Summa Teologica - II-II |
Supra, q. 175, aa. 4, 5; I, q. 12, a. 11; In 3 Sent., d. 27, q. 3, a. 1; d. 35, q. 2, a. 2, sol. 2; In 4 Sent., d. 49, q. 2, a. 7; C. G., III, c. 47; De Verit., q. 10, a. 11; q. 13, a. 4; Quodl., 1, q. 1; In Ioan., c. 1, lect. 11; In 2 Cor., c. 12, lect. 1
Pare che in questa vita la contemplazione possa raggiungere la visione dell'essenza divina.
1. Giacobbe, come narra la Genesi [ Gen 32,31 ], afferma: « Ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva ».
Ma la visione facciale non è altro che la visione dell'essenza divina.
Quindi nella vita presente uno può giungere mediante la contemplazione a vedere Dio per essenza.
2. Secondo S. Gregorio [ Mor. 6,37 ] i contemplativi, « nel meditare sulle realtà spirituali, si concentrano in se stessi al punto di non portarsi dietro neppure le ombre delle realtà corporee, o almeno di allontanarle con la mano della discrezione; desiderosi di vedere la luce senza limiti, eliminano tutte le immagini della loro limitatezza, e in colui che bramano raggiungere sopra di sé vincono ciò che sono ».
Ora, l'uomo è impedito dalla visione dell'essenza divina, che è la luce senza limiti, solo dal fatto che è costretto a servirsi di immagini corporee.
Perciò la contemplazione della vita presente può estendersi alla visione per essenza della luce infinita.
3. S. Gregorio [ Dial. 2,35 ] inoltre afferma: « Qualsiasi creatura è angusta per l'anima che vede il Creatore. Ecco perché l'uomo di Dio », cioè S. Benedetto, « il quale da una torre vedeva un globo di fuoco e gli angeli che risalivano al cielo, non poteva vedere queste cose se non nella luce di Dio ».
Ma allora S. Benedetto viveva ancora in questo mondo.
Quindi la contemplazione nella vita presente può estendersi fino alla visione dell'essenza di Dio.
S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ] ha scritto: « Finché si vive in questa carne mortale nessuno si leva tanto in alto nella contemplazione da poter fissare gli occhi della mente nel raggio stesso della luce infinita ».
Come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,27.55 ], « nessuno che veda Dio vive questa vita in cui si vive da mortali soggetti ai sensi del corpo; e non ci si eleva a quella visione se in qualche modo non si muore a questa vita, o uscendo dal corpo o astraendosi dai sensi corporei ».
Ma di ciò abbiamo trattato più ampiamente sopra a proposito del rapimento [ q. 175, aa. 4,5 ], e nella Prima Parte a proposito della conoscibilità di Dio [ q. 12, a. 11 ].
Così dunque dobbiamo premettere che uno può trovarsi nella vita presente in due modi.
Primo, quanto alla sua operazione attuale: cioè in quanto si serve attualmente dei sensi del corpo.
E in questo modo la contemplazione della vita presente non può mai giungere alla visione dell'essenza divina.
- Secondo, uno può essere in questa vita quanto alle sue potenze, ma non ai loro atti: cioè in quanto la sua anima è unita come forma a un corpo mortale, senza però servirsi dei sensi corporei o dell'immaginativa, come avviene nel rapimento.
E in questo secondo modo la contemplazione di questa vita può raggiungere la visione dell'essenza divina.
Per cui il grado supremo della contemplazione in questa vita è quello che ebbe S. Paolo nel suo rapimento [ 2 Cor 12,2s ], il quale lo pose in una condizione intermedia fra lo stato della vita presente e quello della vita futura.
1. Come scrive Dionigi [ Epist. 1 ], « se uno vedendo Dio capì quello che vide, non vide lui, ma qualcuno dei suoi attributi ».
E S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ] afferma che « non si percepisce in alcun modo Dio onnipotente nella sua luce, ma l'anima intravede qualcosa di inferiore, che le permette di progredire nel bene e di giungere finalmente alla gloria della visione di Dio ».
Perciò quando Giacobbe disse: « Ho visto Dio faccia a faccia », ciò va inteso nel senso che vide non l'essenza di Dio, ma la figura immaginaria in cui Dio gli aveva parlato.
- Oppure, come spiega S. Gregorio [ Glossa ord. ], « chiamò faccia di Dio la conoscenza di lui, poiché noi conosciamo tutti dalla faccia ».
2. La contemplazione umana nella vita presente non può fare a meno dei fantasmi, poiché è connaturale all'uomo vedere le specie intelligibili nei fantasmi, come spiega il Filosofo [ De anima 3,7 ].
La conoscenza intellettiva però non si ferma ai fantasmi, ma in essi contempla la verità intelligibile nella sua purezza.
E ciò avviene non solo nella conoscenza naturale, ma anche nelle verità che conosciamo per rivelazione: infatti Dionigi [ De cael. hier. 2 ] afferma che « la luce divina ci manifesta le gerarchie angeliche mediante simboli e figure », attraverso cui si ricompone « il semplice raggio », ossia la conoscenza semplice della verità intelligibile.
E in questo senso va spiegata l'affermazione di S. Gregorio che i contemplativi « non si portano dietro le ombre delle realtà corporee »: in quanto cioè la loro contemplazione non si ferma ad esse, mirando alla verità intelligibile.
3. S. Gregorio non intese affermare che S. Benedetto in quella visione vide Dio per essenza, ma solo dimostrare che alla luce di Dio si possono conoscere facilmente tutte le cose, « poiché a chi vede il Creatore è angusta qualsiasi creatura ».
Egli infatti aggiunge: « Per poco che uno sia rischiarato dalla luce del Creatore, tutto il creato gli diventa poca cosa ».
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