Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se la pace sia un effetto proprio della carità

I-II, q. 70, a. 3; Expos. in Decal., Prolog.

Pare che la pace non sia un effetto proprio della carità.

Infatti:

1. Non si può avere la carità senza la grazia santificante.

Ma la pace è posseduta da alcuni che non hanno la grazia santificante: come anche i pagani talora hanno la pace.

Quindi la pace non è un effetto della carità.

2. Non è un effetto della carità una cosa il cui contrario può sussistere con la carità.

Ora la dissensione, che è contraria alla pace, può sussistere con la carità.

Vediamo infatti che anche dei Santi Dottori, come Girolamo e Agostino, dissentirono fra loro in certe opinioni.

Leggiamo poi nella Scrittura [ At 15,37ss ] che ebbero dissensi anche Paolo e Barnaba.

Quindi la pace non è un effetto della carità.

3. Un'identica cosa non può essere l'effetto proprio di virtù diverse.

Ma la pace è l'effetto della giustizia, secondo le parole di Isaia [ Is 32,17 ]: « Opera della giustizia sarà la pace ».

Perciò non è un effetto della carità.

In contrario:

Sta scritto [ Sal 119,165 ]: « Grande pace per chi ama la tua legge ».

Dimostrazione:

Il concetto di pace, come si è detto [ a. 1 ], implica due tipi di unificazione: la prima riguardante il coordinamento dei propri appetiti, la seconda riguardante la fusione dei propri appetiti con quelli altrui.

E tutte e due queste unificazioni sono compiute dalla carità.

La prima per il fatto che con essa si ama Dio con tutto il cuore, cioè in modo da rivolgere a lui ogni cosa: e così tutti i nostri desideri sono rivolti a un solo oggetto.

La seconda invece per il fatto che amiamo il prossimo come noi stessi: dal che risulta che uno vuole compiere la volontà del prossimo come la propria.

Per questo tra i requisiti dell'amicizia c'è anche l'identità della scelta, come insegna Aristotele [ Ethic. 9,4 ]; e Cicerone [ De amic. 4 ] scrive che « gli amici hanno identico il volere e il non volere ».

Analisi delle obiezioni:

1. Nessuno decade dalla grazia santificante se non per il peccato, col quale l'uomo si allontana dal debito fine scegliendone uno cattivo.

Perciò il suo appetito non aderisce primariamente al vero bene finale, ma a un bene apparente.

E così senza la grazia santificante non ci può essere una pace vera, ma solo apparente.

2. Come spiega il Filosofo [ Ethic. 9,6 ], per l'amicizia non si richiede la concordia nelle opinioni, ma [ solo ] nei beni utili alla vita, specialmente in quelli più importanti: poiché dissentire in certe piccole cose non pare neppure un dissenso.

Per cui nulla impedisce che ci sia dissenso di opinioni tra persone che hanno la carità.

E ciò non esclude la pace: poiché le opinioni riguardano l'intelletto, il quale precede l'appetito, che è unificato dalla pace.

- Parimenti, quando c'è concordia nei beni principali, il dissenso in certe piccole cose non compromette la carità.

Infatti tale dissenso deriva dalla diversità di opinioni, quando uno giudica una data cosa conforme al bene in cui concorda con l'altro, mentre l'altro non la giudica tale.

- E in base a ciò tale dissenso nelle piccole cose e nelle opinioni è certamente incompatibile con la pace perfetta, nella quale la verità sarà pienamente conosciuta e ogni desiderio sarà soddisfatto, ma non è incompatibile con la pace imperfetta propria dei viatori.

3. La pace indirettamente è opera della giustizia, in quanto questa ne rimuove gli ostacoli, ma direttamente è opera della carità: poiché la carità causa la pace in forza della sua natura.

Infatti l'amore, come insegna Dionigi [ De div. nom. 4 ], è « una forza unitiva »: ora, la pace è l'unificazione tra le inclinazioni dell'appetito.

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