Discorso del Signore sulla montagna |
Tuttavia in queste tribolazioni, quando un uomo incontra difficoltà, continuando il cammino per sentieri scabrosi e inagibili, aggredito da vari assalti e vedendo che da una parte e dall'altra si ergono gli ammassi della vita passata teme di poter continuare le opere intraprese, abbranchi il consiglio per meritare l'aiuto.
E che cos'è altro il consiglio se non sopportare la debolezza degli altri e soccorrerla, quanto è possibile, perché desidera che alla propria si venga in aiuto da Dio.
Quindi di conseguenza esaminiamo le opere di misericordia.
Il mite e il misericordioso sembrano la medesima cosa, ma v'è questa differenza.
Il mite, di cui abbiamo trattato precedentemente, non contesta le massime divine, proferite contro i suoi peccati, e le parole di Dio che ancora non comprende.
Però non fa del bene a colui che non contesta e a cui non si oppone; il misericordioso invece non si oppone in modo che fa qualcosa per la correzione di colui che con l'opposizione renderebbe peggiore.
Dunque il Signore continua con le parole: Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lasciagli anche il mantello; e se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. ( Mt 5,38-42 )
La minore virtù dei Farisei consiste nel non eccedere nella vendetta la misura affinché non renda in co1999_salaComunità.pdfntraccambio più di quel che ha ricevuto; e questo è già un gran passo.
Non è facile trovare chi, ricevuto un pugno, si limiti a restituirlo; e udita da uno che oltraggia una sola parola, si contenti di ricambiarla e tale che significhi la medesima cosa; ma si vendica più sfrenatamente o perché sconvolto dall'ira o perché ritiene che chi ha oltraggiato per primo sia oltraggiato più gravemente di come è stato oltraggiato colui che non lo aveva oltraggiato.
La Legge in cui era scritto: Occhio per occhio e dente per dente ( Es 21,24 ) frenò in gran parte tale modo di pensare.
Con questi termini è indicata la misura, sicché la vendetta non superi l'oltraggio. Ed è
il cominciamento della pace,
ma è perfetta pace non volere affatto la vendetta.
Dunque fra quel comportamento, che è contro la Legge, di rendere un male maggiore per uno minore e fra questo, che il Signore indica per istruire i discepoli, di non rendere male per male, tiene una via di mezzo che si renda quanto si è avuto.
Così attraverso questo comportamento è avvenuto, in riferimento alla diversità dei tempi, il passaggio dalla somma discordia alla somma concordia.
Rifletti dunque quanto differisca chi per primo fa del male nell'intento di offendere e danneggiare da chi non ricambia, anche se offeso.
Chi invece non ha fatto del male per primo, ma offeso ricambia più gravemente o di proposito o di fatto, si è allontanato un po' dalla somma iniquità e si è avvicinato alla somma virtù, ma ancora non osserva ciò che ha ordinato la Legge che è stata sancita mediante Mosè.
Chi dunque restituisce il tanto che ha ricevuto, già dona qualche cosa, giacché chi nuoce non incorre in una pena così grande come quella che ha dovuto subire chi, pur innocente, è stato da lui offeso.
Colui dunque, che non è venuto ad abrogare la Legge ma a darle compimento, ( Mt 5,17 ) ha elevato questa virtù delle origini rendendola non severa ma misericordiosa.
Ed ha lasciato capire che vi sono di mezzo altri due livelli e ha preferito parlare del punto più alto della misericordia.
Ha infatti ancora qualche cosa da compiere chi non adempie la suddetta sublimità del comandamento, la quale è propria del regno dei cieli; ossia egli può restituire non in egual misura, ma di meno, ad esempio per due pugni uno o taglia l'orecchio in luogo di un occhio strappato.
Da qui salendo in su chi non ricambia affatto si avvicina al comandamento del Signore, ma non vi giunge ancora.
Al Signore sembra ancora poco, se in luogo del male che hai ricevuto non ricambi niente di male, se non sei disposto a sopportarne di più.
Quindi non ha detto: Ma io vi dico di non rendere male per male, sebbene anche questo sia un grande comandamento, ma ha detto di non resistere al male in modo che tu non solo non ricambi quel che ti fosse inflitto, ma non resisti che te ne sia ancora inflitto.
E questa massima si ha in quel che dice di seguito: Se qualcuno ti colpisse sulla tua guancia destra, porgigli anche l'altra. ( Mt 5, 39 )
Non ha detto: Se qualcuno ti colpisse, non colpirlo, ma disponiti a lui che ti colpisce ancora.
Intendono che il comandamento appartiene alla misericordia soprattutto coloro che si prodigano per coloro che grandemente amano, come figli o altre persone molto care ammalate, o bambini o frenetici.
Da essi spesso subiscono molte sofferenze e se la loro salute lo richiede, si offrono a sopportarne di più, fino a quando termina la crisi dell'età o della malattia.
Che altro dunque il Signore, medico delle anime, poteva insegnare a quelli che educava a curare il prossimo, se non di sopportare con animo tranquillo le deficienze di coloro alla cui salute volevano provvedere?
Ogni disonestà infatti deriva dalla deficienza della coscienza, perché non v'è nulla di più innocente di chi è perfetto nella virtù.
Si può esaminare anche che cosa significhi la guancia destra.
Così si legge infatti nei codici greci, a cui si deve maggior credito.
Invece molti codici latini riportano soltanto guancia, non destra.
Il viso è quella parte dalla quale si riconosce l'individuo.
