La musica

Indice

I ritmi sensibili e l'anima

5.8 - L'anima non ha dal corpo come la materia dall'agente

Ci si potrebbe obiettare che la vita dell'albero è più perfetta della nostra perché non riceve ritmi dal corpo con la sensazione, in quanto non ha alcun senso.

Ma si deve considerare attentamente se veramente ciò che si chiama sentire è un qualche cosa che si produce dal corpo nell'anima.

È però molto irragionevole assoggettare l'anima in certo senso materia al corpo come causa agente.

L'anima infatti non è mai meno perfetta del corpo e la materia è meno perfetta della causa agente.

Dunque l'anima non è in senso assoluto soggetta come una materia al corpo come causa agente.

Lo sarebbe invece, se il corpo producesse in essa qualche ritmo.

E dunque nell'anima non si producono, nell'atto dell'udire, ritmi per influsso di quelli che si percepiscono nei suoni.

Hai qualche cosa in contrario?

D. - Che cosa avviene dunque in chi ascolta?

M. - Qualunque sia questo dato che forse si è incompetenti a scoprire e spiegare, sarà da tanto da farci dubitare che l'anima è più perfetta del corpo?

Ovvero pur ammettendo questa incompetenza, si potrà assoggettarla al corpo che agirebbe su di lei e le imporrebbe dei ritmi, come se il corpo fosse causa agente e l'anima una materia, con cui e in cui si produrrebbe qualche cosa di ritmico?

E se questo si ammette, si deve anche ammettere che essa è meno perfetta.

E che cosa di più banale e abominevole si potrebbe ammettere?

Stando così le cose, tenterò certamente, per quanto Dio si degnerà di aiutarmi, di spiegare con parole i punti oscuri dell'argomento.

Ma se per la debolezza di entrambi o di uno di noi due si otterrà un risultato inferiore al desiderio, o noi stessi con maggiore serenità indagheremo in altra occasione, o affideremo l'indagine a persone più intelligenti, o accetteremo con animo sereno che l'argomento rimanga oscuro, ma non per questo dobbiamo lasciarci sfuggire dalle mani i concetti più chiari, di cui ho detto.

D. - Nei limiti del possibile non defletterò dal tuo ammonimento, e tuttavia vorrei che questa oscurità non rimanesse impenetrabile.

5.9 - Sensazione come avvertenza nell'anima …

M. - Dirò subito la mia opinione.

E tu seguimi o anche precedimi, se ti riuscirà, quando vedrai che io indugio ed esito.

Io ritengo dunque che il corpo sia animato dall'anima soltanto mediante mozione al fine di causa agente.

E ritengo che essa non sia modificata affatto dal corpo, ma che agisce su di esso e in esso, in quanto provvidenzialmente soggetto al suo dominio e che talora influisce con facilità e talora con difficoltà; a seconda che, in vista della sua dignità, l'essere corporeo le è più o meno sottomesso.

Dunque tutti i sensibili che o sono introdotti nel corpo o si presentano come oggetti esterni producono non sull'anima ma sul corpo una reazione che o ostacola o favorisce l'influsso dell'anima stessa.

Perciò quando essa resiste all'oggetto che la ostacola e spinge a forza con difficoltà in direzione del proprio influsso la materia che le è soggetta, essa a causa della difficoltà si rende più cosciente nell'azione.

E questa difficoltà, quando in virtù della coscienza è avvertita, si dice avere sensazione, e in questo caso si chiama dolore o fatica.

Quando invece l'oggetto che si introduce o si presenta al di fuori è in corrispondenza, l'anima con facilità lo muove o tutto o la parte necessaria in direzione della sua mozione.

E questa azione, con cui essa mette a contatto il proprio corpo con un corpo esterno confacente, è avvertita, perché è compiuta con maggiore coscienza a causa dello stimolo esterno; e data la convenienza dell'oggetto si ha una sensazione di piacere.

E quando vengono meno i sensibili, con cui può riparare l'indebolimento del corpo, si ha il bisogno.

E poiché è resa più cosciente dalla difficoltà di provvedere e avverte questa sua attività, si hanno la fame, la sete e simili.

E quando i cibi ingeriti sono in più del bisogno e dalla loro pesantezza sorge la difficoltà di digestione, anche questo fenomeno non si verifica senza coscienza e poiché anche questa azione è avvertita, si ha la sensazione di indigestione.

