Summa Teologica - II-II |
In 2 Sent., d. 42, q. 2, a. 4; De Malo, q. 8, a. 4; In 1 Cor., c. 4, lect. 2
Pare che non siano ben indicate le quattro specie della superbia proposte da S. Gregorio, là dove scrive [ Mor. 33,6 ]: « Quattro sono le manifestazioni che rivelano l'orgoglio degli arroganti:
credere che il bene posseduto derivi da se medesimi;
oppure, se si crede di averlo ricevuto dall'alto, essere persuasi che sia dovuto ai propri meriti;
o ancora, vantarsi di avere ciò che non si ha;
o infine col disprezzo degli altri cercare di fare apparire del tutto singolari le doti che si hanno ».
1. La superbia è un peccato distinto dall'incredulità: come anche l'umiltà è una virtù distinta dalla fede.
Ma la persuasione che il proprio bene non venga da Dio, o che la grazia possa derivare dai propri meriti, è un atto contro la fede.
Quindi ciò non può costituire una specie della superbia.
2. L'identica cosa non può essere specie di più generi.
Ora, la millanteria va posta tra le specie della menzogna, come sopra [ q. 110, a. 2; q. 112 ] si è dimostrato.
Perciò non va posta tra le specie della superbia.
3. Ci sono altre cose che rientrano nella superbia e non sono comprese in queste quattro specie.
S. Girolamo [ Epist. 148 ] infatti scrive che « nessuno è più superbo di chi è ingrato ».
E S. Agostino [ De civ. Dei 14,14 ] afferma che appartiene alla superbia lo scusarsi dei peccati commessi.
E così pure appartiene alla superbia la presunzione con la quale si tende a ottenere cose superiori alle proprie capacità.
Perciò la divisione suddetta non abbraccia tutte le specie della superbia.
4. Ci sono altre autorevoli divisioni della superbia.
Infatti S. Anselmo [ Eadmero, De similitud. 22 ss. ] trova che l'esaltazione dell'orgoglio può prodursi o « nella volontà », o « nelle parole », o « nelle opere », mentre per S. Bernardo [ De grad. humil. et sup. 10 ss. ] i gradi della superbia sono dodici: « la curiosità », « la leggerezza d'animo », « la stolta letizia », « la millanteria », « la singolarità »,« l'arroganza », « la presunzione », « la scusa dei peccati », « la confessione insincera », « la ribellione », « la libertà », « l'abitudine di peccare ».
Basta il testo di S. Gregorio.
La superbia implica una brama disordinata, ossia non conforme alla retta ragione, della propria eccellenza, come si è visto [ a. 1, ad 2; aa. 2,3 ].
Ora, si deve notare che ogni tipo di eccellenza deriva da un bene posseduto.
E questo può essere considerato da tre punti di vista.
Primo, in se stesso.
È evidente infatti che a un bene più grande corrisponde un'eccellenza maggiore.
Con l'attribuirsi quindi un bene più grande di quello che ha, un uomo mostra che il suo desiderio aspira a un'eccellenza superiore a quella che gli spetta.
E così abbiamo la terza specie della superbia, che consiste nel « vantarsi di avere ciò che non si ha ».
Secondo, [ si può considerare il proprio bene ] nelle sue cause: e sotto tale aspetto è più onorifico procurarsi un bene da se stessi che riceverlo da altri.
Perciò quando uno considera il bene ricevuto come se lo dovesse a se stesso, mostra che la sua volontà brama eccessivamente la propria eccellenza.
Ora, si può essere causa del proprio bene in due modi: come causa efficiente e come causa meritoria.
Abbiamo così le due prime specie della superbia: « credere che il bene posseduto derivi da se medesimi » ed « essere persuasi che sia stato concesso dall'alto ai propri meriti ».
Terzo, [ il proprio bene può essere considerato ] quanto alla maniera in cui è posseduto.
E da questo lato è più onorifico possedere un bene in un grado superiore a quello degli altri.
Da cui l'occasione di aspirare disordinatamente alla propria eccellenza.
E da ciò viene desunta la quarta specie della superbia, che consiste nel « cercare di apparire del tutto singolari, disprezzando gli altri ».
1 . Una convinzione giusta può essere distrutta in due modi.
