La Trinità |
Vediamo ora dove si trovi ciò che è come il confine tra l'uomo esteriore e l'uomo interiore.
Perché tutto ciò che nella nostra anima ci è comune con gli animali si dice, e a ragione, che appartiene ancora all'uomo esteriore.
Infatti non solo il corpo costituisce l'uomo esteriore, ma va aggiunta questa specie di vita che dà vigore all'organismo corporeo e a tutti i sensi dei quali è dotato per sentire i corpi esterni; le immagini di questi corpi sentiti, fissate nella memoria e rappresentate con il ricordo, appartengono ancora all'uomo esteriore.
In tutto questo non ci differenziamo dagli animali se non perché, per la conformazione del nostro corpo, non siamo proni ma eretti.1
Questo privilegio, secondo l'intenzione di Colui che ci ha creato, ci ammonisce di non essere con la nostra parte migliore, cioè con l'anima, simili agli animali, dai quali ci distingue la statura eretta.
Non che noi dobbiamo fissare l'anima sui corpi che sono in alto, perché, cercare il riposo della volontà in tali cose, sarebbe ancora trascinare verso il basso l'anima.
Ma come il nostro corpo, per natura, è eretto verso quelli che tra i corpi sono i più elevati, cioè verso i corpi celesti, così la nostra anima, che è sostanza spirituale, ha da volgersi verso quelle che sono le più elevate tra le realtà spirituali; non con un'esaltazione orgogliosa, ma con un pio amore della giustizia.
Anche gli animali possono percepire, per mezzo dei sensi corporei, i corpi esteriori, ricordandosene dopo che si sono fissati nella memoria; desiderare, fra essi, quelli che sono utili, fuggire quelli che sono nocivi.
Ma non possono invece fissare su di essi l'attenzione; ritenere, oltre ai ricordi spontaneamente captati dalla memoria, quelli che ad essa si affidano intenzionalmente; imprimerveli di nuovo, quando stanno già per cadere in dimenticanza, ricordandoli e pensandoli in modo che, come il pensiero si forma a partire dal contenuto della memoria, così lo stesso contenuto della memoria sia consolidato dal pensiero; costruire visioni immaginarie raccogliendo e, per così dire, ricucendo questi e quei ricordi presi di qui e di là; vedere come, in questo genere di cose, il verosimile si distingue dal vero, non nell'ordine spirituale, ma perfino nell'ordine materiale; tutti questi fenomeni, ed altri di tal genere, sebbene si svolgano e si trovino nell'ordine sensibile e nell'ordine delle conoscenze che l'anima ha attinto per mezzo dei sensi corporei, tuttavia non sono estranei alla ragione, né sono un qualcosa di comune agli uomini ed agli animali.
Ma è compito della ragione superiore il giudicare di queste cose corporee, secondo le leggi incorporee ed eterne.
Se queste non fossero al di sopra dello spirito umano, certamente non sarebbero immutabili; ma se esse non avessero alcun legame con quella parte di noi stessi che è loro sottomessa, non potremmo, in base ad esse, giudicare delle realtà corporee.2
Ora noi giudichiamo delle realtà corporee secondo la legge delle dimensioni e delle figure, legge di cui il nostro spirito conosce la persistenza immutabile.
Ma ciò che in noi, pur non essendoci comune con gli animali, presiede alle nostre attività di ordine materiale e temporale, appartiene senza dubbio alla ragione, ma di quella sostanza razionale del nostro spirito, che ci unisce e sottomette alla verità intelligibile e immutabile, è, come una derivazione e una applicazione nel trattamento e nel governo delle cose inferiori.
Come infatti in tutto il regno animale non si trovò per l'uomo aiuto simile a lui, ma questo aiuto lo si formò da una parte di lui e gli fu dato in sposa, così per il nostro spirito che attinge la verità trascendente non esiste per regolare l'uso delle cose materiali nei limiti della natura umana un aiuto simile ad esso nelle parti che abbiamo comuni con le bestie.
E perciò una parte della nostra ragione riceve un'incombenza speciale, che non ha lo scopo di creare una frattura, ma di fornire un aiuto in un campo subordinato.
E come i due corpi dell'uomo e della donna non sono che una sola carne, così pure il nostro intelletto e l'azione, il consiglio e l'esecuzione, la ragione e l'appetito razionale ( o se c'è qualche altro modo di dire che designi queste realtà in maniera più espressiva ) sono compresi nell'unità della natura dello spirito; cosicché, come di quelli è stato detto: Saranno due in una sola carne; ( Gen 2,24; Mt 19,5; 1 Cor 6,16; Ef 5,31 ) così di questi si possa dire: "Sono due in un solo spirito".
