Summa Teologica - II-II |
C. G., III, c. 127; In 2 Polit., lect. 4
Pare che a nessuno sia lecito possedere delle cose in proprio.
1. Tutto ciò che è contro il diritto naturale è illecito.
Ora, secondo il diritto naturale tutto è comune, e la proprietà privata è incompatibile con tale comunanza.
Quindi è illecita l'appropriazione di qualsiasi bene esteriore.
2. S. Basilio [ cf. a. prec., ob. 2 ] afferma: « Quei ricchi che considerano loro proprie le cose comuni di cui si sono impossessati per primi sono come uno che, arrivando per primo al teatro, impedisse agli altri di entrare, riservando a se stesso ciò che è destinato al godimento di tutti ».
Ma precludere agli altri la via per impossessarsi dei beni comuni è cosa illecita.
Quindi è illecito appropriarsi di un bene comune.
Due sono le facoltà dell'uomo rispetto ai beni esterni.
La prima è la facoltà di procurarli e di amministrarli.
E da questo lato è lecito all'uomo possedere dei beni propri.
Anzi, ciò è anche necessario alla vita umana, per tre motivi.
Primo, perché ciascuno è più sollecito nel procurare ciò che appartiene a lui esclusivamente che non quanto appartiene a tutti, o a più persone: poiché ognuno, per sfuggire la fatica, tende a lasciare ad altri quanto spetta al bene comune; come capita là dove ci sono molti servitori.
- Secondo, perché le cose umane si svolgono con più ordine se ciascuno ha il compito di provvedere a una certa cosa mediante la propria cura personale, mentre ci sarebbe disordine se tutti indistintamente provvedessero a ogni singola cosa.
- Terzo, perché così è più garantita la pace tra gli uomini, accontentandosi ciascuno delle sue cose.
Infatti vediamo che tra coloro che possiedono qualcosa in comune spesso nascono contese.
L'altra facoltà che ha l'uomo sulle cose esterne è il loro uso.
Ora, da questo lato l'uomo non deve considerare le cose come esclusivamente proprie, ma come comuni: in modo cioè da metterle facilmente a disposizione nelle altrui necessità.
Di qui il comando dell'Apostolo [ 1 Tm 6,17s ]: « Ai ricchi di questo mondo raccomanda di fare del bene, di essere pronti a dare ».
1. La comunanza dei beni viene attribuita al diritto naturale non perché questo imponga di possedere tutto in comune e nulla in privato, ma perché la distinzione delle proprietà non dipende dal diritto naturale, bensì da una convenzione umana la quale, come si è già notato [ q. 57, aa. 2,3 ], rientra nel diritto positivo.
Per cui il possesso privato non è contro il diritto naturale, ma è un suo sviluppo dovuto alla ragione umana.
2. Chi, arrivando per primo al teatro, preparasse la strada per gli altri, non agirebbe in maniera illecita: agirebbe invece illecitamente se escludesse gli altri.
Parimenti il ricco non agisce in maniera illecita se, impossessandosi per primo di un bene che prima era comune, ne fa partecipi gli altri; pecca invece se irragionevolmente ne impedisce l'uso agli altri.
Da cui le parole di S. Basilio: « Perché tu abbondi, e l'altro è invece ridotto all'elemosina, se non perché tu ti faccia dei meriti con l'elargizione, mentre l'altro attende di essere coronato col premio della pazienza? ».
3. Le parole di S. Ambrogio: « Nessuno dica proprio ciò che è comune », si riferiscono all'uso della proprietà.
Leggiamo infatti subito dopo: « Quanto sopravanza alla spesa è frutto di rapina ».
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