Summa Teologica - II-II |
III, q. 68, a. 10; Quodl., 2, q. 4, a. 2
Pare che i bambini degli Ebrei e degli altri infedeli vadano battezzati anche contro la volontà dei loro genitori.
1. Il vincolo matrimoniale è più forte del diritto alla patria potestà: poiché il diritto alla patria potestà può essere sciolto da un uomo, p. es. quando un figlio di famiglia si emancipa, mentre il vincolo matrimoniale non può essere sciolto da un uomo, poiché sta scritto [ Mt 19,6 ]: « Quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi ».
Eppure l'infedeltà scioglie il vincolo matrimoniale: scrive infatti l'Apostolo [ 1 Cor 7,15 ]: « Se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù ».
E nei Canoni [ Decr. di Graz. 2,28,1,4 ] si dice che se il coniuge privo di fede non intende convivere con l'altro senza ingiuria al suo Creatore, quest'ultimo non deve coabitare con lui.
Perciò a maggior ragione l'infedeltà toglie il diritto alla patria potestà sui propri figli.
Quindi i figli degli infedeli possono essere battezzati contro la volontà di costoro.
2. È più doveroso soccorrere un uomo di fronte al pericolo della morte eterna che di fronte al pericolo della morte temporale.
Ora se uno, vedendo un uomo di fronte al pericolo della morte temporale, non lo aiutasse, commetterebbe un peccato.
Siccome dunque i figli degli Ebrei e degli altri infedeli sono di fronte al pericolo della morte eterna se vengono lasciati ai genitori che li educano alla loro infedeità, è chiaro che vanno strappati ad essi e battezzati e istruiti nella fede.
3. I figli degli schiavi sono schiavi, e soggetti al dominio dei padroni.
Ma gli Ebrei sono sotto il dominio dei re e dei principi.
E così i loro figli.
Perciò i re e i principi hanno il potere di disporre dei figli degli Ebrei come vogliono.
Quindi non c'è alcuna ingiustizia nel battezzarli contro la volontà dei loro genitori.
4. Un uomo appartiene più a Dio, dal quale riceve l'anima, che al padre carnale, da cui riceve il corpo.
E così non c'è ingiustizia nel sottrarre i bambini dei Giudei ai loro genitori per consacrarli a Dio con il battesimo.
5. Per la salvezza eterna è più efficace il battesimo che la predicazione: poiché il battesimo toglie all'istante la macchia del peccato e il reato della pena, e apre le porte del cielo.
Ma se deriva un pericolo dalla mancanza di predicazione, ciò viene imputato a chi non predica, secondo le parole rivolte in Ezechiele [ Ez 3,18-20; Ez 33,6-8 ] contro colui « che vede arrivare la spada, e non suona la tromba ».
A maggior ragione quindi sarà imputato a colpa a quelli che potevano battezzarli se i bambini del Giudei si dannano per il mancato battesimo.
Non si può fare torto a nessuno.
Ora, si farebbe un torto agli Ebrei battezzandone i figli contro la loro volontà: poiché essi perderebbero così il diritto alla patria potestà sui figli, una volta che questi diventassero fedeli.
Perciò questi non possono essere battezzati contro la volontà dei genitori.
La consuetudine della Chiesa, che sempre e in tutto deve essere seguita, ha la massima autorità.
Poiché lo stesso insegnamento dei Santi Dottori Cattolici riceve la sua autorità dalla Chiesa.
Per cui si deve stare più all'autorità della Chiesa che a quella di S. Agostino, di S. Girolamo o di qualunque altro Dottore.
Ora, nella Chiesa non ci fu mai l'uso di battezzare i figli degli Ebrei contro la volontà dei loro genitori, nonostante che nel passato ci siano stati molti principi cattolici potentissimi, quali Costantino e Teodosio, che furono amici di santissimi vescovi, come Costantino di S. Silvestro e Teodosio di S. Ambrogio, i quali non avrebbero tralasciato di ottenere da loro una legge simile, se essa fosse stata conforme alla ragione.
