Summa Teologica - II-II |
In 2 Sent., d. 19, q. 1, a. 5
Pare che nella Scrittura [ Gen 3,16ss ] non siano ben determinati i castighi particolari dei nostri progenitori.
1. Non deve essere assegnato come castigo del peccato ciò che esisterebbe anche senza di esso.
Ora, « il dolore del parto » ci sarebbe, come pare, anche senza il peccato: poiché la conformazione della donna esige che non si possa nascere senza il dolore della partoriente.
E anche « la soggezione della donna all'uomo » deriva dalla superiorità del sesso maschile su quello femminile.
« La nascita » poi « delle spine e dei triboli » è dovuta alla natura del terreno, che sarebbe stata la stessa anche senza il peccato.
2. Ciò che contribuisce alla dignità di una persona non può essere un castigo per essa.
Ma « la moltiplicazione dei concepimenti » contribuisce alla dignità di una donna.
Quindi non doveva essere posta fra i castighi della donna.
3. La pena del peccato dei nostri progenitori si trasmette a tutti i discendenti, come si è visto [ a. 1, ad 3 ] per la morte.
Ma non tutte le donne hanno « molteplici concepimenti », e non tutti gli uomini « mangiano il pane col sudore della fronte ».
Perciò queste non sono delle pene convenienti per il primo peccato.
4. Il paradiso terrestre fu creato per l'uomo [ Gen 2,8 ].
Ma nell'universo non ci può essere nulla di inutile.
Quindi non era un castigo ragionevole escludere l'uomo dal Paradiso terrestre.
5. Si dice [ Glossa ord. su Gen 2,8 ] che il Paradiso terrestre sia di per sé un luogo inaccessibile.
Quindi erano inutili gli altri impedimenti perché l'uomo non vi tornasse, cioè « i Cherubini e la fiamma della spada roteante ».
6. L'uomo subito dopo il peccato fu sottoposto alla necessità di morire: quindi non poteva più tornare immortale mediante l'albero della vita.
Perciò era inutile proibirgli l'uso di quell'albero, come invece si legge [ Gen 3,22 ]: « Egli non stenda più la mano e non prenda anche dall'albero della vita, così che ne mangi e viva per sempre ».
7. Schernire un miserabile ripugna alla misericordia e alla clemenza, che sono massimamente attribuite a Dio dalla Scrittura, come si legge nei Salmi [ Sal 145,9 ]: « La sua tenerezza si espande su tutte le creature ».
Quindi suona male dire che Dio schernì i nostri progenitori già ridotti in miseria dal peccato: « Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male ».
8. Le vesti sono necessarie all'uomo come anche il cibo, secondo l'affermazione di S. Paolo [ 1 Tm 6,8 ]: « Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo ».
Come quindi ai nostri progenitori il cibo fu assegnato prima del peccato, così fin da allora dovette essere provvisto anche il vestito.
Perciò non è giusto dire che dopo il peccato Dio « fece loro delle tuniche di pelle ».
9. Il castigo inflitto per un peccato deve superare in male i vantaggi che un peccatore ricava dalla sua colpa: altrimenti il castigo non distoglierebbe dal peccato.
Ma i nostri progenitori ottennero col peccato « che si aprissero i loro occhi ».
Ora, questo è un bene superiore a tutti i castighi indicati come conseguenze del peccato.
Quindi le pene seguite al peccato dei nostri progenitori non sono ben descritte.
I castighi suddetti furono inflitti da Dio, il quale « tutto dispone con misura, numero e peso », come dice la Scrittura [ Sap 11,20 ].
I nostri progenitori, come si è visto [ a. prec. ], furono privati per il loro peccato dell'integrità della natura umana concessa da Dio, e in seguito a questa sottrazione tale natura subì diverse dolorose menomazioni.
Essi quindi ebbero due punizioni.
Primo, la sottrazione del luogo che si addiceva allo stato di integrità, cioè il Paradiso terrestre; per cui si legge [ Gen 3,23 ]: « Dio lo scacciò dal giardino di Eden ».
