Summa Teologica - II-II |
Pare che uno non sia tenuto a sopportare gli insulti che riceve.
1. Chi sopporta l'insulto che riceve incoraggia l'ardire di chi insulta.
Ma questa non è una cosa da farsi.
Quindi non si devono sopportare le contumelie che si ricevono, ma piuttosto rispondere a chi le infligge.
2. Un uomo è tenuto ad amare se stesso più degli altri.
Ora, uno non deve sopportare l'insulto fatto ad altri, poiché sta scritto [ Pr 26,10 Vg ]: « Chi impone il silenzio allo stolto acquieta l'ira ».
Perciò si è anche tenuti a non sopportare gli insulti ricevuti personalmente.
3. A nessuno è permesso di vendicarsi, poiché sta scritto [ Eb 10,30 ]: « A me la vendetta! Io darò la retribuzione ».
Ma non reagendo agli insulti uno si vendica, poiché secondo il Crisostomo [ In Rm hom. 22 ]: « Se vuoi vendicarti, taci: e gli avrai inferto una piaga mortale ».
Quindi uno non deve sopportare in silenzio le parole oltraggiose, ma piuttosto rispondere.
Il Salmista [ Sal 38,13s ] ha scritto: « Tende lacci chi attenta alla mia vita »; e aggiunge: « Ma io come un sordo non ascolto, e come un muto non apro la bocca ».
Come è necessaria la pazienza nelle azioni compiute da noi, così è necessaria nelle parole contrarie che ci riguardano.
Ora, l'obbligo di sopportare le azioni ingiuriose è da considerarsi quale predisposizione dell'animo, come dice S. Agostino [ De serm. Dom. in monte 1,19.57 ] spiegando quel precetto del Signore [ Mt 5,39 ]: « Se uno ti percuote su una guancia, porgigli anche l'altra »; cioè nel senso che uno deve essere disposto a farlo, se è necessario.
Ma nessuno è tenuto a farlo sempre nella realtà, poiché neppure il Signore lo fece, p. es. quando dopo aver ricevuto uno schiaffo disse [ Gv 18,23 ]: « Perché mi percuoti? ».
Quindi anche a proposito delle parole offensive vale lo stesso criterio.
Infatti siamo tenuti ad avere l'animo preparato a sopportare gli insulti quando ciò è richiesto.
Ma in certi casi è necessario respingere le ingiurie: e specialmente per due motivi.
Primo, per il bene di chi insulta: cioè per reprimerne l'audacia, ossia perché non osi ripetere tali atti.
Nei Proverbi [ Pr 26,5 ] infatti si legge: « Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza, perché egli non si creda saggio ».
Secondo, per il bene di altre persone che potrebbe venire compromesso dagli insulti fatti a noi.
Per cui S. Gregorio [ In Ez hom. 9 ] insegna: « Coloro la cui vita deve servire d'esempio, se possono, devono far tacere i loro detrattori: affinché coloro che possono ascoltare la loro predicazione non ne siano distolti rimanendo così nei loro vizi, senza curarsi di vivere onestamente ».
1. Si è tenuti a reprimere l'audacia di chi insulta, ma con la debita moderazione: cioè per compiere un dovere di carità, e non per la brama del prestigio personale.
Da cui le parole dei Proverbi [ Pr 26,4 ]: « Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, per non divenire anche tu simile a lui ».
2. Nel reagire alle contumelie subite da altri non c'è da temere la brama del prestigio personale come nel reagire a quelle rivolte contro di noi: infatti ciò pare derivare piuttosto da un sentimento di carità.
3. Se uno tacesse col proposito di provocare in tal modo l'ira di chi lo insulta, si avrebbe una vendetta.
Se invece uno tace volendo « lasciar fare all'ira [ divina ] » [ Rm 12,19 ], allora si ha un atto lodevole.
Da cui le parole [ Sir 8,3 ]: « Non litigare con un uomo linguacciuto e non aggiungere legna sul suo fuoco ».
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