Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 1, sol. 2
Pare che il voto non debba sempre riguardare un bene migliore.
1. Un bene migliore è un bene supererogatorio.
Ma non si fa voto soltanto di atti supererogatori, bensì anche di atti richiesti per la salvezza.
Infatti, come nota la Glossa [ P. Lomb. di Agost. ] sul testo del Salmo [ Sal 76,12 ]: « Fate voti al Signore vostro Dio e adempiteli », « nel battesimo l'uomo fa voto di rinunziare al demonio con le sue vanità, e di custodire la fede ».
Inoltre Giacobbe [ Gen 28,21 ] fece voto « di avere il Signore come Dio », che è la cosa più indispensabile per la salvezza.
Quindi i voti non riguardano soltanto un bene migliore.
2. Jefte è inserito nel catalogo dei Santi, secondo S. Paolo [ Eb 11,32 ].
Eppure egli per un voto uccise la figlia innocente.
Poiché dunque l'uccisione di un innocente non è un bene migliore, bensì una cosa per se stessa illecita, è chiaro che si può fare voto non soltanto di un bene migliore, ma anche di cose illecite.
3. Ciò che ridonda a detrimento di una persona, o non ha utilità alcuna, non è un bene migliore.
Eppure talvolta si fa voto di veglie o di digiuni esagerati, che risultano pericolosi per la persona.
E altre volte ancora si fa voto di cose indifferenti e che non servono a nulla.
Perciò non sempre il voto è di un bene migliore.
Sta scritto [ Dt 23,23 ]: « Se ti astieni dal fare voti, non vi sarà in te peccato ».
Il voto, come si è detto [ a. prec. ], è una promessa fatta a Dio.
Ora, la promessa ha per oggetto quanto si fa volontariamente a favore di qualcuno.
Infatti non sarebbe una promessa, ma una minaccia, se uno dichiarasse di voler agire contro qualcuno.
Come pure sarebbe insensata la promessa se uno promettesse una cosa che l'interessato non gradisce.
Dal momento quindi che tutti i peccati sono contro Dio, e che Dio gradisce soltanto le azioni virtuose, è chiaro che non si deve fare voto di alcun atto illecito o indifferente, ma solo di atti virtuosi.
Dato poi che il voto implica una promessa volontaria, e d'altra parte la necessità esclude la volontarietà, ciò che è necessario in modo assoluto non può in alcun modo essere materia di voto: sarebbe infatti stolto chi facesse voto di morire, o di non volare.
- Quanto invece ha una necessità non assoluta, ma in ordine al fine, ad es. se è indispensabile per la salvezza, è sì materia di voto in quanto viene compiuto volontariamente, ma non in quanto è una cosa necessaria.
- Quanto finalmente è immune dalla necessità, sia assoluta che in ordine al fine, è cosa del tutto volontaria.
E ciò è materia di voto nel senso più proprio.
Ora, si dice che questo è un bene maggiore in rapporto al bene che è universalmente richiesto per la salvezza eterna.
Perciò il voto, propriamente parlando, ha per oggetto un bene migliore.
1. Il rinunziare alle attrattive del demonio e il custodire la fede di Cristo costituiscono l'oggetto dei voti battesimali in quanto sono atti volontari, sebbene siano indispensabili per la salvezza.
- E lo stesso possiamo dire del voto di Giacobbe.
Sebbene l'espressione possa anche spiegarsi nel senso che Giacobbe fece voto di avere il Signore come Dio attraverso un culto speciale, a cui non era tenuto: obbligandosi cioè alle decime e alle altre cose a cui si accenna subito dopo [ Gen 28,22 ].
2. Ci sono delle cose che sono buone in tutte le occorrenze: e queste sono gli atti virtuosi e tutto ciò che può essere direttamente materia di voto.
- Altre cose, al contrario, sono cattive in tutti i casi: come le azioni di per se stesse peccaminose.
E queste non possono mai essere materia di voto.
- Ci sono infine alcune cose che considerate in se stesse sono buone, e sotto questo aspetto possono essere materia di voto, ma possono avere delle cattive conseguenze, per cui non vanno osservate.
E così capitò nel voto di Jefte il quale, come narra la Scrittura [ Gdc 11,30s ], « fece voto al Signore e disse: Se tu mi metti nelle mani gli Ammoniti, la persona che uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro quando tornerò in pace sarà per il Signore, e io la offrirò in olocausto ».
Ora, ciò poteva avere una cattiva conseguenza, qualora gli fosse venuto incontro un animale non sacrificabile, come un asino, o un uomo: il che precisamente accadde.
Per cui S. Girolamo [ P. Comest., Hist. schol., Iudic. 12 ] afferma che Jefte « nel fare il voto fu stolto », in quanto mancò di discernimento, « e nell'osservarlo fu empio ».
La Scrittura però fa precedere al fatto queste parole [ Gdc 11,29 ]: « Fu investito dallo Spirito del Signore »: poiché la fede e la devozione che lo spinsero al voto venivano dallo Spirito Santo.
Ed è posto nel catalogo dei santi sia per la vittoria ottenuta, sia perché è probabile che si sia pentito di quella iniquità, che tuttavia prefigurava un certo bene.
3. La macerazione del proprio corpo, fatta ad es. con veglie e digiuni, non è accetta a Dio se non in quanto è un'azione virtuosa: e ciò esige che sia fatta con la debita discrezione, in modo cioè da frenare la concupiscenza senza gravare troppo la natura.
E così concepite tali penitenze possono essere materia di voto.
Per questo l'Apostolo [ Rm 12,1 ], dopo aver esortato « a offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio », aggiunge: « il vostro culto sia ragionevole ».
- Siccome però l'uomo sbaglia facilmente nel giudicare dei propri atti, tali voti è meglio che siano osservati o tralasciati secondo l'arbitrio dei superiori.
Che se poi uno dall'osservanza di un voto del genere sentisse un incomodo grave ed evidente, e non potesse ricorrere al superiore, non dovrebbe osservarlo.
I voti infine che hanno per oggetto cose vane e inutili sono piuttosto da disprezzarsi che da osservarsi.
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