Leggiamo nell'Apostolo: Voi sopportate se qualcuno vi riduce in schiavitù, se vi divora, se vi sfrutta, se è arrogante, se vi colpisce sul viso; poi soggiunge: Lo dico con vergogna, ( 2 Cor 11,20-21 ) per indicare che cosa significa esser colpito nel viso, cioè essere vilipeso e disprezzato.
E l'Apostolo non lo dice affinché non sopportassero quei tali, ma sopportassero lui che li amava in modo tale da sacrificare per loro se stesso. ( 2 Cor 12,15 )
Ma poiché il viso non si può considerare destro o sinistro e tuttavia la riputazione può essere secondo Dio e secondo il mondo, viene assegnata, per così dire, alla guancia destra e sinistra, in modo che se in qualche discepolo di Cristo si biasimasse il fatto che è cristiano, egli sia disposto che in lui si biasimi di più se ha alcune onorificenze del mondo.
Ad esempio l'Apostolo stesso, quando gli uomini condannavano in lui il nome cristiano, se taceva dell'onore che aveva nel mondo, non porgeva l'altra guancia a quelli che gli colpivano la destra.
Infatti il dire: Sono cittadino romano ( At 22,25 ) non significa che non era disposto che da quelli, che in lui biasimavano un nome di tanto valore e dignità, si biasimasse questo onore che egli considerava tanto inferiore.
Forseché in seguito sopportò di meno le catene, che non era lecito imporre ai cittadini romani o decise di accusare qualcuno di questa ingiustizia?
E se alcuni per il titolo della cittadinanza romana lo risparmiarono, tuttavia egli presentò loro qualcosa da colpire in quanto con la propria sopportazione desiderava emendarli da tanto pervertimento, perché avvertiva che in lui onoravano più la parte sinistra che la destra.
Si deve infatti porre molta attenzione con quale sentimento compisse ogni azione, con quanta benevolenza e dolcezza verso coloro dai quali subì quelle offese.
Anche la frase: Dio percuoterà te, muro imbiancato, che apparentemente proferì come ingiuria, quando per ordine del pontefice fu colpito con una manata sulla bocca, ( At 23,2-3 ) ai meno intelligenti sembra un'offesa, ma per gli intelligenti invece è una profezia.
Il muro imbiancato è appunto l'ipocrisia, cioè la finzione che si pavoneggia della dignità sacerdotale e che sotto questo titolo, quale candida copertura, nasconde l'interiore sporcizia quasi fangosa.
Difatti mantenne stupendamente quel che è proprio dell'umiltà, quando gli fu detto: Offendi il capo dei sacerdoti? rispose: Non sapevo, o fratelli, che è il capo dei sacerdoti, perché è scritto: Non offendere il capo del tuo popolo. ( At 23,4-5; Es 22,28 )
Mostrò così con quanta tranquillità avesse detto quelle parole che sembrava aver detto con ira, perché rispose con tanta prontezza e calma; e questo non è possibile che avvenga da parte di persone sdegnate e inquiete.
E con la frase stessa ha detto il vero per coloro che comprendono: Non sapevo che è il capo dei sacerdoti, come se dicesse: Io ho conosciuto un altro capo dei sacerdoti, per il cui nome sopporto queste offese e che non è lecito insultare, ma che voi insultate poiché in me non avete odiato altro che il suo nome.
Quindi è indispensabile non avere sempre in bocca con finzione certe parole, ma essere sempre disposto a tutto nel cuore, affinché ciascuno possa cantare le parole del Profeta: Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore. ( Sal 57,8 )
Molti infatti sanno porgere l'altra guancia, ma non sanno amare colui da cui sono colpiti.
Il Signore, che per primo ha osservato i comandamenti che ha prescritto, al servo del sacerdote che l'aveva colpito sulla guancia, non porse l'altra, ma disse: Se ho parlato male, mostrami dov'è il male; se bene perché mi percuoti?. ( Gv 18,23 )
Ma non per questo non fu disposto nel cuore non solo a essere colpito sull'altra guancia per la salvezza di tutti, ma anche ad essere confitto in croce con tutto il corpo.
Anche riguardo alla massima che segue: E a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica tu lasciagli anche il mantello, ( Mt 5,40 ) si deve riflettere che è stata prescritta per rendere disponibile il cuore e non per ostentare un gesto.
Ma quel che è stato detto della tunica e del mantello non si deve osservare soltanto per essi, ma per tutti i beni che per un qualche diritto civilmente consideriamo di nostra proprietà.
E se questo è stato detto per le cose necessarie, tanto più conviene trattare con indifferenza le cose superflue.
Tuttavia i beni che ho considerato di nostra proprietà si devono assegnare a quel rango che il Signore stesso ha imposto, quando dice: Se qualcuno ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica.
Si intendano dunque tutti i beni per i quali ci si può chiamare in giudizio, in modo che da nostra proprietà passino alla proprietà di colui che chiama in giudizio o di colui a cui favore chiama in giudizio, come una veste, una casa, un terreno, un animale da tiro e in generale il denaro.
È un grande problema se si devono includere anche gli schiavi.
Invero non è conveniente che un cristiano possegga uno schiavo con la medesima attinenza che il cavallo o l'argento, sebbene può avvenire che sia di prezzo più alto un cavallo che uno schiavo e molto di più un oggetto d'oro o d'argento.
Ma se con maggiore lealtà e onestà e in forma più adatta a onorare Dio lo schiavo viene ammaestrato e dominato da te padrone che da colui che desidera averlo, non so se si può affermare che deve essere trattato come un mantello.
