Summa Teologica - II-II |
Quodl., 3, q. 6, a. 3; De perf. vitae spir., c. 23, ad 2
Pare che il concetto di stato non dica rapporto alla condizione di libertà o di schiavitù.
1. Stato deriva dal latino stare [ stare in piedi ].
Ma si dice che uno sta [ in piedi ] per la posizione eretta: si legge infatti nella Scrittura [ Ez 2,1 ]: « Figlio dell'uomo, sta' ritto sui tuoi piedi »; e in S. Gregorio [ Mor. 7,37 ]: « Decadono da qualsiasi stato di rettitudine quelli che escono in parole cattive ».
Ora, l'uomo acquista la sua rettitudine spirituale sottomettendo la propria volontà a Dio; per questo la Glossa [ ord. di Agost. ], a commento di quelle parole del Salmo [ Sal 33,1 ]: « Ai retti si addice la lode », afferma: « Sono retti coloro che dirigono il loro cuore secondo la volontà di Dio ».
Perciò basta la sola obbedienza ai comandamenti di Dio a costituire uno stato.
2. Il termine stato implica immobilità, secondo l'espressione di S. Paolo [ 1 Cor 15,58 ]: « Rimanete saldi e immobili ».
E S. Gregorio [ In Ez hom. 21 ] scrive: « È una pietra quadrata, stabile [ statum habens ] in ogni suo lato, colui che in qualsiasi scuotimento non cade ».
Ma è la virtù che, secondo Aristotele [ Ethic. 2,4 ], fa « operare invariabilmente ».
Quindi con qualsiasi atto di virtù si acquista uno stato.
3. Il termine stato indica elevazione: poiché si dice che sta colui che è sollevato in alto.
Ma uno diventa più alto con i vari uffici che riveste.
E così mediante i diversi gradi e ordini gli uomini raggiungono una data altezza.
Perciò la sola diversità di gradi, di ordini o di uffici basta a creare una diversità di stato.
Nel Decreto [ di Graz. 2,2,6,40 ] si legge: « Se uno è chiamato in giudizio per una causa capitale, ovvero di stato, deve difendersi da se stesso e non per procura »: e qui per « causa di stato » si intende la causa riguardante la libertà o la schiavitù.
Quindi lo stato di un uomo non varia se non mediante ciò che si riferisce alla libertà o alla schiavitù.
Propriamente parlando, per stato si intende quella particolare posizione secondo la quale uno è disposto, con una certa stabilità, in modo conforme alla propria natura.
Infatti per l'uomo è naturale avere il capo in alto, i piedi in terra, e le altre membra ordinate in una conveniente posizione intermedia: il che non avviene se uno è steso, seduto o accovacciato.
E neppure si può dire che uno « sta » quando si muove, ma solo quando è fermo.
E così anche nell'agire umano si dice che un affare qualsivoglia ha un certo stato quando in conformità alla propria disposizione ha una certa stabilità, o quiete.
Quindi anche in rapporto alle persone umane non costituisce il loro stato ciò che è mutevole ed esterno, come l'essere ricchi o poveri, nobili o plebei, o altre cose del genere: per cui anche il diritto civile stabilisce che l'espulsione dal senato toglie la dignità, ma non muta lo stato.
Incide invece sullo stato solo ciò che dice rapporto a un'obbligazione della persona umana: se cioè uno è padrone di sé o sottoposto ad altri, in forza di cause non già lievi e facili a mutare, ma per un diritto permanente.
Ora, ciò si ricollega al concetto di libertà o di schiavitù.
Perciò lo stato dice rapporto propriamente alla libertà o alla schiavitù, sia in campo religioso che in campo civile.
1. La posizione eretta non appartiene al concetto di stato come tale, ma vi rientra solo in quanto è connaturale all'uomo, e se è unita a una certa immobilità.
Infatti negli altri animali non si richiede la posizione eretta perché si possa dire che « stanno ».
E degli uomini stessi non si può dire che « stanno », sebbene stiano eretti, se non rimangono fermi.
2. Per la nozione di stato l'immobilità non basta.
Poiché anche coloro che sono seduti o distesi sono fermi, e tuttavia non « stanno ».
3. L'ufficio viene concepito in relazione a una funzione, e il grado dipende dalla superiorità o dall'inferiorità; ma per lo stato si richiede stabilità in ciò che riguarda la condizione personale.
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