E poiché l'uomo non poteva da se stesso tornare allo stato d'innocenza, furono posti degli ostacoli perché egli non tornasse a godere di quanto si addiceva a quello stato, cioè del cibo: « perché non cogliesse dall'albero della vita », e del luogo: « Dio pose a guardia del Paradiso un cherubino con la spada fiammeggiante ».
Secondo, essi furono puniti in quanto incorsero in quei difetti che si addicono a una natura destituita del dono dell'integrità.
E ciò sia nel corpo che nell'anima.
Rispetto al corpo, nel quale abbiamo la differenza dei sessi, la pena attribuita alla donna fu diversa da quella dell'uomo.
La donna fu punita nei due legami che ha con l'uomo: cioè nella generazione della prole e nelle mansioni che le spettano nella vita domestica.
Nella generazione poi la donna fu punita in due modi.
Primo, con le tribolazioni che deve sopportare per la gestazione della prole, e ciò è incluso in quel testo: « Moltiplicherò i tuoi travagli e i tuoi concepimenti ».
Secondo, col dolore del parto: « Partorirai nel dolore ».
- Rispetto invece alla vita domestica la donna fu punita con l'assoggettamento al dominio dell'uomo: « Sarai sotto il potere del marito ».
- Ma come la donna deve sottostare al marito nella vita domestica, così l'uomo deve procurare il necessario alla vita.
E qui egli viene punito in tre modi.
Primo, con la sterilità della terra: « Maledetta la terra per causa tua! ».
Secondo, con la fatica del lavoro, senza della quale non può percepire i frutti della terra: « Tra le fatiche ne ricaverai il nutrimento in tutti i giorni della tua vita ».
Terzo, con gli ostacoli che incontrano i coltivatori della terra: « Ti germoglierà triboli e spine ».
E anche rispetto all'anima vengono indicate tre punizioni.
Primo, la vergogna che i progenitori subirono con la ribellione della carne allo spirito: « Si aprirono gli occhi ad ambedue, e si accorsero di essere nudi ».
- Secondo, il rimprovero della loro colpa: « Ecco Adamo è diventato quasi uno di noi ».
- Terzo, il pensiero della morte futura: « Sei polvere e in polvere ritornerai ».
E ciò viene indicato anche dal fatto che « Dio fece loro delle tuniche di pelle », simbolo della loro mortalità.
1. Nello stato di innocenza il parto sarebbe stato senza dolore.
« Il seno delle madri sarebbe stato sollecitato al parto non dai gemiti del dolore », scrive S. Agostino [ De civ. Dei 14,26 ], « ma dalla maturazione del feto, come non ci sarebbe stato nel concepire l'impulso della libidine, ma l'uso volontario dell'accoppiamento ».
Inoltre la soggezione della donna al marito è un castigo non rispetto al governo della famiglia, poiché anche prima del peccato l'uomo sarebbe stato « capo della donna » [ 1 Cor 11,3; Ef 5,23 ] e sua guida, ma in quanto la donna è costretta per necessità a sottostare al volere del marito, contro la propria volontà.
Se poi l'uomo non avesse peccato, la terra avrebbe germinato triboli e spine come cibo degli animali, non già come castigo dell'uomo: poiché la loro presenza, secondo S. Agostino [ De Gen. ad litt. 3,18.27 ], non avrebbe procurato all'uomo che lavorava la terra alcuna fatica o puntura.
Alcuino [ Interr. et resp. in Gen. 79 ] invece afferma che prima del peccato la terra non avrebbe prodotto per nulla triboli e spine.
Ma la prima spiegazione è migliore.
2. La molteplicità dei concepimenti è riferita tra i castighi dalla donna non per la stessa procreazione della prole, che ci sarebbe stata anche prima del peccato, ma per i molteplici travagli che la donna soffre nella gestazione.
È detto infatti di proposito: « Moltiplicherò i tuoi travagli e i tuoi concepimenti ».