Un uomo infatti deve amare un altro uomo come se stesso perché, come dimostrano gli argomenti successivi, dal Signore di tutti gli si impone di amare anche i nemici.
Si deve anche riflettere che ogni tunica è vestito, ma non ogni vestito è tunica.
Il termine vestito quindi significa più indumenti che quello di tunica.
Penso che è stato detto: A chi vuole chiamarti in giudizio per toglierti la tunica, cedigli anche il vestito nel senso: A chi volesse toglierti la tunica, cedigli un altro vestito che hai.
Perciò alcuni hanno tradotto mantello il termine che in greco è ίμάτιον.
E se uno ti costringerà, dice il Signore, a fare un miglio, fanne con lui altri due. ( Mt 5,41 )
E questo non tanto perché tu agisca con i piedi, quanto piuttosto perché sii disposto con la coscienza.
Difatti nella stessa storia del cristianesimo, che ha credito, non trovi che un tale comportamento sia stato attuato dai santi o dal Signore stesso, sebbene nell'uomo che si è degnato di assumere, ci offrì un esempio da seguire.
Eppure apprendi che in tutti i paesi furono disposti a sopportare con animo sereno ogni difficoltà che fosse loro imposta ingiustamente.
Ma possiamo pensare che per un modo di dire abbia detto: Fanne con lui altri due, oppure ha voluto che se ne facessero tre?
Difatti con questo numero è simboleggiata la perfezione, affinché ognuno, quando compie questa azione, ricordi che esercita la virtù perfetta in quanto sopporta con benevolenza le infermità degli altri perché vuole che divengano sani.
Si può riflettere che allo scopo ha proposto questi comandamenti anche con tre esempi, dei quali il primo è: se qualcuno ti colpisce sulla guancia; il secondo: se qualcuno vorrà toglierti la tunica; il terzo: se qualcuno ti costringerà a fare un miglio e in questo terzo esempio all'uno si aggiunge il due affinché si abbia il tre.
Se un tale numero in questo passo non simboleggia, come è stato detto, la perfezione, s'interpreti che il Signore, nel comandare iniziando, per così dire, in termini più sopportabili, un po' alla volta ha aumentato fino a giungere a suggerire il doppio.
Infatti ha voluto che in primo luogo si porgesse l'altra guancia, qualora fosse colpita la destra affinché tu sia disposto a sopportare meno di quel che hai già sopportato; difatti qualsiasi cosa simboleggi la destra, è certamente di maggior pregio di quel che simboleggia la sinistra e se qualcuno ha sopportato alcunché in un oggetto di maggior pregio, è meno doloroso sopportarlo in un oggetto di minor pregio.
Poi ordina di cedere a colui, che vuol togliere la tunica, anche il mantello che è della stessa misura o non molto più ampio, comunque non il doppio.
Al terzo posto, partendo dal miglio, a cui dice di aggiungerne altri due, ordina che tu sopporti qualche difficoltà fino al doppio indicando così che se qualcuno vorrà essere cattivo con te, si deve sopportare con rassegnazione sia un po' meno di quel che si è avuto prima o il medesimo o anche di più.
Noto che nella forma dei tre esempi non è stato tralasciato nessun tipo d'ingiustizia.
Tutti i casi, in cui subiamo qualche cattiveria, si distinguono in due tipi, di cui uno si ha se non è possibile ricambiare, l'altro se è possibile.
Ma in quello che non è possibile ricambiare di solito si ricorre all'espediente della punizione.
Che cosa giova se tu colpito restituisci il colpo? Forseché quel che è stato danneggiato nel tuo corpo viene restituito alla piena integrità?
Eppure una coscienza irrequieta desidera simili lenitivi, ma essi non giovano a una coscienza sana e robusta, anzi ritiene che la debolezza dell'altro si deve tollerare benevolmente anziché con l'altrui travaglio addolcire la propria perché non v'è.
E in questo passo non si proibisce quella punizione che giova alla correzione.
Anche essa infatti appartiene alla benevolenza e non impedisce quell'intenzione, con cui si è disposti a tollerare molte difficoltà da colui che si vuol correggere.
Ma a contraccambiare una tal punizione è idoneo soltanto chi con l'intensità dell'affetto ha superato l'odio di cui abitualmente avvampano coloro che desiderano vendicarsi.
Non si deve infatti temere che sembrino odiare il figlio fanciullo i genitori, quando, perché commette mancanze, le busca da loro affinché non le commetta più. Inoltre certamente la perfezione dell'amore ci viene indicata nell'imitazione dello stesso Dio Padre, ( Mt 5,48 ) quando di seguito si hanno le parole: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per quelli che vi perseguitano. ( Mt 5,44 )
E tuttavia del Signore mediante il Profeta è detto: Il Signore corregge chi ama e sferza il figlio che accoglie. ( Pr 3,12 )
Anche il Signore dice: Il servo, che non conosce la volontà del suo padrone e commette azioni degne di punizione, riceverà poche percosse; ma il servo, che conosce la volontà del suo padrone e commette azioni degne di percosse, ne riceverà molte. ( Lc 12,47-48 )
Si esige quindi che punisca soltanto colui al quale, nell'ordine dei rapporti, è stato concesso il potere e punisca con l'intenzione con cui un padre punisce il suo bambino che egli, data l'età, non può odiare.
È un esempio molto appropriato, perché da esso si rileva abbastanza che si può per amore punire il peccato anziché lasciarlo impunito.
