari, bensì i contingenti, cioè tutte le variazioni dell'agire umano.
Quindi l'intelletto dono non è un intelletto pratico.
3. Il dono dell'intelletto illumina la mente sulle cose che sorpassano la ragione naturale.
Ma le azioni umane, di cui si occupa l'intelletto pratico, non superano la ragione naturale, che ha la direzione nell'agire, come sopra [ I-II, q. 58, a. 2; q. 71, a. 6 ] si è visto.
Quindi il dono dell'intelletto non è un intelletto pratico.
Sta scritto [ Sal 111,10 ]: « Intelletto sano hanno quanti gli sono fedeli ».
Abbiamo già visto sopra [ a. prec. ] che il dono dell'intelletto ha per oggetto non soltanto le cose che rientrano nella fede in maniera primaria e principale, ma anche tutto ciò che è ordinato alla fede.
Ora, gli atti buoni sono in qualche modo connessi con la fede: come infatti dice l'Apostolo [ Gal 5,6 ], « la fede opera mediante la carità ».
Così dunque il dono dell'intelletto si estende anche a certe operazioni: non perché queste siano il suo oggetto principale, ma in quanto nell'agire, dice S. Agostino [ De Trin 12,7.9 ], noi siamo regolati « dalle ragioni eterne, alla cui contemplazione e consultazione attende la ragione superiore », che viene sublimata dal dono dell'intelletto.
1. Le attività dell'uomo, considerate in se stesse, non hanno alcuna altezza di dignità.
In quanto però si riferiscono alla regola della legge eterna e al fine della divina beatitudine hanno un'altezza tale da poter interessare il dono dell'intelletto.
2. Il fatto di poter considerare gli intelligibili eterni e necessari non solo in se stessi, ma anche come regole degli atti umani, contribuisce alla grandezza di quel dono che è l'intelletto: poiché una virtù conoscitiva tanto più è nobile quanto più si estende.
3. Come sopra [ I-II, q. 71, a. 6 ] si è visto, è regola degli atti umani non soltanto la ragione naturale, ma anche la legge eterna.
Perciò la conoscenza degli atti umani in quanto sono regolati dalla legge eterna supera la ragione naturale, e ha bisogno della luce suprannaturale di un dono dello Spirito Santo.
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