Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se sia lecito ai religiosi vivere di elemosine

C. G., III, c. 135; C. impugn., c. 7

Pare che ai religiosi non sia lecito vivere di elemosine.

Infatti:

1. L'Apostolo [ 1 Tm 5,16 ] comanda che le vedove che possono sostentarsi diversamente non vivano con le elemosine della Chiesa, « affinché la Chiesa possa venire incontro a quelle che sono veramente vedove ».

E S. Girolamo [ Decr. di Graz. 2,1,2,6 ] afferma che « se quelli che possono sostentarsi con i beni paterni prendono ciò che è dei poveri commettono un sacrilegio, e abusandone mangiano e bevono la propria condanna ».

Ma i religiosi, se sono validi, possono sostentarsi con il proprio lavoro.

Quindi essi peccano vivendo con le elemosine dei poveri.

2. Vivere con le offerte dei fedeli è un salario concesso ai predicatori del Vangelo per il loro lavoro, secondo le parole evangeliche [ Mt 10,10 ]: « L'operaio ha diritto al suo nutrimento ».

Ma non spetta ai religiosi predicare il Vangelo, bensì ai prelati, che sono pastori e dottori.

Perciò i religiosi non possono vivere lecitamente con le elemosine dei fedeli.

3. I religiosi sono in stato di perfezione.

Ora, è cosa più perfetta dare l'elemosina che riceverla, poiché sta scritto [ At 20,35 ]: « Vi è più gioia nel dare che nel ricevere ».

Essi dunque non devono vivere di elemosine, ma piuttosto elargirle con il frutto del proprio lavoro manuale.

4. È proprio dei religiosi evitare gli ostacoli alla virtù e le occasioni di peccato.

Ma il ricevere l'elemosina è occasione di peccato e ostacola l'esercizio della virtù.

Infatti a proposito di quel testo di S. Paolo [ 2 Ts 3,9 ]: « Per darvi noi stessi come esempio da imitare », ecc., la Glossa [ ord. di Ambr. ] afferma: « Chi mangia spesso alla mensa altrui, abbandonandosi all'ozio, è costretto ad adulare chi lo aiuta ».

Nell'Esodo [ Es 23,8 ] poi si legge: « Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti ».

E nei Proverbi [ Pr 22,7 ]: « Chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore », il che è incompatibile con la religione, poiché a commento del detto di S. Paolo già citato la Glossa [ ord. di Ambr. ] afferma: « La nostra religione chiama gli uomini alla libertà ».

Quindi i religiosi non devono vivere di elemosine.

5. I religiosi sono tenuti in modo particolare a imitare la perfezione degli Apostoli; per cui S. Paolo [ Fil 3,15 ] scrive: « Quanti siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti ».

Ora, l'Apostolo non voleva vivere con le offerte dei fedeli per impedire, come egli dice, la predicazione dei falsi apostoli [ 2 Cor 11,12s ], e per non scandalizzare i deboli [ 1 Cor 9,12 ].

Perciò anche i religiosi sono tenuti ad astenersi dal vivere di elemosine.

Scrive infatti S. Agostino [ De op. monach. 28.36 ]: « Togliete le occasioni di turpi traffici, che compromettono il vostro buon nome e sono di scandalo ai deboli, e mostrate agli uomini che non cercate una vita facile e oziosa, ma che camminate verso il regno di Dio per la via più faticosa ».

In contrario:

S. Gregorio [ Dial. 2,1 ] racconta che S. Benedetto, dopo aver abbandonato la casa e la famiglia, stette per tre anni in una grotta, rifornito dal monaco Romano.

E tuttavia, pur essendo valido al lavoro, non si legge che si guadagnasse da vivere con le sue mani.

Quindi i religiosi possono vivere lecitamente di elemosine.

Dimostrazione:

Ognuno ha diritto a vivere di ciò che gli appartiene, o di ciò che gli è dovuto.

Ora, una cosa diventa di qualcuno per la liberalità di un donatore.

