Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 42, a. 2, ad 2
Pare che la discordia non sia un peccato.
1. Discordare da qualcuno significa allontanarsi dal suo volere.
Ma questo non è un peccato: poiché la regola del nostro volere è la sola volontà di Dio, e non quella del prossimo.
Perciò la discordia non è un peccato.
2. Chi spinge altri a peccare, pecca lui stesso.
Invece spingere altri alla discordia non pare essere un peccato: poiché negli Atti [ At 23,6s ] si legge di S. Paolo: « Sapendo che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce: Fratelli io sono fariseo, figlio di farisei, e sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti.
Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei ».
Quindi la discordia non è un peccato.
3. Il peccato, specialmente se mortale, non può trovarsi nei santi.
Ma nei santi si riscontra la discordia, poiché sta scritto [ At 15,39 ]: « Tra Barnaba e Paolo il dissenso fu tale che si separarono l'uno dall'altro ».
Quindi la discordia non è un peccato, e tanto meno mortale.
I dissensi, o discordie, sono enumerati da S. Paolo [ Gal 5,20 ] tra le opere della carne, con la finale [ Gal 5,21 ]: « Chi compie queste cose non erediterà il regno di Dio ».
Ora, solo il peccato mortale esclude dal regno di Dio.
Quindi la discordia è un peccato mortale.
La discordia è il contrario della concordia.
Ora la concordia, come si è visto [ q. 29, a. 3 ], è un effetto della carità, cioè deriva dal fatto che la carità unisce i cuori di più persone in una data cosa, che è principalmente il bene divino e secondariamente il bene del prossimo.
Perciò la discordia è peccato nella misura in cui si oppone a tale concordia.
Ora, si deve riconoscere che questa concordia può essere eliminata in due modi: primo, per se e direttamente; secondo, per accidens.
Ma negli atti umani si dice che un moto è per se se è intenzionale.
Quindi uno discorda per se, o direttamente, dal prossimo, quando coscientemente e intenzionalmente dissente dal bene di Dio e del prossimo, nel quale è tenuto a consentire.
E questo è un peccato mortale per il suo genere, essendo contrario alla carità; sebbene i primi moti di questa discordia, per l'imperfezione dell'atto, siano peccati veniali.
Invece è per accidens negli atti umani ciò che è preterintenzionale.
Perciò quando l'intenzione ha di mira l'amore di Dio e il bene del prossimo, ma uno pensa che una data cosa sia buona mentre un altro pensa il contrario, allora la discordia è contro il bene divino o del prossimo per accidens.
E una tale discordia non è un peccato, e non è incompatibile con la carità, a meno che non sia accompagnata da un errore su cose che sono indispensabili alla salvezza, o da un'ingiustificabile pertinacia: poiché, come sopra [ q. 29, a. 1; a. 3, ad 2 ] si è detto, la concordia che è un effetto della carità è unione di volontà e non di opinioni.
Dal che risulta che la discordia talora è un peccato solo per uno dei contendenti, p. es. quando uno vuole il bene al quale l'altro coscientemente resiste; talora invece è un peccato per entrambi, cioè quando entrambi dissentono dal bene reciproco, e ciascuno ama [ esclusivamente ] il proprio bene.
1. Il volere di un uomo considerato in se stesso non è la regola del volere di un altro.
Però il volere del prossimo in quanto aderisce alla volontà di Dio diviene a sua volta una regola regolata secondo la prima regola.
Quindi discordare da questo volere è un peccato: poiché in tal modo si discorda dalla regola divina.
2. Come una volontà umana è una regola retta, da cui è peccato discordare, quando aderisce a Dio, così una volontà umana contraria a Dio è una regola perversa con la quale è bene essere in discordia.
Provocare quindi la discordia togliendo la buona concordia prodotta dalla carità è un grave peccato: per cui nei Proverbi [ Pr 6,16 ] si legge: « Sei cose odia il Signore: anzi, sette gli sono in abominio »: e questa settima cosa è indicata [ Pr 6,19 ] in « colui che provoca litigi tra fratelli ».
Provocare invece la discordia eliminando la cattiva concordia di chi vuole il male è cosa lodevole.
E in questo senso fu da lodarsi S. Paolo quando introdusse il dissenso fra coloro che erano concordi nel male: infatti anche il Signore [ Mt 10,34 ] disse di se stesso: « Non sono venuto a portare la pace, ma la spada ».
3. La discordia fra Paolo e Barnaba fu una discordia per accidens, e non per se: infatti l'uno e l'altro volevano il bene, ma a uno pareva che fosse buona una cosa, e all'altro un'altra.
Il che era dovuto ai limiti dell'uomo, non trattandosi di una controversia su cose necessarie alla salvezza.
- Sebbene anche questo fosse stato preordinato dalla provvidenza divina, per i vantaggi che ne sarebbero nati.
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