3. I castighi ricordati colpiscono in qualche modo tutti.
Poiché tutte le donne che concepiscono sono soggette ai travagli e ai dolori del parto: eccetto la Beata Vergine, la quale « concepì senza corruzione e partorì senza dolore » [ Bernardo, Serm. in Dom. infra oct. Assumpt. 10 ], poiché il suo concepimento non avvenne secondo la legge naturale derivata dai nostri progenitori.
Se poi alcune non concepiscono e non partoriscono, allora soffrono la sterilità, che è più grave delle sofferenze suddette.
Parimenti è necessario che chiunque coltiva la terra mangi il pane con il sudore della fronte.
E quegli stessi che non la coltivano direttamente sono occupati in altri lavori, poiché « l'uomo », come dice la Scrittura [ Gb 5,7 Vg ], « nasce alla fatica »: quindi uno mangia il pane prodotto da altri con il suo sudore.
4. Sebbene il luogo del Paradiso terrestre non serva all'uomo per abitazione, tuttavia gli serve di insegnamento: egli infatti viene a conoscere che è stato escluso da quel luogo per il peccato; e inoltre le realtà materiali esistenti in esso [ Gen 2,8ss ] gli parlano di quelle esistenti nel Paradiso celeste, di cui Cristo gli ha aperto la via.
5. Senza pregiudizio per i misteri racchiusi nel senso spirituale del testo, pare che detto luogo sia inaccessibile per la violenza del calore ai tropici dovuta alla vicinanza del sole.
E ciò viene indicato dalla « spada fiammeggiante »: la quale è detta « roteante » per il moto circolare che provoca questo calore.
E poiché il moto delle creature materiali dipende dal ministero degli angeli, come insegna S. Agostino [ De Trin. 3,4.9 ], è giusto che con la spada roteante vengano pure ricordati « i Cherubini che impediscono l'accesso all'albero della vita ».
« Dobbiamo credere », dice infatti S. Agostino [ De Gen. ad litt. 11,40.54 ], « che gli angeli stabilirono quasi uno sbarramento di fuoco attorno al Paradiso terrestre ».
6. Se dopo il peccato l'uomo avesse mangiato i frutti dell'albero della vita, non avrebbe per questo ricuperato l'immortalità, ma avrebbe potuto prolungare la vita.
Perciò nell'espressione: « per vivere in eterno », eterno sta per molto a lungo.
Ora, non conveniva all'uomo vivere a lungo nella miseria di questa vita.
7. Come spiega S. Agostino [ De Gen. ad litt. 11,39.52 ], « le parole di Dio non sono tanto uno scherno contro i nostri progenitori, quanto un deterrente contro la superbia dei loro discendenti, per i quali furono scritte: poiché non solo Adamo non divenne tale quale voleva diventare, ma non rimase neppure quale era prima ».
8. L'uomo nello stato della miseria presente ha bisogno del cibo per due motivi: primo, per difendersi dagli agenti esterni, quali gli eccessi del caldo e del freddo; secondo, per coprire le vergogne, cioè per nascondere la turpitudine delle membra in cui soprattutto si manifesta la ribellione della carne allo spirito.
Ora, queste due cose non ci potevano essere nello stato primitivo.
Poiché allora il corpo dell'uomo non poteva essere danneggiato da alcun agente esterno, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 97, a. 2 ].
E inoltre in quello stato del corpo umano non c'era nulla che potesse provocare vergogna; infatti nella Scrittura [ Gen 2,25 ] si legge: « Tutti e due erano nudi, Adamo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna ».
- Diverso invece è il caso del cibo, che è sempre necessario per l'alimentazione del calore naturale e lo sviluppo del corpo.
9. Come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 11,31.41 ], non è da credere che i nostri progenitori siano stati creati « con gli occhi chiusi »; soprattutto quando a proposito della donna si dice: « Vide che l'albero era buono da mangiare e gradito agli occhi ».
« Perciò i loro occhi si aprirono allora per vedere e comprendere cose che prima non avevano mai avvertito »: cioè la concupiscenza reciproca, che prima non c'era.
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