L'anima agisce con coscienza anche quando smaltisce il superfluo cibo, se con facilità provando sollievo, se con difficoltà provando fastidio.

Influisce coscientemente anche sulla perturbazione proveniente dalla malattia del corpo, poiché tende a soccorrerlo nella sua prostrazione e spossatezza, e poiché è cosciente di questa sua azione, si dice che sente la malattia e gli acciacchi.

5.10 - … della modificazione del corpo …

E per non farla lunga, è mia opinione che quando l'anima sente mediante il corpo non ne subisce la modificazione, ma agisce con maggiore coscienza nelle modificazioni del corpo e che queste funzioni, facili quando si ha congruenza dell'oggetto, difficili quando si ha l'incongruenza, sono avvertite.

E tutto questo è ciò che si chiama avere sensazione.

Ma il senso, che sussiste anche quando non si ha sensazione, è un organo del corpo che l'anima muove mediante una complessione organica tale da essere più disposta mediante esso a influire coscientemente sulle modificazioni del corpo stesso, a congiungere l'omogeneo con l'omogeneo e a respingere l'oggetto nocivo.

Dunque, secondo la mia opinione, muove l'elemento luminoso nella vista, l'elemento aereo molto secco e mobile nell'udito, l'elemento umido tenebroso nell'odorato, umido nel gusto, terreno e per così dire crasso nel tatto.

Ma sia che i quattro elementi siano implicati con questa distribuzione o con un'altra, l'anima li muove in uno stato d'incoscienza, se quelli che concorrono al fine unitario del benessere fisico sono coordinati in un accordo per così dire amichevole.

Ma quando sono implicati elementi che influiscono sul corpo con una certa forza, per così dire, di alterazione, l'anima adempie funzioni più coscienti, applicate ciascuna agli organi periferici.

Si dice allora che essa ha percezione visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e tattile.

Con queste funzioni essa si assicura gli oggetti confacenti con piacere e con pena reagisce a quelli non confacenti.

È mia opinione che l'anima con la sensazione offre alle modificazioni del corpo queste funzioni, ma che non le subisce.

5.11 - … nello stimolo uditivo o suono …

Ma poiché per il momento il problema riguarda i ritmi dei suoni ed è posto in discussione il senso dell'udito, non bisogna divagare più a lungo su altri concetti.

Ritorniamo dunque al nostro argomento e vediamo se il suono produce qualche effetto sull'udito.

Tu lo neghi?

D. - No certo.

M. - E non ammetti che l'udito è una parte animata del corpo?

D. - Sì.

M. - Dunque dal suono prodotto nell'aria è mosso ciò che in questo organo è omogeneo all'elemento aereo.

Ma si deve ammettere per questo che l'anima, la quale prima di questo suono con movimento vitale informava nel silenzio l'organo dell'udito, o possa sospendere la propria funzione di muovere ciò che vivifica, o che continui a muovere l'elemento aereo del proprio udito, stimolato dal di fuori, come lo muoveva prima che si producesse quel suono?

D. - Sembra che lo debba muovere diversamente.

M. - E non si deve ammettere che questo muovere diversamente è influire sull'essere senza esserne modificati?

D. - Sì.

M. - Non irrazionalmente quindi si ritiene che l'anima nel sentire è cosciente dei suoi movimenti o azioni o funzioni o altro termine con cui si possono significare con maggiore proprietà.

5.12 - … in quanto reazione dell'anima

E queste funzioni si applicano ai fenomeni sensibili che le precedono, come quando le immagini sensibili si interpongono alla luce della nostra vista o il suono si introduce nell'udito, o quando gli odori giungono dal di fuori all'odorato, i sapori al gusto, i vari oggetti solidi e afferrabili al resto del corpo, o quando un oggetto si sposta o passa da un punto all'altro del corpo, o quando tutto il corpo si muove in virtù del peso proprio o di un altro corpo.

Queste sono le funzioni che l'anima esercita sulle modificazioni del corpo che precedono.

Ed essi generano piacere in lei se li fa propri e disagio se deve loro resistere.

E quando è modificata da queste sue funzioni si modifica da sé e non dal corpo, ma ovviamente nell'adattarsi al corpo, è a se stessa meno perfetta, poiché il corpo è sempre meno perfetto di essa.

5.13 - Non soggezione dell'anima alla passione …

Dunque l'anima voltasi dal suo padrone al suo schiavo necessariamente diviene meno perfetta e allo stesso modo voltasi dal suo schiavo al suo padrone necessariamente si perfeziona ed offre al suo schiavo una vita molto facile e perciò non dedita al lavoro e alla fatica.