Perciò pare pericoloso difendere ora l'asserzione, contraria alla consuetudine della Chiesa, secondo cui i figli degli Ebrei vanno battezzati contro la volontà dei genitori.
E ci sono due ragioni che lo dimostrano.
La prima consiste nel pericolo per la fede.
Se infatti ricevessero in questo modo il battesimo bambini privi dell'uso di ragione, quando essi in seguito raggiungessero l'età matura potrebbero facilmente essere indotti dai loro genitori ad abbandonare quanto avevano ricevuto a loro insaputa.
E questo sarebbe un danno per la fede.
C'è poi una seconda ragione: l'incompatibilità con la giustizia naturale.
Infatti il figlio è per natura qualcosa del padre.
Anzi, dapprima egli non è separato neppure fisicamente dai genitori, finché è contenuto nell'utero materno.
E in seguito, quando è stato partorito, prima di raggiungere l'uso del libero arbitrio è racchiuso sotto la custodia dei genitori come in un utero spirituale.
Infatti il bambino, finché non ha l'uso della ragione, non differisce da un animale irragionevole.
Perciò come il bue o il cavallo appartengono a un padrone che può usarne a proprio arbitrio come di strumenti, secondo il diritto civile, così secondo il diritto naturale il figlio, prima dell'uso della ragione, è sotto la cura del padre.
Sarebbe quindi contro la giustizia naturale sottrarre allora il bambino dalle cure dei genitori o disporre di lui contro la loro volontà.
Quando invece [ il bambino ] comincia ad avere l'uso del libero arbitrio, allora comincia ad appartenere a se stesso, e può decidere di se stesso nelle cose di diritto divino e di diritto naturale.
E allora si deve disporlo alla fede, non con la forza, ma con la persuasione.
E così egli può accettare la fede e farsi battezzare anche contro la volontà dei genitori: non prima però dell'uso di ragione.
Si dice infatti che i bambini degli antichi Padri « si salvarono per la fede dei loro genitori »: con le quali parole si vuole intendere che spetta ai genitori provvedere alla salvezza dei figli, in modo speciale prima dell'uso di ragione.
1. Nel matrimonio tutti e due i coniugi hanno l'uso del libero arbitrio, e ognuno ha la facoltà di accettare la fede contro il parere dell'altro.
Ma ciò non avviene nel bambino prima dell'uso di ragione.
Il paragone invece regge quando questi abbia raggiunto l'uso di ragione, e voglia convertirsi.
2. Non si può strappare uno dalla morte fisica contro l'ordine del diritto civile: se uno, p. es., viene condannato a morte dal giudice legittimo, nessuno può sottrarlo al supplizio con la violenza.
E allo stesso modo nessuno deve infrangere il diritto naturale, che vuole il figlio sotto la cura del padre, per liberarlo dalla morte eterna.
3. Gli Ebrei sono soggetti al dominio civile dei principi, il quale non esclude l'ordine del diritto naturale o divino.
4. L'uomo viene indirizzato a Dio dalla ragione, con la quale è in grado di conoscerlo.
Perciò il bambino prima dell'uso di ragione è indirizzato a Dio, secondo l'ordine naturale, dalla ragione dei genitori, alla cui tutela per natura è affidato: quindi le cose divine gli devono essere somministrate secondo le loro disposizioni.
5. Il pericolo per la mancata predicazione minaccia soltanto coloro che ne sono incaricati: infatti quel testo di Ezechiele è preceduto da queste parole [ Ez 3.16; Ez 33,7 ]: « Ti ho posto per sentinella alla casa di Israele ».
Ora, tocca ai genitori procurare i sacramenti della salvezza ai bambini degli infedeli.
Perciò il pericolo minaccia costoro, se per la mancanza dei sacramenti viene negata la salvezza ai loro bambini.
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