Quando dunque trattiamo della natura dello spirito umano, parliamo di una sola realtà: il duplice aspetto che ho distinto è solo in relazione alle due funzioni.
E così, quando cerchiamo in esso una trinità, la cerchiamo nello spirito tutto intero e non separiamo la sua azione razionale sulle cose temporali dalla contemplazione delle cose eterne per cercare un terzo termine che completi la trinità.
No, è nella natura dello spirito tutta intera che bisogna trovare una trinità, in modo che, anche se venga a mancare l'azione sulle cose temporali - opera alla quale è necessario un aiuto, per cui una parte dello spirito viene delegata all'amministrazione di queste cose inferiori -, possiamo trovare una trinità nello spirito uno e indiviso.
Una volta distribuite così le funzioni, è nella sola regione dello spirito, che si dedica alla contemplazione delle realtà eterne, che troviamo non solo una trinità, ma anche l'immagine di Dio; ( 1 Cor 11,7; Gen 1, 26.27; Gen 9,6; Sap 2,23; Sir 17,1 ) invece nella regione dello spirito applicata alle nostre attività temporali, sebbene si possa trovare una trinità, tuttavia non si può trovare l'immagine di Dio.
Perciò non mi pare abbastanza fondata l'opinione di coloro che ritengono che si possa riscontrare la trinità dell'immagine di Dio in una trinità di persone che riguarda l'ordine della natura umana; immagine che si realizzerebbe nel matrimonio dell'uomo e della donna e nella loro prole; cosicché l'uomo rappresenterebbe la persona del Padre; ciò che da lui procede per generazione, quella del Figlio; la terza persona, corrispondente allo Spirito sarebbe, dicono, la donna che procede dall'uomo senza essere tuttavia né suo figlio né sua figlia, sebbene concepisca e generi la prole.3
Disse infatti il Signore, dello Spirito Santo, che procede dal Padre, ( Gv 15,26 ) e tuttavia non è Figlio.
In questa opinione erronea, l'unica affermazione ammissibile è che, se si considera l'origine della donna, come lo dimostra a sufficienza la testimonianza della Sacra Scrittura, non si può chiamare figlio ogni essere che trae origine da un'altra persona per essere persona a sua volta; è infatti dalla persona dell'uomo che trae la sua esistenza la persona della donna e tuttavia non si può chiamare sua figlia.
Per il resto questa opinione è così assurda, anzi così falsa, che è estremamente facile confutarla.
Passo sotto silenzio l'assurdo accostamento che fa dello Spirito Santo la madre del Figlio di Dio e la sposa del Padre; forse mi si potrà contestare che queste cose suscitano disgusto nell'ordine carnale, perché si pensa a concepimenti e a parti corporei.
Sebbene anche queste cose i puri, per i quali tutto è puro, pensino con grandissima castità, per gli impuri invece e i non credenti, che hanno sia lo spirito che la coscienza contaminati, niente è puro, ( Tt 1,15 ) al punto che alcuni di essi si scandalizzano che Cristo sia nato secondo la carne, sia pure da una vergine.
Ma tuttavia, in ciò che vi è di più elevato nell'ordine spirituale, dove non c'è nulla di contaminabile e corruttibile, né nascita nel tempo,4 né passaggio dall'informe al formato, se si parla di misteri ad immagine dei quali, sebbene in maniera assai lontana, sono generate le creature inferiori, essi non debbono turbare la riservatezza ed il ritegno di nessuno, affinché per evitare un vano orrore non si cada in un pernicioso errore.
Ci si abitui a trovare nei corpi le vestigia delle realtà spirituali, in modo tale da non trascinare con sé nelle cose più elevate ciò che si disprezza in quelle più basse, quando, sotto la guida della ragione, si comincia quell'ascesa che, a partire dal temporale, ci dirige verso l'alto per farci giungere alla verità immutabile per mezzo della quale queste cose sono state fatte.
Il fatto che il nome di sposa evochi al pensiero l'unione corruttibile necessaria alla generazione della prole non ha distolto lo scrittore sacro da scegliersi in sposa la sapienza, né la sapienza stessa è di sesso femminile, per il fatto che tanto in greco quanto in latino la si esprime con un vocabolo di genere femminile.
Non respingiamo dunque questa opinione perché temiamo di considerare questa santa, inviolabile ed immutabile carità come la sposa di Dio Padre, dal quale trae origine la sua esistenza, senza tuttavia essere sua prole destinata a generare il Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, ( Gv 1,3 ) ma perché la divina Scrittura ne mostra con evidenza la falsità.