Primo, nella sua universalità.
E in questo modo le vere convinzioni riguardanti la fede vengono distrutte dall'incredulità.
- Secondo, nei casi particolari di scelte volontarie.
E ciò non è dovuto all'incredulità.
Chi p. es. commette fornicazione ritiene che in quel momento è bene per lui fornicare; e tuttavia non pecca contro la fede, come invece peccherebbe se affermasse in generale che la fornicazione è una cosa onesta.
E lo stesso si dica nel nostro caso.
Dire infatti in generale che esiste un bene che non viene da Dio, o che la grazia è data a motivo dei nostri meriti, rientra nel peccato di incredulità.
Gloriarsi invece del proprio bene, per la brama disordinata della propria eccellenza, come se tale bene provenisse da noi stessi o fosse dovuto ai nostri meriti, propriamente parlando appartiene alla superbia e non all'incredulità.
2. La millanteria, per il suo atto esterno con cui uno si attribuisce delle doti che non ha, viene posta tra le specie della menzogna, ma quanto all'arroganza interiore è annoverata da S. Gregorio tra le specie della superbia.
3. Chi attribuisce a se stesso ciò che ha ricevuto da altri è un ingrato.
E così le due prime specie dell'orgoglio appartengono all'ingratitudine.
- Scusarsi poi dei peccati rientra nella terza specie della superbia: poiché in questo modo uno si attribuisce l'innocenza che non possiede.
- Il tendere infine a ciò che supera le proprie capacità appartiene soprattutto alla quarta specie della superbia, con la quale si cerca di essere preferiti agli altri.
4. Le tre suddivisioni di S. Anselmo sono desunte dallo sviluppo progressivo di qualsiasi peccato: dapprima è concepito nel cuore, poi è proferito con la bocca, finalmente è compiuto con le opere.
Le dodici suddivisioni di S. Bernardo sono invece desunte per contrapposizione ai dodici gradi dell'umiltà, di cui abbiamo già parlato [ q. 161, a. 6 ].
Infatti il primo grado di umiltà consiste nel « mostrare dovunque l'umiltà con l'anima e con il corpo, tenendo gli occhi fissi a terra ».
Ad essa si contrappone la « curiosità », con la quale si guarda disordinatamente dappertutto.
- Il secondo grado dell'umiltà consiste nel « dire poche parole e giustificate, senza alzare la voce ».
Contro di essa sta la « leggerezza d'animo », per cui si parla orgogliosamente di tutto.
Il terzo grado dell'umiltà consiste nel « non essere facile e pronto a ridere ».
Il suo contrario è la « stolta letizia ».
- Il quarto grado è la « taciturnità fino a che non si è interrogati ».
Ad esso si contrappone la « millanteria ».
- Il quinto grado consiste nel « seguire la regola comune del monastero ».
Il suo contrario è la « singolarità », con la quale uno cerca di apparire più santo.
- Il grado sesto dell'umiltà sta nel « credere e nel protestare di essere il più vile di tutti ».
Ad esso si contrappone l'« arroganza », per cui uno si reputa superiore agli altri.
- Il settimo grado consiste nel « protestarsi e nel credersi inutile e incapace di tutto ».
Il suo contrario è la « presunzione », con la quale uno si stima capace delle più grandi cose.
L'ottavo grado è la « confessione delle colpe ».
Ad esso si contrappone la « scusa dei peccati ».
- Il nono grado consiste nel « sopportare con pazienza cose dure e difficili ».
A ciò si contrappone la « confessione insincera », nella quale uno non vuole subire il castigo per i peccati, che confessa senza sincerità.
- Il decimo grado dell'umiltà è l'« obbedienza », il cui contrario è la « ribellione ».
- L'undicesimo grado consiste nel « non fare volentieri la propria volontà ».
Ad esso si contrappone la « libertà », con la quale uno si compiace di poter fare ciò che vuole.
- L'ultimo grado dell'umiltà è il « timor di Dio ».
Il suo contrario è l'« abitudine di peccare », che implica il disprezzo di Dio.
Ora, in questi dodici gradi non sono incluse solo le specie della superbia, ma anche alcune delle sue cause e dei suoi effetti: come si è già notato [ q. 161, a. 6 ] a proposito dell'umiltà.
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