A tal genere di vita appunto non si volgerà alcun atto di coscienza, data la profonda tranquillità, come è lo stato fisico che si chiama salute.

Esso non ha bisogno di un nostro atto di coscienza, non perché in quello stato l'anima non influisce sul corpo, ma perché le è molto facile.

Infatti in tutte le nostre attività si agisce con tanto maggiore coscienza quanto più è difficile agire.

Ma questa salute sarà veramente sicura quando questo corpo in un determinato tempo provvidenzialmente stabilito sarà reso alla immutabilità di una volta.

Ma prima di avere conoscenza di questa sua resurrezione si ammette per fede che salva.

Bisogna infatti che l'anima sia dominata dall'essere superiore e domini l'essere inferiore.

A lei superiore è solo Dio, inferiore è solo il corpo, se si comprende ogni e tutta l'anima.

E come essa non può essere tutta senza il padrone, così non può eccellere senza il suo schiavo.

E come il suo padrone è più perfetto di lei, così il suo schiavo è meno perfetto.

Pertanto fissa al padrone ha conoscenza dei valori eterni di lui e diviene più perfetta e da lei diviene più perfetto nel proprio ordine anche il suo schiavo.

Ma trascurando il padrone e attratta verso lo schiavo dalla concupiscenza carnale da cui è mossa, ha la sensazione delle proprie funzioni che offre a lui e diviene meno perfetta, ma non tanto quanto lo schiavo, anche quando questo è nel grado sommo del proprio essere.

E per questa prevaricazione della padrona esso è molto meno perfetto di quel che era quando lei prima della prevaricazione era più perfetta.

5.14 - … sua libera attività e memoria

Perciò essendo il corpo mortale e fragile, l'anima lo domina con un difficoltoso atto di coscienza.

Ne deriva per lei l'errore di considerare di più il piacere del corpo perché diviene oggetto della sua coscienza che l'assenza della passione, per cui non si ha bisogno di coscienza.

E non c'è da meravigliarsi se s'impiglia negli affanni giacché stima di più l'affanno che la serenità.

E per lei nasce una più grande preoccupazione quando si volge al padrone, cioè di non volgersi in altra parte, fino a che si plachi l'impeto delle opere carnali, reso indomabile dalla lunga abitudine, che con ricordi sconvolgenti si inserisce nel suo esser volta a lui.

E così placati i suoi movimenti, dai quali è portata all'esteriorità, esercita nella interiorità una libera attività spirituale, significata dal sabbato.

Riconosce allora che Dio solo è il suo padrone perché soltanto di lui si è schiavi nella più vera libertà.

Ed essa eccita i desideri carnali quando vuole, ma non li reprime quando vuole perché il peccato è in suo potere, ma non la pena del peccato.

Ed anche se l'anima in sé è una grande cosa, non rimane disponibile a sé nel reprimere i propri movimenti passionali.

In definitiva è più energica nel peccare, ma dopo il peccato divenuta più inerte per divina disposizione, si rende meno capace di strappar da sé ciò che ha fatto.

Me infelice, chi mi libererà dal corpo di questa morte?

La grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )

Dunque il movimento dell'anima, che mantiene il proprio impulso e non è ancora cessato, si dice che è nella memoria, e quando lo spirito è volto ad altro, il movimento di prima è come se non fosse più in esso e in realtà è diminuito, a meno che prima di cessare non sia rinnovato da una certa somiglianza con altri movimenti.

5.15 - Vita sensitiva

Ma vorrei sapere se su questi concetti hai qualche difficoltà che ti turba.

D. - Mi pare che esponi una teoria probabile e non oserei opporre nulla.

M. - Dunque la sensazione consiste nel far reagire il corpo alla modificazione che in esso è stata prodotta.

Non ritieni dunque che per questo motivo non si ha sensazione quando si tagliano ossa, unghie o capelli?

E il motivo non è che queste parti non hanno vita in noi, giacché non altrimenti potrebbero entrare nella complessione fisica, nutrirsi, crescere e mostrare la propria vitalità nel riprodursi.

Ma essi sono stimolati da un'aria, elemento mobile, meno attiva sicché la reazione non può essere tanto rapida quanto la modificazione con cui si reagisce quando si ha quella che si dice sensazione.