Infatti Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. ( Gen 1,26 )
E poco dopo è detto: E Dio fece l'uomo ad immagine di Dio. ( Gen 1,27 )
La parola: nostra, essendo un plurale, sarebbe impropria, se l'uomo fosse stato fatto a immagine di una sola persona, sia quella del Padre, del Figlio o dello Spirito Santo.
Ma poiché veniva fatto ad immagine della Trinità, per questo si ha l'espressione: ad immagine nostra.
Al contrario, per evitare che ritenessimo di dover credere che ci sono tre dèi nella Trinità, dato che questa stessa Trinità è un solo Dio, la Scrittura dice: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio; come se dicesse: Ad immagine sua. ( Gen 1,27 )
6.7 Le Scritture spesso usano espressioni tali, alle quali alcuni, sebbene affermino la loro fede cattolica, non fanno sufficientemente attenzione, cosicché intendono queste parole: Dio fece ( l'uomo ) ad immagine di Dio, come se fosse detto: "Il Padre fece ( l'uomo ) ad immagine del Figlio", volendo provare così che nelle sante Scritture anche il Figlio è chiamato Dio, come se mancassero altri testi probanti, assai sicuri ed assai chiari, in cui il Figlio è detto non solo Dio, ma vero Dio. ( 1 Gv 5,20; Gv 17,3 )
Infatti, a proposito di questa testimonianza, mentre vogliono risolvere altre difficoltà, cadono in un tale groviglio dal quale non si possono districare.
Perché se il Padre creò l'uomo a immagine del Figlio, cosicché l'uomo non sia immagine del Padre, ma del Figlio, il Figlio non è simile al Padre.
Però se una pia fede ci insegna, come difatti ci insegna, che la somiglianza del Figlio al Padre giunge fino all'uguaglianza dell'essenza, ciò che è stato creato a somiglianza del Figlio è stato creato anche a somiglianza del Padre.
Inoltre, se il Padre ha creato l'uomo, non a sua immagine, ma a immagine del Figlio, perché non disse: "Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza tua", ma invece: a immagine e somiglianza nostra, ( Gen 1,26 ) se non perché l'immagine della Trinità veniva prodotta nell'uomo in modo che così l'uomo fosse l'immagine del solo Dio, ( 1 Cor 11,7; Gen 1, 26.27; Gen 9,6; Sap 2,23; Sir 17,1 ) perché la Trinità stessa è un solo vero Dio?
Simili espressioni sono innumerevoli nelle Scritture, ma basterà addurre le seguenti.
Si legge nei Salmi: Dal Signore viene la salvezza e sul tuo popolo è la tua benedizione, ( Sal 3,9 ) come si parlasse ad un altro, non più a colui cui si diceva: Dal Signore viene la salvezza.
E in un altro Salmo: Tu mi salverai dalla tentazione e nel mio Dio salterò il muro, ( Sal 18,30 ) come se le parole: tu mi salverai dalla tentazione fossero indirizzate ad un altro.
Si legge ancora: I popoli cadranno ai tuoi piedi, nel cuore dei nemici del re, ( Sal 45,6 ) come se dicesse: "Nel cuore dei tuoi nemici".
È proprio al re, cioè al Signore nostro Gesù Cristo, che il Salmista diceva: I popoli cadranno ai tuoi piedi, ed è a questo stesso re che volle alludere quando aggiunse: nel cuore dei nemici del re.
Tali espressioni si trovano più raramente nel Nuovo Testamento.
Tuttavia l'Apostolo scrive nella Lettera ai Romani: Del Figlio suo, nato dalla discendenza di David secondo la carne, che fu predestinato Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione, per mezzo della risurrezione dai morti di Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 1,3-4 ) come se all'inizio del passo avesse parlato di un altro.
Chi è infatti il Figlio di Dio predestinato per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, se non lo stesso Gesù Cristo, che è stato predestinato ad essere il Figlio di Dio?
Dunque quando leggiamo: Figlio di Dio nella potenza di Gesù Cristo, o Figlio di Dio secondo lo Spirito di santificazione di Gesù Cristo, o Figlio di Dio per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, mentre si sarebbe potuto dire, secondo il linguaggio corrente, "nella sua potenza" o "secondo lo Spirito della sua santificazione", "o Figlio di Dio per la sua risurrezione dai morti" o "dei suoi morti", niente ci obbliga a ritenere che si tratti di un'altra persona, ma si tratta invece di una sola e medesima Persona, cioè di quella del Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo.
