Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 4, sol. 1, 3
Pare che il voto non possa essere dispensato.
1. Commutare un voto è meno che dispensarlo.
Eppure il voto non può essere commutato, poiché sta scritto [ Lv 27,9s ]: « Se uno avrà fatto voto di un animale che può essere immolato al Signore, ormai esso è cosa santa, e non può essere cambiato né in meglio né in peggio ».
Quindi meno che mai un voto potrà essere dispensato.
2. Nelle norme di legge naturale e nei precetti di Dio non si può avere la dispensa da un uomo: specialmente poi nei precetti della prima tavola, che sono ordinati direttamente all'amore di Dio, che è il fine ultimo dei precetti.
Ma l'adempimento dei voti è una norma di legge naturale, nonché un precetto della legge divina, come risulta evidente da quanto abbiamo spiegato [ a. 3 ]; e appartiene ai precetti della prima tavola, essendo un atto di latria.
Quindi i voti non possono essere dispensati.
3. L'obbligo del voto si fonda sul dovere di fedeltà che l'uomo ha verso Dio, come sopra [ a. 3 ] si è detto.
Ma in ciò nessuno può dispensare.
Quindi neppure dal voto.
Ciò che emana dalla volontà comune si presenta come più stabile di quanto emana dalla volontà di una persona singola.
Ora, un uomo può dispensare dalle leggi, che devono la loro forza alla volontà comune.
Quindi è evidente che può dispensare anche dai voti.
La dispensa di un voto va concepita come le dispense che vengono concesse nell'osservanza di una legge.
Ora la legge, come si è visto [ I-II, q. 96, a. 6; q. 97, a. 4 ], viene data in considerazione di quanto è bene nella maggior parte dei casi; siccome però capitano dei casi in cui ciò non è bene, è necessario che qualcuno possa determinare, in quel caso particolare, che la legge non va osservata.
E questo propriamente significa dispensare nell'ambito della legge: poiché la dispensa si presenta come una distribuzione fatta a misura, o come l'applicazione di un dato universale ai soggetti che esso abbraccia, nel senso in cui si dice che uno dispensa il cibo ai membri di una famiglia.
Parimenti colui che fa un voto in qualche modo impone a se stesso una legge, obbligandosi a qualcosa che nella maggior parte dei casi è un bene.
Ma in certi casi può capitare che ciò si risolva in un male, o in qualcosa di inutile, o di incompatibile con un bene maggiore: il che distrugge le condizioni essenziali da noi sopra indicate [ a. 2 ] perché una cosa sia materia di voto.
Perciò in questi casi è necessario poter determinare che il voto non va osservato.
Se dunque viene determinato in modo assoluto che un voto non va osservato, si ha la dispensa del voto.
Se invece viene imposta qualche altra cosa in sostituzione di quanto si doveva compiere, si ha la commutazione del voto.
Perciò la commutazione è meno della dispensa del voto.
Tuttavia l'una e l'altra facoltà è rimessa all'autorità della Chiesa.
1. L'animale atto all'immolazione, per il fatto stesso che veniva votato a Dio, era considerato sacro, in quanto destinato al culto: e questo era il motivo per cui non lo si poteva commutare; come del resto anche ora non si può commutare in meglio o in peggio una cosa votata e già consacrata, p. es. un calice o un edificio.
Invece un animale che non poteva essere sacrificato, perché non atto all'immolazione, poteva e doveva essere riscattato, secondo le prescrizioni della legge [ Lv 27,11ss ].
E anche adesso si possono commutare i voti, se non c'è stata una consacrazione.
2. Come per legge naturale e per legge divina un uomo è tenuto ad adempiere il voto, così per tali leggi è tenuto a ubbidire alla legge e ai comandi dei superiori.
Ora, quando si dispensa uno da una legge umana non lo si fa perché non si ubbidisca a tale legge, il che sarebbe contro la legge di natura e i precetti di Dio, ma perché quanto era legge non sia più legge in quel caso particolare.
Così allo stesso modo quando per l'autorità di un superiore si dispensa un voto, avviene che quanto era oggetto di voto non ricada più sotto il voto: poiché viene determinato, nel caso, che quella non è materia adatta per un voto.
Perciò quando un prelato della Chiesa dispensa da un voto non dispensa da un precetto di diritto naturale o divino, ma solo determina meglio quanto cadeva sotto l'obbligazione di una deliberazione umana, che non era in grado di prevedere tutte le circostanze.
3. La fedeltà verso Dio non esige che uno col suo voto faccia una cosa intrinsecamente cattiva, o inutile, o incompatibile con un bene superiore: e a ciò appunto provvede la dispensa.
Quindi la dispensa del voto non è in contrasto con la fedeltà dovuta a Dio.
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