Poiché si ha scienza che tale vita si ha anche negli alberi e nelle altre piante, non è lecito considerarla migliore non solo della nostra vita, superiore anche per il pensiero, ma nemmeno di quella delle bestie.

Altro è infatti non avere sensazione a causa di una radicale insensibilità ed altrui non averne per una perfetta salute fisica.

Infatti nel primo caso mancano gli organi che reagiscono alle modificazioni del corpo, nell'altro mancano le modificazioni stesse.

D. - Capisco e ne sono certo.

6.16 - I cinque modi di ritmi nell'anima

M. - Ritorna dunque all'argomento e dimmi quale dei tre modi di ritmi, di cui uno è nella memoria, uno nella sensazione e un altro nel suono ti sembra più perfetto.

D. - Pongo quello del suono dopo gli altri due che sussistono e in certo senso vivono nell'anima ma sono incerto quale di questi due giudicare più perfetto.

Avevamo detto però che quelli che sono nell'azione si devono considerare più perfetti di quelli che sono nella memoria per il solo motivo che i primi sono causa, gli altri effetti.

Dunque per lo stesso motivo bisogna considerare anche questi ritmi, che si hanno nell'anima nell'atto di udire, più perfetti di quelli che si formano nella memoria, come del resto ritenevo dianzi.

M. - Penso che la tua risposta non sia irragionevole.

Ma poiché si è discusso che anche i ritmi che sono nel dato sensibile sono operazioni dell'anima, come li distingui da quelli che sono nell'atto di sentire dell'anima, quando anche senza suono e senza intervento della memoria essa produce un movimento ritmico nella successione di tempo?

Forse dal fatto che i primi sono dell'anima nel rapporto col corpo e gli altri dell'anima che reagisce, nell'atto di udire, alle modificazioni del corpo?

D. - Accetto questa distinzione.

M. - Ebbene, secondo te, si deve rimanere nell'opinione che i ritmi relativi al corpo sono più perfetti di quelli che si hanno nella reazione alle modificazioni del corpo?

D. - Quelli che si producono nel silenzio mi sembrano più autonomi non solo di quelli che si hanno in relazione al corpo, ma anche di quelli che si hanno in relazione alle sue modificazioni.

M. - Vedo che abbiamo distinto e ordinato secondo gradi di perfezione cinque modi di ritmi.

Diamo loro, se vuoi dei nomi adatti affinché non sia necessario nella rimanente parte del discorso usare più nomi che concetti.

D. - Sì.

M. - Siano chiamati del giudizio estetico i primi, in formazione i secondi, espressi i terzi, del ricordo i quarti, dell'evento sonoro i quinti.

D. - D'accordo, userò volentieri questi termini.

7.17 - Il valore extratemporale dei ritmi giudiziali …

M. - Stai attento allora e dimmi quali di essi ti sembrano non divenienti, o pensi che tutti vengano a cessare fluendo nel succedersi dei propri tempi?

D. - Penso che solo quelli di giudizio siano non divenienti, vedo che gli altri trascorrono nell'atto che si formano o si cancellano nella memoria con l'oblio.

M. - Sei ugualmente certo del non divenire dei primi come lo sei del divenire degli altri, o piuttosto bisogna esaminare più attentamente se quelli di giudizio veramente non sono nel divenire?

D. - Sì, esaminiamo.

M. - Dimmi dunque, quando pronuncio un verso un po' più velocemente o più lentamente, purché rispetti la legge per cui i piedi si rapportano dell'uno a due, inganno forse il giudizio del tuo udito?

D. - No, certamente.

M. - E il suono che si diffonde con sillabe più rapide e quasi precipitose può riempire un tempo maggiore di quello in cui si effonde?

D. - Come è possibile?

M. - Se dunque i ritmi di giudizio fossero contenuti da limite di tempo in una durata eguale a quella in cui si propagano i sonori, potrebbero arrogarsi il giudizio di ritmi sonori che fossero proferiti un po' più lentamente con lo schema giambico?

D. - No, assolutamente.

M. - È dunque evidente che i ritmi precostituiti a giudicare non sono soggetti al limite dei tempi.

D. - È proprio evidente.

7.18 - … viene discusso …

M. - Fai bene ad approvare.

Ma se non fossero contenuti in alcun limite, per quanto lentamente pronunciassi dei giambi nella lunghezza di regola, i ritmi in parola sarebbero ugualmente impiegati per l'esame critico.

