Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 16, q. 4, a. 1, sol. 3
Pare che l'ipocrisia sia sempre un peccato mortale.
1. S. Girolamo [ Glossa ord. su Is 16,14 ] afferma che « tra i due mali è un peccato più leggero peccare apertamente che simulare la santità ».
E a commento di un passo di Giobbe [ Gb 1,21 ] la Glossa [ ord. su Col 3,23 ] afferma che « la bontà simulata non è bontà, ma un doppio peccato ».
A commento poi di quel passo di Geremia [ Lam 4,6 ]: « Grande è stata l'iniquità della figlia del mio popolo, maggiore del peccato di Sodoma », la Glossa [ ord. ] spiega: « Si piangono qui i peccati di quell'anima che cade nell'ipocrisia, la cui iniquità è superiore al peccato dei Sodomiti ».
Ma i peccati dei Sodomiti erano peccati mortali.
Quindi l'ipocrisia è sempre un peccato mortale.
2. S. Gregorio [ Mor. 31,13 ] afferma che gli ipocriti peccano di malizia.
Ma questo è un peccato gravissimo e contro lo Spirito Santo.
Quindi l'ipocrita pecca sempre mortalmente.
3. Non si merita l'ira del Signore e l'esclusione dalla visione di Dio se non per un peccato mortale.
Ma con l'ipocrisia si merita l'ira di Dio, secondo le parole del libro di Giobbe [ Gb 36,13 Vg ]: « Gli ipocriti e gli astuti provocano l'ira di Dio ».
Inoltre l'ipocrita è escluso dalla visione di Dio, come si legge nel medesimo libro [ Gb 13,16 Vg ]: « In faccia a lui non compare un ipocrita ».
Perciò l'ipocrisia è sempre un peccato mortale.
1. L'ipocrisia, essendo una simulazione, è una menzogna espressa con i fatti.
Ora, non tutte le menzogne di parola sono peccati mortali.
Quindi neppure tutte le ipocrisie.
2. L'intento dell'ipocrita è di apparire virtuoso.
Ma ciò non si contrappone alla carità.
Quindi di per sé l'ipocrisia non è un peccato mortale.
3. L'ipocrisia nasce dalla vanagloria, come nota S. Gregorio [ Mor. 31,45 ].
Ma la vanagloria non sempre è un peccato mortale.
Quindi neppure l'ipocrisia.
Due sono gli elementi dell'ipocrisia: la mancanza di santità e la simulazione di essa.
Se quindi denominiamo ipocrita, secondo l'uso ordinario della Scrittura, colui che con la sua intenzione abbraccia queste due cose, cioè la rinunzia alla santità e la preoccupazione di apparire santo, allora è evidente che l'ipocrisia è un peccato mortale.
Nessuno infatti viene privato totalmente della santità se non per un peccato mortale.
Se invece denominiamo ipocrita chi tenta di simulare la santità dalla quale viene meno a motivo del peccato mortale, allora, sebbene il peccato mortale lo privi della santità, tuttavia non sempre la simulazione stessa è un peccato mortale, ma talora è veniale.
E ciò dipende dal fine.
Se dunque esso è incompatibile con la carità verso Dio o verso il prossimo, allora l'ipocrisia è un peccato mortale: come quando uno simula la santità per disseminare una falsa dottrina, o per raggiungere una dignità ecclesiastica di cui è indegno, oppure per qualsiasi altro bene temporale in cui ha riposto il suo fine.
Se invece il fine perseguito non è incompatibile con la carità, allora l'ipocrisia è un peccato veniale: come quando uno si compiace della finzione stessa, mostrandosi così « più vano che cattivo », secondo l'espressione di Aristotele [ Ethic. 4,7 ].
Infatti la stessa ragione vale per la menzogna e per l'ipocrisia.
Può inoltre capitare che uno simuli la perfezione della santità, che non è richiesta per salvarsi.
Ora, una tale simulazione non sempre è un peccato mortale, e non sempre è fatta in stato di peccato mortale.
Sono così risolte anche le obiezioni.
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