Summa Teologica - II-II |
In 2 Sent., d. 44, q. 2, a. 1, ad 3
Pare che la castità non sia una virtù distinta dall'astinenza.
1. Per un solo genere di oggetti basta una sola virtù.
Ma quanto appartiene a un unico senso pare essere di un solo genere.
Siccome dunque tanto i piaceri del cibo, oggetto dell'astinenza, quanto i piaceri venerei, oggetto della castità, appartengono al tatto, è chiaro che la castità non è una virtù distinta dall'astinenza.
2. Il Filosofo [ Ethic. 3,12 ] paragona tutti i peccati di intemperanza ai peccati dei bambini, che hanno bisogno del castigo.
Ora, la castità prende il nome dal castigo dei vizi contrari.
Siccome dunque l'astinenza tiene a freno certi peccati di intemperanza, è evidente che l'astinenza si identifica con la castità.
3. I piaceri degli altri sensi appartengono alla temperanza in quanto sono ordinati ai piaceri del tatto, oggetto della temperanza.
Ma i piaceri del cibo, oggetto dell'astinenza, sono ordinati ai piaceri venerei, oggetto della castità.
Da cui le parole di S. Girolamo [ Decretum 1,44, prol. ]: « Il ventre e gli organi genitali sono vicini per farci intendere la correlazione di certi vizi ».
Quindi l'astinenza e la castità non sono virtù distinte.
L'Apostolo [ 2 Cor 6,5s ] enumera la castità accanto al digiuno, che fa parte dell'astinenza.
Come si è già spiegato [ q. 141, a. 4 ], la temperanza ha come oggetto proprio i piaceri del tatto.
Se quindi ci sono dei piaceri diversi ci devono anche essere delle virtù diverse, incluse nella temperanza.
D'altra parte il piacere è annesso all'operazione di cui è il coronamento, come insegna Aristotele [ Ethic. 10, cc. 4,5 ].
Ora, è evidente che gli atti riferentisi all'uso dei cibi, che servono alla conservazione dell'individuo, sono diversi da quelli riguardanti l'uso della sessualità, che servono alla conservazione della specie.
Perciò la castità, che ha per oggetto i piaceri venerei, è una virtù distinta dall'astinenza, che riguarda i piaceri del cibo.
1. La temperanza ha come oggetto principale i piaceri del tatto non quanto al giudizio del senso sulle realtà tangibili, poiché tale giudizio le valuta tutte sotto lo stesso aspetto, ma quanto all'uso di esse, come dice Aristotele [ Ethic. 3,10 ].
Ora, l'uso delle realtà veneree è diverso da quello dei cibi e delle bevande.
Ci devono quindi essere delle virtù diverse, nonostante l'unità del senso.
2. I piaceri venerei sono più violenti e più deprimenti per la ragione di quanto lo siano quelli del cibo.
Per questo hanno maggiormente bisogno di castigo e di freno: poiché se si acconsente ad essi cresce il vigore della concupiscenza e si snerva quello della ragione.
Da cui le parole di S. Agostino [ Solil. 1,9.16 ]: « Io penso che nulla possa abbattere un animo virile più che le lusinghe di una donna, e quel contatto fisico senza di cui non si concepisce il matrimonio ».
3. I piaceri degli altri sensi non interessano la conservazione della natura umana se non in quanto sono ordinati ai piaceri del tatto.
Quindi per essi non esiste un'altra virtù nell'ambito della temperanza.
Invece i piaceri del cibo, sebbene siano ordinati in qualche modo ai piaceri venerei, sono già per se stessi ordinati alla conservazione della vita umana.
E così già per se stessi hanno una virtù speciale: sebbene essa, che è denominata astinenza, ordini il suo atto al fine della castità.
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