Vuole appunto che colui, per il quale usa la punizione, non sia infelice per il castigo, ma felice per la correzione ed è pronto tuttavia, se ve n'è il bisogno, a sopportare molte difficoltà provocate da colui che vuole correggere, tanto se ha il potere di guidarlo, come se non l'ha.
Alcuni uomini grandi e santi, i quali sapevano molto bene che la morte, la quale separa l'anima dal corpo, non si deve temere, tuttavia sulla base del sentimento di quelli che la temevano, hanno punito alcuni peccati con la morte, affinché ai vivi fosse suscitato un salutare timore e a quelli, che venivano puniti con la morte, non recasse danno la morte stessa, ma il peccato che poteva accrescersi se continuavano a vivere.
Non giudicavano sconsideratamente perché Dio aveva accordato loro un simile giudizio.
Da ciò dipende che Elia fece morire molti di propria mano o col fuoco ottenuto dall'alto; ( 1 Re 18,40 ) e molti altri grandi uomini di Dio non sconsideratamente lo hanno fatto nel medesimo intento di giovare alle cose umane.
Una volta i discepoli citarono al Signore l'esempio del medesimo Elia, ricordando quel che era stato operato da lui affinché desse anche a loro il potere di ottenere il fuoco dal cielo per sterminare quelli che non avevano loro accordato l'ospitalità.
Il Signore rimproverò in essi non l'esempio del santo Profeta, ma l'ignoranza del saper punire, la quale persisteva ancora in persone non ammaestrate, osservando che essi non desideravano la correzione con amore, ma con odio la punizione. ( Lc 9,54-55 )
Quindi dopo averli ammaestrati che cosa significa amare il prossimo come se stessi, ( Mt 19,19 ) anche con l'infusione dello Spirito Santo che, come aveva promesso, inviò dall'alto dieci giorni dopo la sua ascensione, ( At 2,1-4 ) non mancarono tali punizioni, sebbene molto più raramente che nel Vecchio Testamento.
Allora prevalentemente come schiavi erano asserviti col timore, poi principalmente con l'amore erano allevati come figli.
Infatti, come leggiamo negli Atti degli Apostoli, alle parole dell'apostolo Pietro Anania e la moglie caddero esanimi e non furono risuscitati ma seppelliti. ( At 5,1-10 )
Ma se gli eretici non vogliono credere al libro in parola perché non accettano il Vecchio Testamento, considerino attentamente l'apostolo Paolo, che leggono come noi, quando di un peccatore, che consegnò a Satana per la morte del corpo, dice: Affinché l'anima sia salva. ( 1 Cor 5,1-5 )
E se nel testo non vogliono rilevare la morte, perché forse è in dubbio, riconoscano una qualsivoglia punizione operata dall'Apostolo mediante Satana.
E che l'ha fatto non per odio ma per amore lo evidenzia quell'aggiunta: Affinché l'anima sia salva.
Ovvero da quei libri, ai quali essi attribuiscono una grande autorità, prendano atto di quel che stiamo dicendo perché vi è scritto che l'apostolo Tommaso, pur avendo augurato a un tale che l'aveva schiaffeggiato sulla bocca, la punizione di una morte molto atroce, ne raccomanda tuttavia l'anima affinché le sia perdonato nell'altro mondo.
Difatti un cane trasportò la mano, sbranata dal resto del corpo di quel tale ucciso da un leone, alla tavola da pranzo in cui l'apostolo stava mangiando.1
A noi è consentito non credere a quel libro perché non è nel canone cattolico, ma essi lo leggono e lo rispettano come molto autentico e veritiero; eppure non saprei per quale accecamento infieriscono con molta acrimonia contro le punizioni fisiche che sono nel Vecchio Testamento, perché non sanno con quale intenzione e con quale riferimento ai tempi sono avvenute.
Dunque in questo genere d'ingiustizia, che si riscatta mediante la punizione, sarà dal cristiano osservata la regola seguente.
Ricevuta l'ingiustizia non sorga l'odio, ma nella benevolenza verso la debolezza la coscienza sia disposta a sopportare molte difficoltà e non trascuri la correzione, per la quale può giovarsi del consiglio, del prestigio o del potere.
Si ha l'altro genere d'ingiustizie, quando si può restituire al completo.
Ve ne sono due tipi: uno è relativo al denaro, l'altro all'azione.
Quindi del primo è stato presentato l'esempio dalla tunica e dal mantello, dell'altro dalla costrizione del miglio e dei due migli, perché il mantello si può anche rendere, e colui che avrai aiutato col lavoro può anche egli aiutarti, se ve n'è bisogno.
A meno che si debba usare preferibilmente un'altra distinzione. Il primo caso che è stato proposto sul colpo alla guancia, può simboleggiare tutte le offese che vengono inflitte dagli arroganti in modo che possono essere ricambiate soltanto con la punizione.
Invece il secondo caso, che è stato proposto sul mantello può simboleggiare tutte le offese che si possono ricambiare senza la punizione; e per questo probabilmente è stato aggiunto: A chi vorrà chiamarti in giudizio, ( Mt 5,40 ) perché quel che viene tolto mediante la sentenza del giudice non si deve pensare che sia tolto con la violenza, alla quale è dovuta la punizione. Il terzo caso risulterebbe dell'uno e dell'altro in modo che si possa ricambiare senza la punizione e con la punizione.