Così quando leggiamo: Dio fece l'uomo ad immagine di Dio, ( Gen 1,27; Gen 5,1 ) sebbene si fosse potuto dire secondo il modo più corrente di esprimersi: a sua immagine, ( Sir 17,1 ) non siamo affatto obbligati a pensare che si tratti di un'altra persona distinta nella Trinità, ma si tratta della sola e medesima Trinità che è un solo Dio ad immagine della quale l'uomo è stato fatto. ( Dt 6,4; Ml 2,10; Mc 12,29-32; Gv 17,3; Rm 3,30; Gal 3,20; Ef 4,6; 1 Tm 2,5; Gc 2,19 )
6.8 Stando così le cose,5 se noi troviamo questa stessa immagine della Trinità non in un solo uomo, ma in tre - nel padre, nella madre e nel figlio - allora l'uomo non era stato fatto ad immagine di Dio ( Gen 9,6 ) prima che gli fosse stata data una donna e che avessero tutti e due procreato un figlio, perché non c'era ancora trinità.
Qualcuno dirà forse: "C'era già trinità, perché, sebbene non possedesse ancora la sua forma propria, anche la donna era già presente, secondo la natura che ne sarebbe stata l'origine, nel costato dell'uomo ed il figlio nei lombi del padre"?
Ma allora perché, dopo aver detto: Dio fece l'uomo ad immagine di Dio, ( Gen 1,27; Gen 5,1 ) la Scrittura aggiunge nel contesto immediato: Dio lo fece maschio e femmina; li fece e li benedisse? ( Gen 1,27-28; Gen 5,2 )
Bisogna forse dividere così le parti della frase: Dio fece l'uomo, continuare poi: lo fece ad immagine di Dio, e aggiungere infine: lo fece maschio e femmina?
Alcuni hanno timore di dire: lo fece maschio e femmina, perché non si intendesse un essere mostruoso, simile a quelli che si chiamano ermafroditi,6 mentre si può, senza forzare il senso, vedere in questo singolare un'allusione all'uomo e alla donna, in quanto è detto: Due in una sola carne. ( Gen 2,24; Mt 19,5; 1 Cor 6,16; Ef 5,31 )
Perché dunque, per riprendere il mio ragionamento, nella natura umana fatta ad immagine di Dio, la Scrittura non menziona che l'uomo e la donna?
Perché l'immagine della Trinità fosse completa, avrebbe dovuto aggiungere anche il figlio, sebbene fosse ancora racchiuso nei lombi del padre, come la donna lo era nel suo costato. ( Gen 2,21-22 )
O si deve intendere che la donna era già stata creata e che la Scrittura, in un'espressione concisa, ora menziona soltanto ciò che si riserva di spiegare poi più dettagliatamente come sia stato creato e non poté menzionare il figlio, perché non era ancora nato?
Come se lo Spirito Santo non avesse potuto designare con la stessa concisione il figlio, riservandosi di raccontarne la nascita al momento voluto, allo stesso modo che racconta poi, al momento voluto, come la donna è stata tratta dal costato dell'uomo senza omettere tuttavia di nominarla in questo passo.
Dunque non dobbiamo intendere che l'uomo è stato creato ad immagine della Trinità suprema, cioè ad immagine di Dio, ( Gen 1,26.27; Gen 5,1; Gen 9,6 ) nel senso che questa immagine si riscontri in una trinità di persone umane: tanto più che l'Apostolo dice che l'uomo ( vir ) è immagine di Dio e per questo gli proibisce di velarsi il capo, mentre ordina alla donna di farlo.
Dice infatti: L'uomo non deve velarsi il capo, perché è l'immagine e la gloria di Dio.
La donna invece è la gloria dell'uomo. ( 1 Cor 11,7 )
Che dire di questo? Se la donna da parte sua contribuisce a completare l'immagine della Trinità perché, una volta che essa è stata tolta dal costato dell'uomo ( vir ), questi è ancora detto immagine? ( Gen 2,21-22; 1 Cor 11,5-7 )
E se in questa trinità di persone umane, una di esse, considerata a parte, può essere detta immagine di Dio, allo stesso modo che nella suprema Trinità ciascuna Persona è Dio, perché anche la donna non è immagine di Dio?
Ora sembra che essa non lo è, perché le si prescrive di velarsi il capo, cosa proibita all'uomo, perché egli è immagine di Dio.
Indice |
1 | Sallustio, Catil. 1, 1; Cicerone, De leg. 1, 9, 26; Ovidio, Metam. 1, 84-86 |
2 | Agostino, De div. qq. 83 66, 2: NBA, VI/2 |
3 | Ireneo, Adv. haeres. 1, 30, 1; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 57, 7 - 58, 14 |
4 | Ambrogio, De fide 4, 9, 99 |
5 | Cicerone, In Catil. 1, 5, 10 |
6 | Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 64 |