Quindi i religiosi e i chierici i cui monasteri o chiese sono dotati di rendite derivanti dalla munificenza dei principi, o di altri fedeli, che ne assicurano il sostentamento, possono vivere lecitamente di esse, senza attendere al lavoro manuale.

E tuttavia è certo che essi vivono di elemosine.

Parimenti quindi, se ai religiosi vengono dati dai fedeli dei beni mobili, essi possono vivere lecitamente di questi: è stolto infatti affermare che uno può ricevere in elemosina dei grandi possedimenti, e non il pane o un po' di danaro.

- Siccome però questa beneficenza viene fatta ai religiosi perché essi attendano con più libertà agli atti della religione, di cui gli oblatori vogliono essere partecipi, di conseguenza l'uso di detti beni verrebbe a essere illecito se i religiosi desistessero da questi atti di culto: poiché in tal modo verrebbero a frustrare, per quanto dipende da essi, l'attesa dei benefattori.

Inoltre una cosa può essere dovuta a qualcuno per due motivi.

Primo, per la sua necessità, la quale secondo S. Ambrogio [ Serm. 81 su Lc 12,18 ] rende comune ogni cosa.

Perciò i religiosi che sono in necessità possono vivere di elemosina.

E tale necessità può derivare: primo, dall'infermità corporale, che impedisce di provvedersi il vitto con il lavoro manuale.

Secondo, dal fatto che il lavoro manuale non è sufficiente a provvedere il vitto.

Per cui S. Agostino [ De op. monach. 17.20 ] afferma che « ai servi di Dio che lavorano con le loro mani non può mancare l'aiuto dei fedeli, affinché non siano oppressi dall'indigenza a motivo di quelle ore che impiegano nell'attendere all'anima, così da non potersi occupare delle faccende materiali ».

- Terzo, può derivare dalla condizione precedente, che escludeva l'abitudine al lavoro manuale.

Scrive infatti S. Agostino [ De op. monach. 21.24 ]: « Se essi nel secolo avevano abbondantemente ciò con cui sostentare la vita senza lavorare, e una volta convertitisi a Dio l'hanno distribuito ai poveri, la loro debolezza va creduta e tollerata.

Infatti costoro, educati con delicatezza, non sono in grado di reggere al lavoro corporale ».

Secondo, una cosa può essere dovuta a una persona come compenso del bene spirituale o temporale che essa compie; S. Paolo [ 1 Cor 9,11 ] infatti scriveva: « Se abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali ? ».

E sotto questo aspetto i religiosi in quattro casi possono vivere delle elemosine come di cose loro dovute.

Primo, se con l'autorizzazione dei prelati si danno alla predicazione.

Secondo, se sono ministri dell'altare.

Poiché, come dice S. Paolo [ 1 Cor 9,13s ], « quelli che attendono all'altare hanno parte dell'altare.

Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il Vangelo vivano del Vangelo ».

E S. Agostino [ De op. monach. 21.24 ] scrive: « Se predicano il Vangelo, affermo che hanno diritto a vivere delle offerte dei fedeli; e se sono ministri dell'altare e dispensatori dei sacramenti non usurpano questo diritto, ma rivendicano una loro facoltà ».

E questo perché il sacramento dell'altare, ovunque venga amministrato, è un bene comune a tutto il popolo fedele.

- Terzo, se attendono allo studio della Sacra Scrittura a vantaggio di tutta la Chiesa.

Scriveva infatti S. Girolamo [ Contra Vigilant. 13 ]: « È un costume osservato in Giudea fino a oggi non solo presso di noi, ma anche presso gli ebrei, che quanti meditano giorno e notte la legge del Signore, e non hanno sulla terra altro padre che Dio, siano assistiti dalla beneficenza di tutto il mondo. ».

- Quarto, se hanno dato al monastero i beni che avevano, possono vivere delle elemosine che vengono fatte al monastero.