Infatti chi con la violenza si arroga senza la sentenza giudiziaria un'attività non dovuta, come fa chi obbliga con arroganza un individuo e costringe a farsi aiutare contro il diritto da un dissenziente, può espiare il castigo dell'arroganza e ricambiare l'attività, se gliela chiede chi ha dovuto subire la sua arroganza.
Il Signore insegna che in tutte queste forme d'ingiustizia la coscienza del cristiano dev'essere molto paziente e benevola e ben disposta a sopportare anche di più.
Ma poiché è poca cosa non danneggiare se, nei limiti del possibile, non fai anche del bene, a ragione soggiunge: Da' a ognuno che chiede e a chi vuole da te un prestito non volgere le spalle. ( Mt 5,41 )
Ha detto: A ognuno che chiede, non: A chi chiede tutto, affinché tu dia quel che puoi dare con onestà e giustizia.
E se chiedesse denaro con cui tenta di opprimere un innocente? E se infine chiedesse un atto di violenza carnale?
Ma per non dilungarmi nei vari casi che sono innumerevoli, si deve dare soltanto quel che non nuoce né a te né ad altri, per quanto si può conoscere o opinare dall'uomo.
E per non rimandarlo a mani vuote, a colui al quale negherai quel che chiede, si deve segnalare la virtù in sé.
Così tu darai a ognuno che chiede, sebbene non sempre darai quel che chiede.
E talora darai qualcosa con maggiore bontà, se correggerai chi chiede cose ingiuste.
La frase: A chi vuole ricevere da te un prestito non volger le spalle si deve riferire alla coscienza perché Dio ama chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7; Sir 35,11 )
Prende in prestito chiunque riceve anche se non sarà lui a restituire.
Ma poiché Dio restituisce in più ai misericordiosi, chiunque fa un favore dà ad interesse.
Ma se non piace esaudire chi chiede in prestito salvo se riceve per restituire, si deve riflettere che il Signore ha congiunto due forme di prestito.
Infatti o doniamo quel che diamo con benevolenza o imprestiamo a chi restituirà.
E spesso gli individui, che in considerazione del premio divino sono disposti a donare, diventano restii a dare quel che si chiede in prestito come se non ricevessero una ricompensa da Dio per il fatto che il mutuatario restituisce il denaro che viene dato.
Giustamente quindi l'autorità divina ci invita a questa forma di beneficenza con le parole: A chi vuole ricevere da te un prestito non volger le spalle, cioè non rendere la tua volontà indifferente per colui che ti chiede, come se il tuo denaro non fruttasse e Dio non te lo restituisse, perché te lo restituirà l'uomo.
Ma poiché lo fai per ordine di Dio, esso non può rimanere senza frutto presso colui che impartisce questo ordine.
Poi soggiunge: Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori, affinché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Se infatti amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se salutate soltanto i vostri fratelli, cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. ( Mt 5,43-48 )
Senza questo amore, con cui ci si ordina di amare anche i nostri nemici e persecutori, chi potrebbe osservare le prescrizioni esposte precedentemente?
La perfezione della benevolenza, con cui si fa molto del bene all'anima sofferente, non si può estendere al di là dell'amore al nemico.
E perciò si conclude: Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste, ( Mt 5,48 ) nel senso però che Dio s'intenda perfetto come Dio e l'anima perfetta come anima.
Che vi sia un certo avanzamento nei confronti della virtù dei Farisei, la quale è propria della Legge antica, si deduce dal fatto che molti individui odiano anche coloro, da cui sono amati, come i figli dissoluti odiano i genitori inibitori della loro dissolutezza.
È salito quindi di un passo chi ama il prossimo, sebbene odi ancora il nemico.
Per ordine di lui che è venuto a completare e non ad abrogare la Legge, ( Mt 5,17 ) l'uomo renderà perfetta la benevolenza e la generosità, se le condurrà fino all'amore per il nemico.
Infatti quell'avanzamento, sebbene sia qualcosa, è tuttavia così esiguo che potrebbe essere anche in linea con i pubblicani.
E quel che è stato detto nella Legge: Odierai il tuo nemico ( Dt 7,2 ) non si deve considerare come la parola di chi ordina a un virtuoso, ma di chi consente a un debole.
A questo punto sorge un problema che certamente per nessun motivo si deve passare sotto silenzio.
Molte altre testimonianze della Sacra Scrittura a coloro che le esaminano meno attentamente e assennatamente sembrano contrarie a questo comandamento del Signore con cui ci esorta ad amare i nostri nemici, a fare del bene a quelli che ci odiano e a pregare per quelli che ci perseguitano.
Anche nei libri profetici riscontriamo molte imprecazioni contro i nemici che sono considerate maledizioni, come questa: La loro tavola sia per essi un laccio ( Sal 69,23 ) e il resto che ivi è scritto; e l'altra: I suoi figli rimangano orfani e vedova la sua moglie ( Sal 109,9 ) e le altre espressioni che prima e dopo nel medesimo salmo si dicono contro la persona di Giuda mediante il Profeta.
Molte altre espressioni si riscontrano da ogni parte nei libri della Scrittura che sembrano contrarie al comandamento del Signore e a quello dell'Apostolo: Benedite e non maledite, ( Rm 12,14 ) mentre anche del Signore è stato scritto che maledisse le città che non avevano accolto la sua parola ( Mt 11,20-24; Lc 10,13-16 ) e il suddetto Apostolo ha detto di un tale: Il Signore gli renderà secondo le sue opere. ( 2 Tm 4,14 )
Ma queste obiezioni si risolvono con facilità, perché il Profeta attraverso l'imprecazione previde ciò che sarebbe avvenuto, non nella brama di chi chiede ma nella ispirazione di chi prevede; così anche il Signore, così anche l'Apostolo, per quanto anche nelle loro parole non si riscontra che abbiano bramato ma predetto.
