Summa Teologica - II-II |
In 1 Sent., d. 37, q. 4, a. 1; De Verit., q. 8, a. 15, ad 3; In Psalm., 26; In Div. Nom., c. 4, lect. 7
Pare che le funzioni del contemplare non siano ben distinte nei tre generi del moto, « circolare, retto ed elicoidale », di cui parla Dionigi [ De div. nom. 4 ].
1. La contemplazione consiste nella quiete, come sta scritto [ Sap 8,16 ]: « Ritornato a casa, riposerò vicino a lei ».
Ma la quiete è il contrario del moto.
Quindi le funzioni della vita contemplativa non devono essere definite come dei moti.
2. Le funzioni della vita contemplativa appartengono all'intelletto, che gli uomini hanno in comune con gli angeli.
Ora, Dionigi [ l. cit. ] attribuisce questi moti agli angeli in maniera diversa che all'anima.
Scrive infatti che il moto circolare dell'angelo avviene secondo « l'illuminazione della bellezza e della bontà ».
Invece il moto circolare dell'anima lo fa consistere in molti elementi.
Il primo è « il rientrare dell'anima in se stessa a partire dalle realtà esterne »;
il secondo è « un concentrarsi delle proprie potenze », per cui essa si libera « dall'errore e dalle occupazioni esteriori »;
il terzo è «la sua unione con le realtà che la trascendono».
- Parimenti egli ne spiega diversamente il moto retto.
Poiché mentre afferma che il moto retto dell'angelo sta nel « provvedere agli esseri inferiori », fa consistere quello dell'anima in due cose: primo, « nel volgersi alle cose che la circondano »; secondo, « nell'elevarsi alla contemplazione semplice partendo dalle realtà esterne ».
- Inoltre egli spiega diversamente anche il moto elicoidale.
Infatti negli angeli lo fa consistere nel fatto che « mentre esercitano la loro provvidenza su quelli che ne hanno bisogno, rimangono identici in rapporto a Dio ».
Nell'anima invece il moto elicoidale sta in questo, che « l'anima viene illuminata dalla conoscenza divina con procedimenti razionali e discorsivi ».
- Quindi non è giusto descrivere le funzioni contemplative nel modo suddetto.
3. Riccardo di S. Vittore [ De contempl. 1,5 ] enumera molte altre varietà di moti, richiamandosi al volo degli uccelli.
« Certi uccelli ora si innalzano al cielo e ora sprofondano verso il basso, ripetendo spesso questo movimento; altri volano spesso ora a destra e ora a sinistra; altri vanno spesso avanti e indietro; altri roteano in giri ora più larghi ora più stretti; altri infine rimangono come sospesi nel medesimo punto ».
Quindi i moti della contemplazione non sono soltanto tre.
Possiamo citare il testo di Dionigi.
Come sopra [ q. 179, a. 1, ad 3 ] si è visto, l'atto intellettivo che costituisce essenzialmente la contemplazione può denominarsi moto solo in quanto designa « l'atto di un essere perfetto », secondo l'espressione del Filosofo [ De anima 3,7 ].
Siccome però noi arriviamo alla conoscenza delle realtà intelligibili partendo da quelle sensibili, e gli atti di ordine sensitivo non avvengono senza moto, noi descriviamo anche le funzioni di ordine intellettivo come dei moti, e designamo le loro differenze secondo le loro diversità.
Ora, tra i moti di ordine corporeo il primo e il più perfetto è il moto locale, come dimostra Aristotele [ Phys. 8,7 ].
Per cui le funzioni intellettive vengono descritte specialmente ricorrendo ad esso.
Ora, in questo moto si riscontrano tre differenze: c'è infatti un moto circolare, consistente nel muoversi di una cosa in maniera uniforme intorno a un unico centro; c'è poi il moto rettilineo, che va direttamente da un punto a un altro; c'è infine il moto elicoidale, quasi combinazione dei due precedenti.
Perciò nelle funzioni intellettive quelle che hanno una perfetta uniformità vengono attribuite al moto circolare; quelle invece in cui si procede da una cosa a un'altra vengono attribuite al moto retto; quelle infine che hanno una certa uniformità unita al procedimento verso altre cose vengono attribuite al moto elicoidale.
1. Alla quiete della contemplazione, che è l'assenza di occupazioni esterne, si contrappongono i moti corporei esteriori.
I moti delle funzioni intellettive rientrano invece nella quiete contemplativa.
