Summa Teologica - II-II |
Pare che tentare Dio non sia un peccato.
1. Dio non può comandare dei peccati.
Eppure egli comanda che gli uomini lo mettano alla prova, e quindi che lo tentino, poiché sta scritto: « Portate le decime intere nel tesoro del tempio, perché ci sia cibo nella mia casa; poi mettetemi pure alla prova in questo - dice il Signore degli eserciti -, se io non vi aprirò le cateratte del cielo ».
Quindi tentare Dio non è un peccato.
2. Si può tentare una persona sia facendo la prova della sua scienza o della sua potenza, sia sperimentandone la bontà o il volere.
Ma sperimentare la bontà o il volere di Dio è cosa lecita, poiché nei Salmi [ Sal 34,9 ] si legge: « Gustate e vedete quanto è buono il Signore ».
E S. Paolo così scriveva [ Rm 12,2 ]: « Affinché possiate discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto ».
Perciò tentare Dio non è un peccato.
3. Nessuno viene rimproverato nella Scrittura perché si rifiuta di peccare, ma piuttosto perché commette un peccato.
Ora, il re Acaz viene rimproverato perché al Signore, il quale gli aveva detto [ Is 7,11 ]: « Chiedi un segno dal Signore tuo Dio », rispose: « Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore ».
Si legge infatti poco dopo [ Is 7,13 ]: « Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? ».
- Inoltre di Abramo si legge [ Gen 15,8 ] che a proposito della terza promessa chiese al Signore: « Come potrò sapere che ne avrò il possesso? ».
E anche Gedeone [ Gdc 6,36ss ] chiese al Signore un segno della vittoria promessa.
Eppure essi non vengono rimproverati per questo.
Quindi tentare Dio non è un peccato.
Ciò è proibito dalla legge di Dio.
È scritto infatti nel Deuteronomio [ Dt 6,16 ]: « Non tenterete il Signore vostro Dio ».
Tentare, come si è detto sopra [ a. prec. ], è mettere alla prova.
Ora, nessuno fa la prova di cose di cui ha la certezza.
Perciò tentare deriva sempre dall'ignoranza o dal dubbio esistenti o in chi tenta, come quando si prova una cosa per conoscerne le qualità, oppure in altre persone, come quando si mette alla prova qualcuno per persuadere gli altri, come fa Dio nel tentare noi uomini.
Ora, ignorare o mettere in dubbio ciò che riguarda le perfezioni divine è un peccato.
Quindi è evidente che tentare Dio per riscontrarne personalmente la potenza è un peccato.
Se però uno mette alla prova quanto riguarda le perfezioni divine non per riscontrare ciò personalmente, ma per darne la dimostrazione ad altri, allora non è un tentare Dio, esistendo una necessità proporzionata, o una pia utilità, e tutte le altre condizioni richieste.
Così infatti gli Apostoli pregarono il Signore di compiere prodigi nel nome di Gesù Cristo, perché la virtù di Cristo venisse manifestata agli increduli [ cf. At 4,29s ].
1. Il pagamento delle decime era prescritto dalla legge, come sopra [ q. 87, a. 1 ] si è visto.
Esso perciò era necessario per l'obbligatorietà del precetto, ed era utile per il motivo accennato, « affinché ci fosse cibo nella casa di Dio ».
Perciò nel dare le decime gli Ebrei non tentavano Dio.
Le parole poi che seguono, « mettetemi alla prova », non vanno intese in senso causale, come se si dovessero pagare le decime per provare « se Dio non avrebbe loro aperto le cateratte del cielo », ma in senso consequenziale, inquantoché se avessero pagato le decime avrebbero provato per esperienza personale i benefici di Dio.
2. La conoscenza della bontà o del volere di Dio è duplice.
La prima è di ordine speculativo.
E in questo senso non è lecito dubitare né provare se la volontà di Dio sia buona o se Dio sia soave.
- Il secondo tipo di conoscenza della bontà o della volontà divina è invece di ordine affettivo o sperimentale, e si ha quando uno prova in se stesso il gusto della dolcezza divina e la compiacenza della volontà di Dio: come Dionigi [ De div. nom. 2 ] dice di Ieroteo, il quale « apprese le cose divine per averle sperimentate ».
Ed è appunto in questo senso che siamo esortati a sperimentare il volere di Dio e a gustarne la soavità.
3. Dio voleva dare un segno al re Acaz non per lui soltanto, ma per l'ammaestramento di tutto il popolo.
Perciò egli viene rimproverato di essere di inciampo alla salvezza di tutti, non volendo chiedere quel segno.
D'altra parte chiedendolo non avrebbe tentato Dio, sia perché l'avrebbe fatto per suo comando, sia perché la cosa riguardava il vantaggio di tutti.
- Abramo invece chiese un segno per ispirazione divina, e quindi non fece peccato.
- Gedeone al contrario pare che l'abbia chiesto per mancanza di fede, e quindi non può essere scusato dal peccato, come nota in proposito la Glossa [ ord. di Agost. ].
- E così peccò anche Zaccaria [ Lc 1,18 ], quando disse all'angelo: « Come posso conoscere questo? ».
Infatti per la sua incredulità fu anche punito [ Lc 1,20 ].
Si noti però che si può chiedere a Dio un segno in due modi.
Primo, per esplorare il suo potere, o la verità della sua parola.
E ciò di per sé costituisce una tentazione di Dio.
- Secondo, per conoscere quale sia il volere di Dio a proposito di un'azione da compiere.
E allora non c'è in alcun modo tentazione di Dio.
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