Infatti, quando il Signore ha detto: Guai a te, Cafarnao, si avverte soltanto che alla città sarebbe capitata una sventura per colpa della miscredenza e che il Signore non desiderava questo per malevolenza ma lo antivedeva per divino intuito.
E l'Apostolo non ha detto: gli renda, ma: Il Signore gli renderà secondo le sue opere ed è l'espressione di chi preannuncia e non di chi impreca.
Così della celebre ipocrisia dei Giudei, di cui si è già parlato, poiché ne intuiva imminente il crollo, disse: Il Signore percuoterà te, muro imbiancato. ( At 23, 3 )
I profeti poi sono soliti prevalentemente di predire gli eventi futuri con l'allegoria di chi impreca, come hanno spesso vaticinato gli eventi futuri con l'allegoria del tempo passato, come nel passo: Perché si sono mobilitate le genti e i popoli hanno fatto vani progetti? ( Sal 2,1 )
Non ha detto infatti: Perché si mobiliteranno le genti e i popoli faranno vani progetti?, poiché non ricordava quegli eventi come già trascorsi ma se li prospettava come futuri.
Simile è anche il passo: Si divisero le mie vesti e sul mio mantello hanno gettato la sorte. ( Sal 22,19 )
Anche qui non ha detto: si divideranno le mie vesti e sul mio mantello getteranno la sorte.
E tuttavia da queste parole non sofistica con malizia se non chi non avverte che la varietà delle allegorie nel parlare non sottrae nulla alla verità dei fatti e aggiunge molto ai sentimenti dell'animo.
Ma rendono assillante questo problema le parole dell'apostolo Giovanni: Se uno sa che il proprio fratello commette un peccato che non è per la morte, pregherà per lui e Dio gli darà la vita perché non pecca per la morte; ma v'è un peccato che è per la morte, per questo dico di non pregare. ( 1 Gv 5,16 )
Dichiara quindi apertamente che vi sono fratelli per i quali ci si comanda di non pregare, mentre il Signore ci comanda di pregare anche per i nostri persecutori. ( Mt 5,44 )
Il problema non si può risolvere, se non ammettiamo che nei fratelli vi sono alcuni peccati che sono più gravi della persecuzione dei nemici.
Si può dimostrare con molte testimonianze dei libri della Sacra Scrittura che come fratelli sono indicati i Cristiani.
È tuttavia molto chiaro il pensiero che l'Apostolo esprime in questi termini: Il marito non cristiano è reso santo dalla moglie e la donna non cristiana per mezzo d'un fratello. ( 1 Cor 7,14 )
Non ha aggiunto: nostro, ma l'ha ritenuto evidente, poiché con l'appellativo di fratello ha voluto che s'intendesse un cristiano che avesse la moglie non cristiana.
Quindi poco dopo aggiunge: Ma se il non cristiano si vuol separare, si separi; in queste circostanze il cristiano o la cristiana non possono subire costrizioni da schiavi. ( 1 Cor 7,15 )
Penso dunque che è per la morte il peccato del cristiano, quando dopo la conoscenza di Dio mediante il nostro Signor Gesù Cristo un individuo respinge la fratellanza cristiana e si dimena per istigazione dell'invidia contro la grazia stessa, mediante la quale si è riconciliato con Dio; invece il peccato non è per la morte, se un individuo non ha rimosso l'amore dal fratello cristiano, ma per una determinata debolezza della coscienza non ha adempiuto gli obblighi dovuti alla fratellanza cristiana.
Per questo anche il Signore sulla croce ha detto: Padre, perdona a loro, perché non sanno quel che fanno. ( Lc 23,34 )
Difatti non avevano intrapreso la comunanza della santa fraternità, perché non erano ancora stati resi partecipi della grazia dello Spirito Santo.
Anche Santo Stefano negli Atti degli Apostoli prega per coloro da cui era lapidato ( At 7,59-60 ) perché non avevano ancora creduto in Cristo e non contrastavano la grazia della comunanza.
E l'apostolo Paolo per questo, come credo, non prega per Alessandro, perché era già cristiano e aveva peccato per la morte, cioè ostacolando per invidia la fraternità cristiana.
Prega invece per quelli che non avevano violato l'amore, ma avevano ceduto per paura, affinché si perdoni loro.
Dice infatti: Il ramaio Alessandro mi ha procurato molte difficoltà; il Signore gli renderà secondo le sue opere.
Guardatene anche tu, perché ha resistito accanitamente alla nostra predicazione.
Quindi soggiunge per chi prega con le parole: Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, ma tutti mi hanno abbandonato, non se ne tenga conto contro di loro. ( 2 Tm 4,14-16 )
Tale differenza di peccati distingue Giuda che tradisce ( Mt 26,47-50 ) da Pietro che rinnega. ( Mt 26,69-75 )
Questo non perché non si debba perdonare a chi si pente, per non contraddire l'insegnamento del Signore con cui ha ordinato che per farsi perdonare dal fratello si deve sempre perdonare al fratello che lo chiede, ( Lc 17,3-4 ) ma perché è talmente grande la nefandezza di quel peccato che l'uomo non può piegarsi all'umiltà dell'implorare, sebbene la cattiva coscienza sia costretta a riconoscere e dichiarare il proprio peccato.