2. L'uomo, grazie all'intelletto, ha con l'angelo una comunanza nel genere, ma la facoltà intellettiva dell'angelo è molto superiore a quella dell'uomo.
È quindi giusto assegnare i moti suddetti in maniera diversa alle anime e agli angeli, secondo il diverso loro rapporto all'uniformità.
Infatti l'intelletto dell'angelo ha una conoscenza uniforme per due motivi: primo, perché non riceve la verità intelligibile dalla varietà degli esseri composti; secondo, perché non intende in maniera discorsiva, ma mediante una semplice intuizione.
Invece l'intelletto umano riceve la verità intelligibile dalle realtà sensibili, e la intende mediante il procedimento discorsivo della ragione.
Così Dionigi attribuisce il moto circolare agli angeli per il fatto che con uniformità e incessantemente, senza principio e fine, vedono Dio: come il moto circolare, senza principio e fine, è uniforme rispetto a un unico centro.
- Invece l'anima, prima di giungere a questa uniformità, deve rimuovere due difformità.
Prima di tutto quella dovuta alla varietà delle cose esterne, per cui l'anima deve appartarsi da esse.
Ed è quanto Dionigi mette al primo posto nel moto circolare dell'anima, cioè « il rientrare dell'anima in se stessa a partire dalle realtà esterne ».
In secondo luogo bisogna rimuovere la seconda difformità, dovuta al procedimento discorsivo della ragione.
E ciò avviene col ridurre tutte le funzioni dell'anima alla semplice contemplazione della verità di ordine intellettivo.
Ed è quanto egli dice affermando che è necessaria « l'uniforme concentrazione delle potenze intellettive »: cosicché, cessato il procedimento discorsivo, si fissi lo sguardo nella contemplazione dell'unica semplice verità.
E in questa operazione dell'anima non c'è errore, come non c'è errore nella conoscenza dei primi princìpi che conosciamo con una semplice intuizione.
- E dopo queste due premesse, in terzo luogo viene posta l'uniformità simile a quella degli angeli nella quale, lasciando ogni altra cosa, si insiste nella sola contemplazione di Dio: « Resa quindi uniforme », o conforme, « con l'unione delle sue potenze, viene condotta a contemplare la bellezza e la bontà ».
Inoltre negli angeli il moto rettilineo non può consistere nel procedere da una cosa all'altra nelle funzioni conoscitive, ma solo nel fatto che gli angeli superiori nelle loro funzioni di ministero illuminano gli inferiori attraverso quelli intermedi.
E così Dionigi scrive che gli angeli « sono mossi in linea retta quando provvedono ai loro inferiori passando rettamente attraverso tutti [ quelli interposti ] », cioè osservando l'ordine retto prestabilito.
- Invece il moto retto dell'anima egli lo fa consistere nel fatto che essa dalle realtà esterne sensibili passa alla conoscenza di quelle intelligibili.
Finalmente il moto elicoidale, combinazione del rettilineo e del circolare, negli angeli lo fa consistere nel fatto che essi provvedono alle intelligenze inferiori in ordine alla contemplazione di Dio.
- Invece nell'anima lo fa consistere nel fatto che essa ricorre alla rivelazione divina valendosi del raziocinio.
3. Tutte queste varietà di moti verso l'alto e verso il basso, verso destra e verso sinistra, avanti e indietro, in giri ampi o ristretti sono incluse nel moto rettilineo o in quello elicoidale.
Esse infatti non indicano se non il processo discorsivo della ragione.
Il quale, come espone lo stesso autore [ l. cit. nell'ob. ], se va dal genere alla specie o dal tutto alle parti, va dall'alto al basso.
Se invece va da un opposto al suo contrario, è un moto da destra a sinistra.
Se va dalla causa agli effetti, è un moto in avanti e indietro.
Se poi riguarda gli accidenti che circondano più o meno da vicino una cosa, il moto è circolare.
Invece il processo discorsivo della ragione, quando va dalle realtà sensibili a quelle intelligibili secondo l'ordine naturale, rientra nel moto rettilineo; quando al contrario procede secondo la rivelazione divina rientra nel moto elicoidale, come si è già spiegato [ ad 2 ].
- Invece la sola l'immobilità di cui egli parla appartiene al moto circolare.
È quindi evidente che Dionigi ha descritto i moti della contemplazione in maniera molto più adeguata e profonda.
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