Summa Teologica - II-II |
De Virt., q. 1, a. 12
Pare che la temperanza non sia una virtù.
1. Nessuna virtù ripugna all'inclinazione della natura: poiché, come scrive Aristotele [ Ethic. 2,1 ], « in noi c'è una naturale attitudine alla virtù ».
Ora, la temperanza ritrae dai piaceri, verso i quali invece la natura, secondo il medesimo [ Ethic. 2, cc. 3,8 ], sospinge.
Quindi la temperanza non è una virtù.
2. Come si è visto sopra [ I-II, q. 65, a. 1 ], le virtù sono tra loro connesse.
Ma alcuni hanno la temperanza senza avere altre virtù: ci sono infatti molte persone temperanti che tuttavia sono avare, o paurose.
Quindi la temperanza non è una virtù.
3. A ogni virtù corrisponde un dono, come si è detto sopra [ I-II, q. 68, a. 4 ].
Ma alla temperanza non corrisponde alcun dono: poiché nelle questioni precedenti [ qq. 8, 9, 19, 45, 52, 121, 139 ] abbiamo già attribuito tutti i doni ad altre virtù.
Quindi la temperanza non è una virtù.
S. Agostino [ De musica 6,15 ] parla di « quella virtù che è chiamata temperanza ».
Come si è detto sopra [ I-II, q. 55, a. 3 ], è nella natura della virtù inclinare al bene.
Ma il bene proprio dell'uomo, secondo Dionigi [ De div. nom. 4 ], è di « essere conforme alla ragione ».
Quindi la disposizione che inclina a ciò che è conforme alla ragione è una virtù.
Ora, è evidente che tale è l'inclinazione della temperanza: infatti il suo stesso nome implica una certa moderazione, o temperamento, dovuto alla ragione.
Quindi la temperanza è una virtù.
1. La natura inclina ciascuno a ciò che per lui è conveniente.
Quindi per natura l'uomo brama il piacere che a lui conviene.
Ma siccome l'uomo, in quanto tale, è ragionevole, è chiaro che i soli piaceri a lui confacenti sono quelli conformi alla ragione.
Ora, la temperanza non ritrae da questi piaceri, bensì piuttosto da quelli che sono contrari alla ragione.
Per cui è evidente che la temperanza non va contro l'inclinazione della natura umana, ma si accorda con essa.
Essa è invece incompatibile con l'inclinazione della natura bestiale, non soggetta alla ragione.
2. La temperanza in quanto è una vera virtù non può trovarsi senza la prudenza, che invece è assente in tutti i viziosi.
Perciò coloro che mancano di altre virtù, perché affetti da vizi contrari, non possiedono la vera virtù della temperanza, ma ne compiono gli atti per una certa naturale disposizione, dato che certe virtù imperfette sono naturali all'uomo, come sopra [ I-II, q. 63, a. 1 ] si è visto; oppure per un'abitudine acquisita, che però senza la prudenza non ha la perfezione dell'ordine razionale, come sopra [ I-II, q. 58, a. 4; q. 65, a. 1 ] si è rilevato.
3. Anche alla temperanza corrisponde un dono, cioè quello del timore, il quale distoglie dai piaceri della carne, secondo le parole del Salmista [ Sal 119,120 ]: « Trafiggi col tuo timore le mie carni ».
Ora, il dono del timore riguarda principalmente Dio, di cui vuole evitare l'offesa; e da questo lato esso corrisponde alla virtù della speranza, come sopra [ q. 19, a. 9, ad 1 ] si è spiegato.
Secondariamente però esso può riguardare tutte le cose da cui uno si ritrae per evitare l'offesa di Dio.
Ora, l'uomo ha bisogno del timore di Dio specialmente per fuggire le cose che più attraggono, e che sono oggetto della temperanza.
E così anche alla temperanza corrisponde il dono del timore.
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