Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 29, q. 1, a. 8, sol. 3; De Virt., q. 2, a. 11, ad 12; Quodl., 1, q. 7, a. 2; C. impugn., c. 2
Pare che tutti i religiosi siano tenuti a osservare tutti i consigli.
1. Chi professa uno stato di vita è tenuto agli obblighi propri di tale stato.
Ora, qualsiasi religioso professa lo stato di perfezione.
Quindi qualsiasi religioso è tenuto a tutti i consigli che sono propri dello stato di perfezione.
2. S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ] afferma che « chi abbandona il secolo e compie il bene che può fare assomiglia a chi, dopo aver lasciato l'Egitto, sacrifica nel deserto ».
Ma abbandonare il secolo è proprio dei religiosi.
Perciò è anche loro dovere speciale compiere tutto il bene che possono.
E così ciascuno di loro è tenuto a osservare tutti i consigli.
3. Se lo stato di perfezione non esige che si osservino tutti i consigli, basterà che se ne osservino solo alcuni.
Ma ciò è falso: poiché molti nella vita secolare osservano alcuni consigli, come è evidente per la continenza.
Perciò tutti i religiosi, che sono in stato di perfezione, sono tenuti a tutto ciò che è proprio della perfezione, e quindi a tutti i consigli.
Nessuno è tenuto alle opere supererogatorie se non per un'obbligazione personale.
Ora, ciascun religioso si obbliga a determinate cose: chi a queste, chi a quelle.
Non sono quindi tenuti tutti a tutte.
Una cosa può appartenere alla perfezione in tre modi.
Primo, in maniera essenziale.
E così appartiene alla perfezione la perfetta osservanza dei precetti della carità, come si è visto [ q. 184, a. 3 ].
- Secondo, una cosa può appartenere alla perfezione come conseguenza, cioè in quanto è un atto derivante dalla perfezione della carità: come nel caso di chi, essendo maledetto, benedice [ Lc 6,28 ], o compie altre opere del genere.
I quali atti, sebbene siano di precetto come predisposizioni d'animo, in quanto c'é l'obbligo di compierli quando la necessità lo esige, tuttavia vengono compiuti talvolta anche fuori dei casi di necessità, a motivo della sovraeminenza della carità.
- Terzo, una cosa può appartenere alla perfezione in maniera strumentale e dispositiva: come la povertà, la castità, l'astinenza e altre cose del genere.
Ora, sopra [ a. prec., s. c. ] noi abbiamo detto che la perfezione della carità è il fine dello stato religioso, e lo stato religioso è come un tirocinio o esercizio per giungere alla perfezione.
Ma a tale scopo i singoli si sforzano di giungere con esercizi diversi: come un medico per guarire un malato può usare diversi medicamenti.
È evidente però che chi agisce in vista di un fine non è detto che lo abbia già raggiunto: si richiede però che tenda verso di esso per una qualche via.
Perciò chi abbraccia lo stato religioso non è tenuto ad avere la carità perfetta, ma solo a tendervi e ad agire per averla.
- Per lo stesso motivo poi egli non è tenuto a compiere quanto deriva come conseguenza dalla perfezione della carità: è tenuto però a desiderare di compierlo, il che è incompatibile col disprezzo.
Perciò egli non pecca se non lo osserva, ma solo se lo disprezza.
- Parimenti egli non è tenuto a tutte le pratiche con le quali si giunge alla perfezione, ma solo a quelle determinate dalla regola che ha professato.
1. Chi entra in religione non professa di essere perfetto, ma di impegnarsi a raggiungere la perfezione: come chi va a scuola non professa di sapere, ma si professa studente per acquistare la scienza.
Per cui S. Agostino [ De civ. Dei 8,2 ] racconta in proposito che Pitagora non volle chiamarsi sapiente, ma « amante della sapienza ».
Perciò il religioso non contraddice la sua professione se non è perfetto, ma solo se trascura di tendere alla perfezione.
2. Come tutti sono tenuti ad amare Dio con tutto il cuore, e tuttavia c'è una certa totalità che non può essere trascurata senza peccato mentre c'è un'altra totalità che può essere trascurata senza peccato - purché, come si è già notato, non ci sia il disprezzo -, così tutti, sia religiosi che secolari, sono tenuti a fare tutto il bene che possono; poiché a tutti sono rivolte le parole della Scrittura [ Qo 9,10 ]: « Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado »; c'è però una certa misura nell'adempimento di questo precetto, in base alla quale si evita il peccato: se cioè l'uomo fa quello che può fare secondo la condizione del suo stato; purché non ci sia verso il meglio quel disprezzo che chiude l'animo al progresso spirituale.
3. L'inosservanza di certi consigli fa sì che tutta la vita sia assorbita nelle faccende secolaresche: è questo il caso dei possessi personali, del matrimonio o di altre cose del genere, che sono incompatibili con gli obblighi essenziali della vita religiosa.
Perciò i religiosi sono tenuti a osservare tutti questi consigli.
Ce ne sono invece altri che riguardano degli atti migliori particolari, e questi possono non essere osservati senza che per questo la vita di un uomo sia assorbita dalle faccende secolaresche.
Per cui non è necessario che i religiosi siano obbligati a tutti questi consigli.
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