Ora se pronunciassi una sillaba con la durata con cui si compiono tre passi, per non esagerare, di uno che cammina e un'altra con un tempo doppio e di seguito disponessi una serie di giambi di eguale lunghezza, sarebbe nondimeno rispettato lo schema dell'uno a due e tuttavia non potremmo impiegare questo giudizio spontaneo per ritener valide queste misure ritmiche.

Non ti sembra?

D. - Sì, non lo posso negare.

Per me il concetto è evidente.

M. - Dunque anche i ritmi di giudizio sono soggetti ai limiti della misura dei tempi che nell'esaminare criticamente non possono superare e non hanno competenza a giudicare tutto ciò che non rispetta le misure stabilite.

E se ne sono soggetti, non vedo in che modo siano indefettibili.

D. - E io non vedo che cosa devo rispondere.

E sebbene sia meno disposto ad ammettere la loro indefettibilità, non capisco tuttavia in che senso da ciò che hai detto si concluda che sono defettibili.

Può accadere che per quanto lunghe siano le misure ritmiche che possono esaminare criticamente, lo possono sempre.

Non posso dire infatti che, come gli altri, o possano essere cancellati dall'oblio, oppure che hanno durata e lunghezza eguali al tempo, in cui si effonde il suono, e alla lunghezza in cui si estendono i ritmi espressi o con cui sono formati e pronunziati quelli che abbiamo chiamato in formazione.

Gli uni e gli altri appunto hanno fine col tempo dell'evento che li costituisce.

Al contrario i ritmi di giudizio, quantunque variano da una determinata brevità a una determinata lunghezza, rimangono invariati, non so se nell'anima ma certamente nella stessa natura umana, allo scopo di esaminare criticamente i ritmi composti approvandone l'euritmia e condannando la disritmia.

7.19 - … e ricondotto nei limiti dell'esperienza

M. - Almeno mi concederai che alcuni individui sono infastiditi più prontamente dai ritmi manchevoli, altri più lentamente, e che i più non riconoscono quelli difettosi se non nel confronto con quelli perfetti, dopo aver ascoltato quelli regolari e quelli irregolari.

D. - Sì, lo concedo.

M. - E da che si ha, secondo te, questa differenza se non dalla natura o dall'esercizio o da tutte e due?

D. - Da tutte e due, penso.

M. - Ti chiedo dunque se un individuo può giudicare e approvare intervalli ritmici più lunghi, mentre un altro non lo può?

D. - Credo di sì.

M. - E quello che non può, se si esercita convenientemente e non sia tanto stupido, non ci riuscirà forse?

D. - Sì, certo.

M. - E potrebbero questi individui far progressi nel percepire intervalli più lunghi fino a potere, sebbene siano interrotti per lo meno dal sonno, rappresentarsi con la loro sensibilità critica intervalli, nel rapporto di uno a due, di ore, giorni e perfino mesi e anni e batterli come giambi con movimenti cadenzati?

D. - No.

M. - E non possono perché ad ogni vivente nella propria specie è stata data, in proporzione col tutto, soltanto l'intuizione sensibile di spazio-tempo.

Quindi come il suo essere esteso in proporzione al tutto dello spazio è finito perché ne è una parte e come la sua esistenza in proporzione al tutto del tempo è finita perché ne è una parte, così la sua intuizione sensibile deve essere commisurata al movimento che compie in proporzione col movimento del tutto, di cui è questa parte.

Allo stesso modo questo mondo, che spesso nella Sacra Scrittura è designato col termine di cielo e terra, contenendo l'intero dei fenomeni, ha una lunga durata.

Ma se tutte le sue parti fossero di meno in proporzione al più, esso è finito e se fossero di più in proporzione al meno, esso è nondimeno finito.

Nelle dimensioni spazio-temporali infatti un essere non ha una lunga durata di per sé ma in rapporto a un altro che ha durata più breve e a sua volta un essere non ha breve durata di per sé ma in proporzione a un altro che ha durata più lunga.

Ora all'essere fisico dell'uomo è stata data una intuizione sensibile tale che con essa non può percepire lunghezze di tempo più grandi di quel che richiede la lunghezza competente all'esperienza di una tale vita.

Dunque poiché l'essere fisico dell'uomo è defettibile, anche questa intuizione, secondo me, è defettibile.

Infatti non senza ragione si dice che l'esperienza è quasi una seconda natura dell'uomo, per così dire aggiunta.

