Summa Teologica - II-II |
In 4 Ethic., lect. 14
Pare che l'amicizia, o affabilità, non sia una virtù speciale.
1. Il Filosofo [ Ethic. 8,3 ] scrive che « l'amicizia perfetta è quella che si fonda sulla virtù ».
Ora, qualsiasi virtù può essere causa di amicizia: poiché, secondo Dionigi [ De div. nom. 4 ], « il bene riesce amabile a tutti ».
Quindi l'amicizia non è una virtù speciale, ma un corollario di tutte le virtù.
2. Parlando di una persona amabile, il Filosofo [ Ethic. 4,6 ] dice che « essa senza amore e senza odio sa accettare ogni cosa come si conviene ».
Ma il fatto che uno mostri segni di amicizia a coloro che non ama costituisce una simulazione, che è incompatibile con la virtù.
Quindi una simile amicizia o amabilità non è una virtù.
3. Come insegna Aristotele [ Ethic. 2,6 ], « la virtù consiste nel giusto mezzo determinato da una persona saggia ».
Ora, nella Scrittura [ Qo 7,4 ] si legge: « Il cuore dei saggi è in una casa in lutto, e il cuore degli stolti in una casa in festa »: è quindi proprio della persona virtuosa astenersi dai piaceri, come nota lo stesso Aristotele [ Ethic. 2,9 ].
Ora, l'amicizia di cui parliamo « di per sé desidera far piacere e rifugge dal rattristare » [ Ethic. 4,6 ].
Quindi questa amicizia non è una virtù.
I precetti della legge hanno di mira gli atti delle virtù.
Ora, nella Scrittura [ Sir 4,7 Vg ] si legge: « Mostrati affabile con i poveri ».
Perciò l'affabilità, che qui denominiamo amicizia, è una virtù specificamente distinta.
Poiché la virtù è ordinata al bene, come si è detto sopra [ q. 109, a. 2 ], là dove si riscontra un bene speciale da compiere è necessario che vi sia una virtù speciale.
Ora il bene, come si è detto [ q. 109, a. 2 ], è costituito dall'ordine, per cui l'uomo nella vita quotidiana deve essere ordinato come si conviene in rapporto agli altri, sia negli atti che nelle parole: in modo cioè da trattare tutti secondo il dovuto.
Si richiede quindi una virtù speciale che conservi l'ordine suddetto.
E questa virtù è denominata amicizia, o affabilità.
1. Il Filosofo nell'Etica parla di due tipi di amicizia.
La prima consiste principalmente nell'affetto reciproco [ l. 8 ].
E questa può derivare da qualsiasi virtù.
Ora, quanto si riferisce a questa amicizia noi l'abbiamo già esaminato parlando della carità [ q. 23, a. 1; a. 3, ad 1; qq. 25 ss. ].
- Il secondo tipo di amicizia [ o amabilità ] di cui parla Aristotele [ Ethic. 4,6 ] si limita invece alle parole o ai fatti esterni, e non ha la perfetta natura dell'amicizia, ma solo una certa somiglianza con essa: in quanto cioè uno si comporta bene verso le persone con cui tratta.
2. Ogni uomo per natura è amico di tutti gli uomini secondo un certo amore generico, come dice la Scrittura [ Sir 13,15 ]: « Ogni creatura vivente ama il suo simile ».
Ora, i segni di amicizia che uno mostra esternamente con le parole o con i fatti anche verso gli estranei e gli sconosciuti stanno a esprimere questo amore.
Non c'è quindi simulazione.
Infatti uno non mostra i segni di una perfetta amicizia: poiché verso gli estranei non mostra la medesima familiarità che usa verso coloro che gli sono uniti da un'amicizia speciale.
3. Si dice che il cuore dei saggi si trova dov'è la tristezza non per procurarla al prossimo - infatti l'Apostolo [ Rm 14,15 ] ammonisce: « Se per via del cibo contristi un tuo fratello, tu non ti comporti più secondo carità » -, ma piuttosto per consolare gli afflitti, secondo le parole della Scrittura [ Sir 7,34 ]: « Non evitare coloro che piangono, e con gli afflitti mostrati afflitto ».
- Invece il cuore degli stolti sta dov'è l'allegria non per rallegrare gli altri, ma per godere della gioia altrui.
È quindi proprio del sapiente arrecare a coloro con i quali convive un certo piacere: non sensuale, che ripugna alla virtù, ma onesto, secondo le parole del Salmo [ Sal 133,1 ]: « Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme ».
Tuttavia talora, per un bene da conseguire o per un male da escludere, la persona virtuosa, come nota il Filosofo [ Ethic. 4,6 ], non esita a rattristare coloro con i quali convive.
Per cui l'Apostolo [ 2 Cor 7,8s ] scriveva: « Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace.
Ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi ».
Non dobbiamo quindi mostrare, per compiacenza, un volto sorridente a quelli che sono sulla china del peccato, per non parere consenzienti alle loro colpe e quasi offrire un incoraggiamento a peccare.
Da cui l'ammonizione della Scrittura [ Sir 7,24 ]: « Hai figlie? Vigila sui loro corpi, e non mostrare loro un volto troppo indulgente ».
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