Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 2 - Se tanto la clemenza quanto la mansuetudine siano delle virtù

In Matth., c. 4; In 4 Ethic., lect. 13

Pare che né la clemenza né la mansuetudine siano delle virtù.

Infatti:

1. Nessuna virtù può opporsi ad altre virtù.

Invece queste due disposizioni si oppongono alla severità, che è anch'essa una virtù.

Quindi né la clemenza né la mansuetudine sono delle virtù.

2. « L'eccesso e la diminuizione distruggono la virtù » [ Ethic. 2,2 ].

Ma sia la clemenza che la mansuetudine consistono in una diminuzione: poiché la clemenza tende a diminuire il castigo, e la mansuetudine a diminuire l'ira.

Quindi nessuna delle due è una virtù.

3. La mansuetudine, o mitezza, è posta tra le beatitudini [ Mt 5,4 ] e tra i frutti [ Gal 5,23 ].

Ora, le virtù differiscono dalle beatitudini e dai frutti.

Quindi non è inclusa tra le virtù.

In contrario:

Seneca [ De clem. 2,5 ] ha scritto: « Tutti gli uomini dabbene mostrano clemenza e mansuetudine ».

Ma ciò che appartiene propriamente alle persone dabbene è la virtù: poiché secondo Aristotele [ Ethic. 2,6 ] « la virtù è ciò che rende buono chi la possiede e le opere che egli compie ».

Quindi la clemenza e la mansuetudine sono virtù.

Dimostrazione:

La virtù morale consiste nella sottomissione degli appetiti alla ragione, come insegna il Filosofo [ Ethic. 1,13 ].

Ora, ciò si riscontra sia nella clemenza che nella mansuetudine: poiché la clemenza nel diminuire i castighi « guarda alla ragione », secondo l'espressione di Seneca [ l. cit. ]; e anche la mansuetudine modera l'ira secondo la retta ragione, secondo Aristotele [ Ethic. 4,5 ].

Perciò è evidente che sia la clemenza che la mansuetudine sono virtù.

Analisi delle obiezioni:

1. La mansuetudine non si contrappone direttamente alla severità: poiché la mansuetudine ha per oggetto l'ira, mentre la severità riguarda i castighi.

Per cui quest'ultima sembrerebbe piuttosto contrapporsi alla clemenza, che come si è visto [ a. prec. ] ha anch'essa per oggetto le punizioni.

Ma in realtà l'opposizione non sussiste, poiché entrambe seguono la retta ragione.

Infatti la severità è inflessibile nell'applicare il castigo quando la retta ragione lo richiede, mentre la clemenza da parte sua tende a diminuirlo sempre secondo la retta ragione, cioè nei casi in cui ciò è opportuno.

Quindi le due virtù non sono contrarie, poiché non riguardano lo stesso oggetto.

2. Secondo il Filosofo [ Ethic. 4,5 ] « l'abito che osserva il giusto mezzo nell'ira è innominato: perciò la virtù prende nome dall'acquietarsi dell'ira, che viene indicato dal termine "mansuetudine" »: e questo perché la virtù è più vicina al meno che al più, essendo per l'uomo più naturale desiderare la vendetta delle ingiurie ricevute che rinunciarvi; infatti, come dice Sallustio [ Coniur. Catil. 51 ], « è ben difficile che a qualcuno sembrino piccole le ingiurie da lui subite ».

Ora, la clemenza tende a diminuire il castigo non rispetto alla misura della retta ragione, ma rispetto alla legge comune, che è oggetto della giustizia legale: la clemenza cioè diminuisce la pena giudicando, in base a certe particolari considerazioni, che a una data persona non va inflitta una pena più grande.

Per cui Seneca [ De clem. 2,7 ] dice che « la clemenza dichiara innanzitutto che le persone su cui essa viene esercitata non devono subire alcun altro castigo; il perdono invece è la remissione della pena meritata ».

Dal che risulta che la clemenza sta alla severità come l'epicheia sta alla giustizia legale, di cui la severità è appunto una parte, quanto all'applicazione delle pene secondo la legge.

La clemenza tuttavia è distinta dall'epicheia, come vedremo [ a. 3, ad 1 ].

3. Le beatitudini sono gli atti delle virtù, e i frutti sono le gioie provenienti da tali atti.

Perciò nulla impedisce di considerare la mansuetudine una virtù, una beatitudine e un frutto.

Indice