Summa Teologica - II-II |
In 7 Ethic., lect. 4
Pare che l'incontinenza non sia un peccato.
1. Come insegna S. Agostino [ De lib. arb. 3,18.50 ], « nessuno pecca in ciò che non può evitare ».
Ora, nessuno può evitare da se stesso l'incontinenza, poiché sta scritto [ Sap 8,21 Vg ]: « Io so di non poter essere continente, se Dio non lo concede ».
Quindi l'incontinenza non è un peccato.
2. Tutti i peccati dipendono dalla ragione.
Ma nell'incontinente il giudizio della ragione viene sopraffatto.
Quindi l'incontinenza non è un peccato.
3. Nessuno pecca per il fatto che ama Dio con violenza.
Ma per la violenza dell'amore di Dio qualcuno diviene incontinente: infatti Dionigi [ De div. nom. 4 ] ha scritto che « S. Paolo per l'incontinenza del divino amore disse: Io vivo, ma non più io ».
Perciò l'incontinenza non è un peccato.
Essa viene elencata nella Scrittura [ 2 Tm 3,3 ] con altri peccati, là dove si dice: « maldicenti, incontinenti, intrattabili », ecc.
Quindi l'incontinenza è un peccato.
Tre sono le accezioni del termine « incontinenza ».
La prima è il vocabolo nel suo significato proprio e assoluto.
E in questo senso l'incontinenza, come anche l'intemperanza, si riferisce alla concupiscenza dei piaceri del tatto, come si è detto sopra [ q. 155, a. 2 ].
Presa dunque così l'incontinenza è un peccato, per due motivi: primo, perché l'incontinente si allontana dal dettato della ragione; secondo, perché si immerge in piaceri vergognosi.
Per cui il Filosofo [ Ethic. 7,4 ] scrive che « l'incontinenza è riprovevole non solo come peccato », ossia come abbandono della ragione, « ma anche come malvagità », ossia in quanto segue le concupiscenze depravate.
Nella seconda accezione l'incontinenza è presa certamente in senso proprio, poiché indica l'abbandono di ciò che è conforme alla ragione, ma non in senso assoluto: p. es. nel caso di chi sorpassa i limiti della ragione nel desiderio degli onori, delle ricchezze e di altri beni consimili, i quali in se stessi sono dei beni; per cui non c'è incontinenza in senso assoluto, ma sotto un certo aspetto, come si è detto sopra [ q. 155, a. 2, ad 3 ] per la continenza.
E anche in questo caso l'incontinenza è un peccato: non perché uno si immerge in concupiscenze riprovevoli, ma perché non rispetta la misura della ragione nel desiderio di cose per se stesse desiderabili.
Nella terza accezione infine l'incontinenza non è intesa in senso proprio, ma solo per analogia: si applica cioè al desiderio di cose che uno non può usare malamente, ossia ai desideri virtuosi.
E a questo riguardo si può dire per analogia che uno è incontinente inquantoché, come gli incontinenti sono trascinati completamente dalla brama cattiva, così egli è preso totalmente dal desiderio buono, che è conforme alla ragione.
E tale incontinenza non è un peccato, ma appartiene alla perfezione della virtù.
1. L'uomo può evitare il peccato e fare il bene, non però senza l'aiuto di Dio, secondo le parole evangeliche [ Gv 15,5 ]: « Senza di me non potete far nulla ».
Quindi il fatto che l'uomo abbia bisogno dell'aiuto di Dio per essere continente non esclude che l'incontinenza sia un peccato: poiché secondo Aristotele [ Ethic. 3,3 ] « ciò che possiamo attraverso gli amici, in qualche modo lo possiamo da noi stessi ».
2. Nell'incontinente il giudizio della ragione viene sopraffatto non da una necessità, il che escluderebbe il peccato, ma da una certa negligenza dell'uomo, che non si impegna a resistere con fermezza alla passione facendo uso del giudizio di cui è provvisto.
3. La obiezioni è desunta dall'incontinenza di semplice analogia, non da quella intesa in senso proprio.
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