Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la preghiera sia un atto della potenza appetitiva

In 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 1, sol. 1

Pare che la preghiera sia un atto della potenza appetitiva.

Infatti:

1. La preghiera mira all'esaudimento.

Ora, ciò che Dio esaudisce è il desiderio, poiché sta scritto [ Sal 10,17 ]: « Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri ».

Dunque la preghiera è un desiderio.

Ma il desiderio è un atto della potenza appetitiva.

Quindi anche la preghiera.

2. Dionigi [ De div. nom. 3 ] ha scritto: « Prima di ogni cosa è utile cominciare dalla preghiera, come per consegnare e unire noi stessi a Dio ».

Ma l'unione con Dio avviene con l'amore, che appartiene a una facoltà appetitiva.

Quindi la preghiera è un atto della volontà.

3. Il Filosofo [ De anima 3,6 ] assegna due operazioni alla parte intellettiva: la prima è « l'intellezione degli indivisibili », cioè l'atto col quale apprendiamo l'essenza di ciascuna cosa, la seconda invece è « la composizione e la divisione », con la quale apprendiamo che una cosa esiste o che non esiste.

Ad esse si aggiunge poi una terza operazione, cioè il « raziocinio », che è il procedere dalle cose note a quelle ignote.

Ora, la preghiera non si riduce a nessuna di queste operazioni.

Quindi essa non è un atto della potenza intellettiva, ma di quella appetitiva.

In contrario:

S. Isidoro [ Etym. 10 ] afferma che « pregare equivale a parlare ».

Ma la dizione appartiene all'intelletto.

Quindi la preghiera non è un atto della potenza appetitiva, ma di quella intellettiva.

Dimostrazione:

Secondo Cassiodoro [ In Ps 38,13 ], « dire oratio è come dire oris ratio », cioè ragione della bocca.

Ora, la ragione speculativa differisce dalla ragione pratica per il fatto che la speculativa si limita alla conoscenza delle cose, mentre la pratica è anche causa di esse.

Ora, un essere è causa di un altro in due modi.

Primo, perfettamente, producendo una necessità: e ciò avviene quando un effetto è soggetto totalmente all'influsso della causa.

Secondo, imperfettamente, producendo una predisposizione: quando cioè l'effetto non è sottoposto totalmente all'influsso della causa.

La ragione, dunque, in due modi può essere causa delle cose.

Primo, determinando una necessità: e in questo modo la ragione comanda non solo alle potenze inferiori e alle membra del corpo, ma anche agli uomini sottoposti, appunto con il comando.

Secondo, inducendo e quasi disponendo: quando cioè la ragione chiede il compimento di qualcosa a coloro che non le sono soggetti, siano essi uguali o superiori.

Ma tutti e due questi modi di agire, cioè il comandare e il domandare, implicano una certa coordinazione: in quanto cioè l'uomo dispone che una cosa va fatta mediante un'altra.

Quindi essi appartengono alla ragione, alla quale spetta il compito di ordinare, per cui il Filosofo [ Ethic. 1,13 ] scrive che « la ragione porta al bene perfetto sotto forma di preghiera ».

Ora, noi parliamo della preghiera in questo senso, in quanto cioè essa indica una richiesta o una domanda, secondo la definizione di S. Agostino [ Rabano M., De univ. 6,14 ], per il quale « la preghiera è una domanda »; o del Damasceno [ De fide orth. 3,24 ], per il quale « la preghiera è la richiesta fatta a Dio di cose convenienti ».

Così dunque è evidente che la preghiera di cui parliamo è un atto della ragione.

Analisi delle obiezioni:

1. Si può dire che il Signore accoglie il desiderio dei miseri perché il desiderio è la causa della richiesta, essendo la domanda quasi l'interprete del desiderio.

- Oppure ciò viene detto per mostrare la prontezza dell'esaudimento: cioè nel senso che Dio esaudisce quanto è ancora oggetto del desiderio prima che i miseri esprimano una preghiera, secondo le parole della Scrittura [ Is 65,24 ]: « Prima che mi invochino, io risponderò ».

2. Come si è già spiegato [ I, q. 82, a. 4; I-II, q. 9, a. 1, ad 3 ], la volontà muove la ragione verso il proprio fine.

Perciò nulla impedisce che sotto la mozione della volontà un atto della ragione tenda verso il fine della carità, che è l'unione con Dio.

Ora, la preghiera per due motivi tende verso Dio sotto l'influsso del volere mosso dalla carità.

Primo, in rapporto alle cose che si chiedono: poiché nella preghiera si deve chiedere specialmente la nostra unione con Dio, sull'esempio del Salmista [ Sal 27,4 ]: « Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita ».

Secondo, in rapporto al soggetto che chiede, e che è nella necessità di avvicinarsi a colui al quale rivolge la domanda: materialmente, se si rivolge a un uomo; spiritualmente, se si rivolge a Dio.

Per cui Dionigi nel brano citato scrive che « quando invochiamo Dio con la preghiera, siamo presenti a lui con l'animo aperto ».

E in questo senso anche il Damasceno [ l. cit. ] afferma che « la preghiera è un'elevazione della mente a Dio ».

3. Quei tre atti appartengono alla ragione speculativa.

Ma alla ragione pratica appartiene ulteriormente la facoltà di causare qualcosa sotto forma di comando o di preghiera, secondo le spiegazioni date [ nel corpo ].

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