Osserviamo appunto che con l'esperienza sono state formate come delle facoltà sensitive nuove per giudicare gli oggetti sensibili in parola e che esse vengono a cessare con una esperienza diversa.

8.20 - Essi giudicano l'eguaglianza dei ritmi in formazione …

Ma comunque siano i ritmi di giudizio, hanno certamente una prevalenza per il fatto che vaghiamo nell'incertezza e indaghiamo con difficoltà se sono defettibili.

Sugli altri quattro modi invece il problema se sono defettibili non si pone nemmeno.

E sebbene i ritmi di giudizio non abbiano come oggetto alcuni di loro perché questi hanno una lunghezza superiore al loro potere di giudizio, tuttavia rivendicano i loro schemi al proprio esame.

Anche i ritmi in formazione infatti, quando tendono a produrre un evento ritmico nel sensibile, hanno la loro misura da un comando inespresso dei ritmi di giudizio.

Ciò che inibisce e trattiene da passi ineguali nel camminare, da intervalli ineguali di colpi nel battere, da movimenti ineguali delle mascelle nel mangiare o bere, da tratti ineguali delle unghie nel grattare, e per non elencare molte altre operazioni, ciò insomma che ci inibisce e trattiene da movimenti ineguali e ci impone tacitamente una determinata concordanza nell'attendere a compiere un'azione con le membra, è appunto una non so quale facoltà di giudizio.

Ed essa ci inculca che Dio è creatore dell'essere vivente e che egli quindi si deve ritenere autore di ogni armonizzata concordanza.

8.21 - … suggeriscono agli spazi esatti agli espressi …

I ritmi espressi poi, che certo non si producono spontaneamente ma sono operati in relazione alle modificazioni del corpo, sono sottoposti alla valutazione dei ritmi di giudizio e valutati per il tempo in cui la memoria può conservare lo schema delle loro lunghezze ritmiche.

Infatti un ritmo formato di lunghezze di tempo non può essere esaminato se non si è aiutati dalla memoria.

Perfino di una sillaba breve, sebbene termina nell'atto che inizia, si ode in un tempo il suo inizio e in un altro la sua fine.

Anche essa dunque si estende in una lunghezza di tempo, per quanto breve, e tende dal suo inizio per il suo mezzo alla fine.

La ragione ha dimostrato che le lunghezze, tanto di luogo che di tempo, sono divisibili all'infinito e perciò di nessuna sillaba si ode la fine assieme all'inizio.

Pertanto anche nell'ascoltare la sillaba più breve, se non ci soccorre la memoria in modo che nell'attimo, in cui se ne ode non più l'inizio ma la fine, rimanga nell'anima la modificazione prodotta quando si è udito il suo inizio, non si può dire di aver udito qualche cosa.

Da ciò deriva che spesso, presi da un altro pensiero, ci sembra di non avere udito persone che parlano in nostra presenza.

E il fenomeno si verifica non perché l'anima in quel momento non percepisce quei ritmi espressi perché indubbiamente il suono è giunto all'udito.

E l'anima d'altronde non può rimanere in quiete durante una modificazione del suo corpo e non può essere mossa in modo diverso, come se quella modificazione non esistesse.

Avviene dunque perché l'impulso del movimento cade a causa dell'attenzione ad altro, ma se rimanesse, rimarrebbe certamente nella memoria di modo che noi lo troveremmo e ci accorgeremmo di avere udito.

Che se riguardo a una sillaba breve una intelligenza più tarda non può capire ciò che la ragione teoretizza, di due certamente nessuno dubita che l'anima non le può udire simultaneamente.

La seconda non si ha come suono se la prima non è cessata.

Ora ciò che non si ha come suono simultaneamente, come può essere udito simultaneamente?

Come dunque ad intuire le dimensioni dello spazio ci aiuta l'effondersi dei raggi che dalle piccole pupille si riflettono nei luoghi illuminati e sono del nostro corpo al punto che sono vivificati dalla nostra anima anche se sono negli oggetti lontani da noi visti, come dunque, ripeto, siamo aiutati dal loro effondersi a intuire le dimensioni dello spazio, così la memoria, che è quasi luce dello spazio di tempo, quanto più tenendo conto della sua specifica funzione, viene in certo senso fatta spaziare fuori, tanto maggiori spazi intuisce.

Talora invece colpisce troppo a lungo l'udito un suono non distinto da interruzioni e quando una buona volta si è avuta la fine, in serrata continuità si emette un altro suono di doppia o anche uguale lunghezza.