Infatti Giuda, dopo aver detto: Ho peccato perché ho tradito il sangue di un giusto, corse tuttavia per disperazione al nodo scorsoio, ( Mt 27,3-5 ) anziché chiedere perdono nell'umiltà.
Perciò fa molta differenza a quale pentimento Dio perdoni.
Molti infatti assai prontamente riconoscono di aver peccato e si sdegnano con se stessi, sicché intensamente vorrebbero non aver peccato, ma tuttavia non piegano la coscienza ad umiliare e sottomettere il cuore e a chiedere perdono.
E si deve ammettere che a causa della gravità del peccato abbiano tale atteggiamento spirituale anche nei confronti della perdizione.
Ed è questo forse peccare contro lo Spirito Santo, cioè attraverso la malvagità e l'invidia contrastare la carità fraterna dopo aver ricevuto la grazia dello Spirito Santo; e il Signore ha detto che questo peccato non sarà rimesso né in questo né nell'altro mondo. ( Mt 12,31-32 )
Si può quindi esaminare se i Giudei hanno peccato contro lo Spirito Santo quando hanno detto che il Signore scacciava i demoni in Bèlzebub, capo dei demoni.
Si chiede, cioè, se dobbiamo intendere che questo oltraggio fu rivolto contro lo stesso Signore, perché in un altro passo dice di sé: Se hanno chiamato Bèlzebub il padrone di casa, quanto più i suoi familiari; ( Mt 10,25; Mt 12,24 ) oppure, dato che avevano parlato con grande invidia, ingrati della manifestazione di bontà tanto manifesta, si deve ritenere che, sebbene non fossero ancora cristiani, abbiano peccato contro lo Spirito Santo a causa dell'intensità dell'invidia.
Infatti questa conclusione non si deduce dalle parole del Signore.
Quindi sebbene in quello stesso brano abbia detto: A chiunque dirà una parola blasfema contro il Figlio dell'uomo sarà perdonato, ma a chi la dirà contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo mondo né nell'altro, ( Mt 12,32 ) tuttavia può sembrare che l'abbia avvertiti a partecipare alla grazia e, dopo averla accolta, a non peccar più come avevano peccato in quel momento. In quel momento infatti hanno proferito una parola blasfema contro il Figlio dell'uomo e si può loro perdonare, se si convertiranno, crederanno a lui e riceveranno lo Spirito Santo; ricevutolo, se vorranno violare la fratellanza con l'invidia e profanare la grazia che hanno ricevuto, non si può loro perdonare né in questo mondo né nell'altro.
Infatti se li avesse considerati già condannati, sicché per loro non rimaneva alcuna speranza, non li avrebbe considerati disposti alla correzione, quando aggiunse: O coltivate un albero buono e il suo frutto buono, o coltivate un albero cattivo e il suo frutto cattivo. ( Mt 12,33 )
Dunque se si devono amare i nemici, fare del bene a quelli che ci odiano e pregare per quelli che ci perseguitano s'interpreti nel senso che per alcuni peccati, anche dei Cristiani, non è stato ordinato di pregare in modo che, a causa della nostra inettitudine, la Sacra Scrittura non sembri in contraddizione con se stessa, perché questo non può avvenire.
Ma ancora non è chiaro se come per alcuni non si deve pregare, così si debba pregare anche contro alcuni.
In generale è stato detto: Benedite e non maledite ( Rm 12,14 ) e ancora: Non ricambiando ad alcuno male per male. ( Rm 12,17 )
Se non preghi per un tale, non per questo preghi contro di lui.
Puoi avvertire che è sicura la sua condanna e senza speranza la sua salvezza, ma non perché lo odi non preghi per lui, ma perché sei consapevole che tu non puoi giovargli e non vuoi che la tua preghiera sia respinta dal giustissimo Giudice.
Ma che cosa dobbiamo dire di coloro contro i quali apprendiamo che si è pregato dai santi, non affinché si correggessero, perché in questo senso si è pregato piuttosto a loro favore, ma per la loro condanna finale?
Quindi non come contro il traditore del Signore mediante il Profeta ( Sal 109,6-19 ) perché fu, come è stato detto, una predizione del futuro, non una richiesta di condanna; neanche come dall'Apostolo contro Alessandro, ( 2 Tm 4,14 ) poiché di questo si è discusso abbastanza, ma come leggiamo nell'Apocalisse di Giovanni che i martiri pregano per essere vendicati, ( Ap 6,10 ) sebbene il protomartire pregò affinché si perdonasse ai propri persecutori. ( At 7,59-60 )
Ma non conviene lasciarsi convincere da questo fatto.
Chi infatti oserebbe decidere, dato che quei santi in bianche vesti chiesero di essere vendicati, se lo chiesero contro gli uomini o contro il regno del peccato.
È infatti leale e colma di giustizia e benevolenza la vendetta dei martiri che sia abbattuto il regno del peccato perché durante il suo regno hanno tanto sofferto.
Alla sua eversione incoraggia l'Apostolo dicendo: Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale. ( Rm 6,12 )
Viene distrutto e abbattuto il regno del peccato in parte con l'emendamento degli uomini affinché la carne sia soggetta allo spirito, in parte con la condanna di coloro che persistono nel peccato, affinché rientrino nell'ordine di non poter essere avversi a coloro che regnano con Cristo.
