Summa Teologica - II-II |
In 2 Ethic., lect. 8; 3, lect. 21
Pare che l'insensibilità non sia un peccato.
1. Vengono detti insensibili coloro che esagerano nel privarsi dei piaceri del tatto.
Ma privarsi totalmente di tali piaceri pare una cosa lodevole e virtuosa, poiché nella Scrittura [ Dn 10,2s ] si legge: « In quel tempo io, Daniele, feci penitenza per tre settimane, non mangiai cibo prelibato, non mi entrò in bocca né carne né vino e non mi unsi di unguento ».
Quindi l'insensibilità non è un peccato.
2. Secondo Dionigi [ De div. nom. 4 ], « il bene per l'uomo consiste nell'essere conforme alla ragione ».
Ma l'astinenza da tutti i piaceri del tatto è il massimo che l'uomo può fare per affermare il bene della ragione: infatti in Daniele [ Dn 1,17 ] si legge che ai tre fanciulli che si cibavano di legumi « Dio concesse di conoscere e di comprendere ogni scrittura e ogni sapienza ».
Quindi l'insensibilità, che ripudia tutti i piaceri di questo genere, non è peccaminosa.
3. Non può essere vizioso ciò che forma il mezzo migliore per fuggire il peccato.
Ora, il mezzo migliore per fuggire il peccato è la fuga dei piaceri, che appartiene all'insensibilità: infatti il Filosofo [ Ethic. 2,9 ] afferma che « fuggendo i piaceri peccheremo di meno ».
Quindi l'insensibilità non è qualcosa di vizioso.
Alla virtù non si contrappone che il vizio.
Ma l'insensibilità, come afferma il Filosofo [ Ethic. 2,7; 3,11 ], si contrappone alla temperanza.
Quindi l'insensibilità è un vizio.
Tutto ciò che è contrario all'ordine naturale è peccaminoso.
Ora, la natura ha legato il piacere alle funzioni necessarie per la vita dell'uomo.
Perciò l'ordine naturale richiede che l'uomo usi di questi piaceri quanto è necessario al benessere umano, sia per la conservazione dell'individuo che per la conservazione della specie.
Se quindi uno si astenesse da questi piaceri al punto di trascurare ciò che è necessario per la conservazione della natura commetterebbe un peccato, poiché violerebbe l'ordine naturale.
E questo è appunto il vizio dell'insensibilità
Si deve però notare che talvolta è cosa lodevole o anche necessaria astenersi dai piaceri che accompagnano le suddette funzioni, in vista di un qualche fine particolare.
Come alcuni si astengono da certi piaceri, ossia dai cibi, dalle bevande e dai piaceri venerei, per la salute del corpo.
O anche per compiere il proprio dovere: come gli atleti e i soldati sono costretti ad astenersi da molti piaceri per eseguire i loro esercizi.
E così pure per ricuperare la salute dell'anima i penitenti ricorrono all'astinenza dai piaceri, come se fosse una certa dieta.
Coloro poi che vogliono attendere alla contemplazione delle realtà divine devono essere più liberi dalle cose della carne.
Ma tutte queste rinunce non riguardano il vizio dell'insensibilità: poiché sono conformi alla retta ragione.
1. Daniele ricorse a quell'astinenza dai piaceri non perché li considerava cattivi in se stessi, ma per un fine lodevole, cioè per predisporsi alla più alta contemplazione mediante l'astinenza dai piaceri della carne.
Subito dopo infatti la Scrittura [ Dn 10,4ss ] parla delle rivelazioni che gli furono fatte.
2. L'uomo, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 84, aa. 7,8 ], non può servirsi della ragione senza fare uso delle potenze sensitive, che hanno bisogno di un organo corporeo.
E così l'uomo deve dare sostentamento al corpo per potersi servire della ragione.
Ma il sostentamento del corpo avviene mediante funzioni piacevoli.
Quindi in un uomo non ci può essere il bene di ordine razionale se egli si astiene da tutti i piaceri.
A seconda però che uno nell'eseguire gli atti imposti dalla ragione ha un maggiore o minore bisogno di energie fisiche, deve ricorrere di più o di meno ai piaceri del corpo.
Perciò coloro che hanno preso l'ufficio di attendere alla contemplazione, e di trasmettere così ad altri il bene spirituale quasi mediante una generazione di ordine spirituale, è bene che si astengano da molti piaceri, di cui invece non è giusto che si privino coloro che hanno il dovere di attendere ad opere materiali e alla generazione carnale.
3. Per fuggire il peccato si devono fuggire i piaceri, però non totalmente, bensì solo non cercandoli più di quanto la necessità lo richiede.
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