Summa Teologica - II-II |
Pare che la beneficenza non sia un atto della carità.
1. La carità ha per oggetto principale Dio.
Ma verso di lui noi non possiamo essere benefici, poiché sta scritto [ Gb 35,7 ]: « Che cosa gli dai, o che cosa riceve dalla tua mano? ».
Quindi la beneficenza non è un atto della carità.
2. La beneficenza consiste specialmente nel fare dei donativi.
Ma questo è proprio della liberalità.
Quindi la beneficenza non è un atto della carità, ma della liberalità.
3. Tutto ciò che uno dà, lo dà o come cosa dovuta o come cosa non dovuta.
Ora, il beneficio che è dovuto appartiene alla giustizia, mentre quello non dovuto è dato gratuitamente, e quindi appartiene alla misericordia.
Quindi qualsiasi beneficenza o è un atto di giustizia o è un atto di misericordia.
Perciò non è un atto della carità.
La carità è un'amicizia, come si è spiegato [ q. 23, a. 1 ].
Ma il Filosofo [ Ethic. 9,4 ] tra gli altri atti dell'amicizia mette anche quello di « fare del bene agli amici », cioè di beneficarli.
Quindi la beneficenza è un atto della carità.
La beneficenza consiste essenzialmente nel fare del bene a qualcuno.
Ma questo bene può essere considerato sotto due punti di vista.
Prima di tutto sotto l'aspetto generico del bene.
E da questo lato appartiene alla beneficenza in generale.
E allora è un atto di amicizia, e quindi di carità.
Infatti ogni atto di amore, come si è detto [ q. 23, a. 1; q. 27, a. 2 ], include la benevolenza, con la quale uno vuole del bene all'amico.
Ma la volontà tende a compiere ciò che vuole, se ne ha la possibilità.
Perciò dall'atto di amore segue logicamente la beneficenza verso l'amico.
Quindi la beneficenza, nel suo aspetto generico, è un atto dell'amicizia, o della carità.
- Se però il bene che uno fa ad altri viene considerato sotto un qualche aspetto particolare di bene, allora la beneficenza riveste una speciale natura, e appartiene a una virtù speciale.
1. Come scrive Dionigi [ De div. nom. 4 ], « l'amore muove gli esseri ordinati secondo una reciprocità di relazioni in modo da volgere gli inferiori verso i superiori perché ne siano nobilitati, e da spingere i superiori a provvedere agli inferiori ».
E in questo senso la beneficenza è un effetto dell'amore.
Quindi non tocca a noi beneficare Dio, ma onorarlo sottomettendoci a lui; mentre è compito suo beneficare noi in conseguenza del suo amore.
2. Nel conferimento dei doni dobbiamo considerare due cose: ciò che viene offerto e l'affetto interiore che uno ha per le ricchezze, compiacendosi di esse.
Ora, alla liberalità spetta moderare la passione interiore, in modo che uno non esageri nel desiderio e nell'amore delle ricchezze: e questo rende l'uomo pronto a dare con facilità.
Se quindi uno dà anche molto, ma con un certo desiderio di ritenere ciò che dona, il suo dare non è liberale.
Invece dalla parte della cosa donata l'offerta di un beneficio appartiene in generale all'amicizia o alla carità.
Per cui non infirma l'amicizia il fatto che uno dia per amore ciò che desidererebbe trattenere, ma piuttosto da ciò appare la perfezione della sua amicizia.
3. Come l'amicizia, o la carità, considera nel beneficio prestato la comune ragione di bene, così la giustizia considera in esso la ragione di cosa dovuta.
La misericordia invece considera in esso l'aspetto di rimedio a una menomazione o a una miseria.
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