Pensa all'apostolo Paolo! Non ti sembra che vendica in se stesso il martire Stefano, quando dice: Faccio il pugile non come chi batte l'aria, ma freno il mio corpo e lo traggo in schiavitù? ( 1 Cor 9,26-27 )
Un tale stimolo abbatteva e indeboliva se stesso e, una volta vintolo, lo riferiva al fatto di aver perseguitato Stefano e gli altri Cristiani.
Chi può dunque dimostrare che i santi martiri non hanno invocato dal Signore una simile loro vendetta, se hanno potuto liberamente chiedere per la propria vendetta la fine di questo mondo, in cui hanno tanto sofferto?
E coloro che così pregano, pregano anche a favore dei nemici, che sono degni di salvezza, e non pregano contro coloro che hanno preferito rimanere indegni della salvezza, perché anche Dio, punendoli, non è crudele torturatore ma un giustissimo ordinatore.
Senza alcun dubbio dunque amiamo i nostri nemici, facciamo del bene a quelli che ci odiano e preghiamo per quelli che ci perseguitano.
Quel che viene appresso: Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli ( Mt 5,45 ) si deve intendere sulla base di quel principio, per cui anche Giovanni afferma: Diede loro la facoltà di divenire figli di Dio. ( Gv 1,12 )
Uno solo per natura è Figlio ed egli non può assolutamente peccare; noi invece, ottenutane la facoltà, diventiamo figli in quanto eseguiamo quei doveri che da lui ci vengono imposti.
Per questo l'insegnamento dell'Apostolo considera adozione quella con cui siamo chiamati all'eterna eredità affinché possiamo essere coeredi di Cristo. ( Rm 8,17 )
Diventiamo dunque figli con una rinascita spirituale e siamo adottati al regno di Dio, non come estranei, ma come ideati e creati da lui, ossia posti nell'essere.
Quindi un primo dono è che ci ha fatti esistere mediante la sua onnipotenza, mentre prima eravamo un nulla; il secondo è che ci ha adottati affinché godessimo con lui della vita eterna come figli, in ricompensa della nostra adesione.
Perciò non ha detto: Fatelo perché siete figli, ma: Fatelo per essere figli.
Poiché per mezzo dell'Unigenito ci chiama a questa dignità, ci chiama ad essere simili a lui.
Egli infatti, come dice di seguito, fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. ( Mt 5,45 )
Puoi intendere come suo sole non questo che è percettibile con gli occhi del corpo, ma la sapienza di cui è detto: È un riflesso della luce perenne; e di essa si dice anche: Si è levato per me il sole della giustizia; ( Sap 7,26 ) e ancora: Per voi che temete il nome del Signore sorgerà il sole di giustizia; ( Mi 4,2 ) e puoi intendere anche la pioggia come irrigazione della dottrina della verità, perché si è manifestata a buoni e cattivi e Cristo è stato annunziato a buoni e cattivi.
Puoi intendere anche, se preferisci, come questo sole visibile esposto allo sguardo non solo degli uomini ma anche degli animali e la comune pioggia con cui si producono le vivande che sono concesse per l'alimentazione.
E ritengo che questa interpretazione sia più attendibile, sicché il sole spirituale sorge soltanto per i buoni e i santi, perché di questo si lamentano i malvagi nel libro intitolato La sapienza di Salomone: Il sole non si è levato per noi; ( Sap 5,6 ) anche la pioggia spirituale inonda soltanto i buoni, giacché la vigna, di cui è stato detto: Comanderò alle mie nubi di non piovere sopra di essa ( Is 5,6 ) simboleggia i cattivi.
Ma sia che intendi l'uno o l'altro, il fatto si verifica per la grande bontà di Dio e ci viene imposto d'imitarla, se vogliamo essere figli di Dio.
E chi è tanto ingrato da non avvertire quanto benessere arrechino alla vita fisica la luce visibile e la comune pioggia?
E osserviamo che questo benessere è offerto in questa vita egualmente agli onesti e ai disonesti.
Poi non dice: Che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, ma aggiunge: il suo, cioè quello che egli ha creato e assegnato al suo posto e da nessuno ha avuto qualcosa per crearlo, come di tutti gli astri si afferma nel libro della Genesi. ( Gen 1,16 )
Egli soltanto può dire che sono sue tutte le cose, perché le ha create dal nulla, affinché fossimo esortati che con grande liberalità dobbiamo da un suo ordine dare ai nostri nemici quelle cose che noi non abbiamo creato, ma abbiamo avuto come suo dono.
Chi dunque può essere disposto a tollerare torti dai deboli, per quanto giova al loro benessere; a preferire di sopportare l'altrui cattiveria anziché ricambiare ciò che ha dovuto subire; ovvero a dare a chi chiede da lui qualcosa o quel che chiede, se si ha e si può dare onestamente, o un buon consiglio o un gesto benevolo; a non voltare le spalle a chi chiede un prestito; ad amare i nemici, a fare del bene a quelli che lo odiano, a pregare per quelli che lo perseguitano?
Chi dunque adempie questi doveri se non chi è completamente e perfettamente misericordioso?
Con questo consiglio si evita la condizione dei miseri con l'aiuto di colui che ha detto: Perché voglio la misericordia e non il sacrificio. ( Os 6,6 )
Dunque beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. ( Mt 5,7 )
Ma penso che ormai sia opportuno che il lettore spossato dal lungo rotolo di pergamena si rilassi un tantino e si disponga ad esaminare in un altro libro quel che rimane.
Indice |
1 | At. Thomae 6 e 8 |