Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 163; q. 161, a. 4; In 2 Sent., d. 44, q. 2, a. 1, ad 3; In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 2, sol. 1, ad 2
Pare che le predette virtù non siano parti [ potenziali ] della temperanza.
1. La clemenza, come si è visto [ aa. 1,2 ], tende a diminuire i castighi.
Ma il Filosofo [ Ethic. 5,10 ] attribuisce questo compito all'epicheia, che fa parte della giustizia, come si è spiegato sopra [ q. 120, a. 2 ].
Quindi la clemenza non è una parte [ potenziale ] della temperanza.
2. La temperanza ha per oggetto le concupiscenze.
La mansuetudine invece e la clemenza non riguardano le concupiscenze, bensì l'ira e la vendetta.
Perciò non vanno poste fra le parti della temperanza.
3. Seneca [ De clem. 2,4 ] ha scritto: « Possiamo chiamare insania il fatto di provare piacere per la crudeltà ».
Ora, ciò si contrappone alla clemenza e alla mansuetudine.
Siccome però d'altra parte l'insania si contrappone alla prudenza, pare che la clemenza e la mansuetudine siano parti più della prudenza che della temperanza.
Seneca [ De clem. 2,3 ] insegna che « la clemenza è la temperanza dell'anima nella punizione ».
E anche Cicerone [ De invent. 2,54 ] mette la clemenza tra le parti della temperanza.
Le virtù annesse vengono assegnate a una virtù principale in quanto in materie secondarie la imitano quanto al modo da cui dipende fondamentalmente il suo valore di virtù, e grazie al quale essa ha preso anche il nome: come il modo e il nome della giustizia si ricavano dall'uguaglianza, quello della fortezza dalla stabilità e quello della temperanza dal contenimento, in quanto cioè essa tiene a freno le più violente concupiscenze dei piaceri del tatto.
Ora, anche la clemenza e la mansuetudine consistono in un certo contenimento, poiché la clemenza tende a diminuire il castigo e la mansuetudine l'ira, come sopra [ aa. 1,2 ] si è visto.
Perciò la clemenza e la mansuetudine sono virtù annesse alla temperanza.
E in base a ciò vengono poste fra le sue parti [ potenziali ].
1. Nella mitigazione delle pene si devono tener presenti due cose.
La prima è che tale mitigazione sia fatta secondo l'intenzione del legislatore, anche se non è secondo la lettera della legge.
E da questo lato la mitigazione rientra nell'epicheia.
- La seconda è una certa moderazione degli affetti, in modo che l'uomo rinunzi a fare uso del suo potere di infliggere dei castighi.
E questo è propriamente il compito della clemenza: per cui Seneca [ l. cit. ] scrive che essa è « la temperanza dell'animo nella punizione ».
E questa moderazione deriva da una certa dolcezza di sentimenti, per cui dispiace di contristare altre persone.
Perciò Seneca [ ib. ] afferma che la clemenza è una certa « mitezza » d'animo.
C'è invece austerità d'animo in colui che non esita a contristare gli altri.
2. La connessione delle virtù secondarie con quelle principali dipende più dal modo, che ne è come la forma, che dalla materia.
Ora la mansuetudine e la clemenza, come si è notato [ nel corpo ], convengono con la temperanza nel modo, sebbene non convengano nella materia.
3. Insania dice negazione di sanità [ non sanitas ].
Ora, come la sanità corporale viene distrutta dal fatto che il corpo perde la complessione dovuta alla specie umana, così l'insania spirituale dipende dal fatto che l'anima umana perde le disposizioni proprie della specie umana.
E ciò può avvenire sia riguardo alla ragione, p. es. quando uno ne perde l'uso, sia riguardo alla potenza appetitiva, p. es. quando uno perde l'affetto umano per cui « l'uomo è naturalmente amico di ogni uomo », secondo l'espressione di Aristotele [ Ethic. 8,1 ].
Ora, l'insania che toglie l'uso della ragione si contrappone alla prudenza.
Il fatto invece che uno goda delle sofferenze di altri uomini viene detto insania perché in tal modo un uomo pare privo di quell'affetto umano che dà origine alla clemenza.
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