In tal caso il movimento dell'anima, che si è verificato con l'attenzione al suono passato e svanito nell'atto che passava, viene impedito dall'attenzione al suono che si succede senza interruzione, quanto dire che non rimane così nella memoria.

Pertanto i ritmi di giudizio possono fra i ritmi costituiti in lunghezze di tempo valutare soltanto quelli che loro presenterà, quasi addetta al servizio di mensa, la memoria.

Si fa eccezione quindi per i ritmi in formazione, dei quali i ritmi di giudizio regolano perfino il formarsi.

Non si deve ritenere dunque che i ritmi di giudizio si estendono in una determinata lunghezza di tempo?

Ma quel che importa è la lunghezza di tempo, in cui l'oggetto che giudicano svanisca o si possa rievocare.

Infatti non si possono discriminare e perfino percepire neanche le figure visibili, rotonde o quadre o di altro volume o figura, se non si osservano attentamente con la vista.

Mentre infatti si guarda una parte, se sfugge ciò che è stato osservato in un'altra, viene reso vano il guardare di chi li esamina perché anche esso si verifica in un periodo di tempo.

Quindi mentre il guardare varia, si ha bisogno di rendere attenta la memoria.

8.22 - … la disposizione dei memoriali e sonori

È poi evidente che con i ritmi di giudizio sono valutati esteticamente quelli di memoria perché è la stessa memoria a presentarli. Infatti se i ritmi espressi sono valutati soltanto perché la memoria li presenta, a più forte ragione ci si convince che i ritmi ricordati vivono nella memoria perché ad essi, in quanto conservati, siamo richiamati dopo altre rappresentazioni dalla memoria.

Infatti quando si richiama qualche cosa alla memoria non si fa altro che riscoprire ciò che vi era stato depositato.

Inoltre una impressione dell'anima non ancora cancellata ritorna al pensiero nel presentarsi di impressioni simili.

E questo è ciò che si dice ricordo.

Si riproducono così o soltanto nel pensiero o anche nel gesto ritmi che sono stati prodotti precedentemente.

Da ciò si conosce che essi non vengono per la prima volta ma tornano al pensiero perché, mentre venivano affidati alla memoria, erano richiamati con difficoltà e si aveva anche bisogno di qualche raffigurazione per fissarli.

Eliminata questa difficoltà, quando essi stessi in forma adatta si presentano alla volontà di seguito nella loro successione temporale, noi avvertiamo con tale prontezza che non sono nuovi, sicché quelli fissati più fortemente, anche se noi pensiamo ad altro, si riproducono quasi da soli.

Vi è anche qualche altra cosa da cui noi sentiamo, secondo me, che una impressione presente nell'anima già vi è stata, che è il riconoscere.

Si ha quando con una specie di luce interiore si mettono in confronto impressioni nuove proprie dell'azione che si compie mentre si ricorda, e quindi più vivaci, con ricordi ormai impalliditi.

Questa forma di conoscenza è il riconoscimento-ricordo.

Anche i ritmi di memoria sono dunque valutati esteticamente da quelli di giudizio, mai soli ma sempre congiunti con quelli in formazione o espressi o con entrambi, che li mettono in luce quasi strappandoli al loro nascondiglio e li richiamano al ricordo dopo averli ravvivati mentre stavano scomparendo.

Così mentre i ritmi espressi possono essere giudicati soltanto perché la memoria li presenta ai ritmi di giudizio, a loro volta i ritmi di memoria possono essere valutati se sono presentati dai ritmi espressi, ma con questa differenza.

Perché siano valutati i ritmi espressi, la memoria mostra, per così dire, le orme fresche lasciate mentre essi fuggivano.

Invece quando valutiamo, udendoli, i ritmi di memoria, per così dire, le medesime orme sono rinfrescate dal passaggio dei ritmi espressi.

E infine che bisogno si ha di parlare dei ritmi sonori dal momento che se si odono, sono valutati nei ritmi espressi?

Se poi l'evento sonoro si ha dove non si può udirlo, chi può dubitare che non possono essere giudicati da noi?

Per quanto poi attiene al ritmi di tempo che si hanno nelle danze e nella mimica in genere, vale ciò che si è detto dei suoni che si odono dall'organo dell'udito.

Li giudichiamo con i ritmi di giudizio sempre con l'aiuto della memoria.

Indice