Scrive infatti S. Agostino [ De op. monach. 25.32 ]: « A coloro che dopo aver lasciato o distribuito la loro fortuna, grande o piccola, hanno voluto con pia e salutare umiltà essere annoverati tra i poveri di Cristo, la carità fraterna e i beni della comunità devono assicurare il sostentamento.

Essi sono da lodare se si dedicano al lavoro manuale.

Ma se non si adattano, chi oserebbe costringerli? »

« E neppure si deve badare», aggiunge il Santo, « in quali monasteri o in quale regione uno abbia dato ai poveri ciò che aveva: poiché tutti i cristiani non formano che un solo stato ».

Se invece vi sono dei religiosi che vogliono vivere delle elemosine date ai poveri senza essere in necessità e senza offrire alcun servizio, questo non è ad essi lecito.

Scrive infatti S. Agostino [ De op. monach. 22.25 ]: « Spesso si consacrano al servizio di Dio con la professione religiosa persone che vengono dalla condizione servile, o dalla vita dei campi, o dal mondo operaio, e delle quali non si sa se siano venute col proposito di servire Dio o con quello di fuggire una vita di sacrificio: esse pretendono di mangiare e di vestirsi senza lavorare, e di essere onorate da coloro che le avrebbero potute disprezzare e maltrattare.

Costoro dunque non possono pretendere la dispensa dal lavoro per la debolezza del corpo: poiché la vita precedente li contraddice ».

E poco dopo [ De op. monach. 25.32 ] aggiunge: « Se costoro non vogliono lavorare, non mangino.

Poiché i ricchi non devono umiliarsi affinché i poveri diventino superbi: non è infatti tollerabile che mentre i senatori diventano laboriosi, gli operai si abbandonino all'ozio; e là dove i padroni dei possessi vengono dopo aver abbandonato ogni cosa, i contadini facciano i delicati ».

Analisi delle obiezioni:

1. Quei testi si riferiscono ai momenti di grave necessità, quando altrimenti non è possibile soccorrere i poveri.

Infatti allora i religiosi sono tenuti non solo a desistere dall'accettare le elemosine, ma anche a dare per il sostentamento dei poveri i loro beni, se ne posseggono.

2. Ai prelati la predicazione appartiene d'ufficio, ma ai religiosi può competere per delega.

Se quindi essi lavorano nel campo del Signore possono anche viverne, secondo le parole di S. Paolo [ 2 Tm 2,6 ]: « L'agricoltore che si affatica deve essere il primo a cogliere i frutti della terra »; e la Glossa [ ord. ] commenta: « Si tratta del predicatore, che con la zappa della parola di Dio coltiva i cuori degli ascoltatori ».

Inoltre possono vivere di elemosina anche quelli che servono i predicatori.

Per questo, annotando quel testo di S. Paolo [ Rm 15,27 ]: « Avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali », la Glossa [ interlin. ] spiega: « cioè aiutare i Giudei, i quali da Gerusalemme avevano inviato i predicatori ».

Tuttavia ci sono anche altri motivi, come si è visto [ nel corpo ], per cui si ha il diritto a vivere con le offerte dei fedeli.

3. A parità di condizioni, dare è meglio che ricevere.

Tuttavia dare o abbandonare ogni cosa per amore di Cristo per ricevere quel poco che è indispensabile per vivere, è meglio che dare ogni tanto qualcosa ai poveri, come risulta evidente da quanto abbiamo detto sopra [ q. 186, a. 3, ad 6 ].

4. Può essere occasione di peccato ricevere offerte per arricchire, o ricevere il cibo da altri senza motivo e senza necessità.

Ma questo non è il caso dei religiosi, come si è visto [ nel corpo ].

5. Quando la necessità o il motivo per cui certi religiosi vivono di elemosine senza il lavoro manuale è evidente, non i deboli si scandalizzano, ma i malvagi, alla maniera dei Farisei, del cui scandalo non si deve far caso, come insegna il Signore [ Mt 15,14 ].

Se invece la necessità o il motivo non è evidente, i deboli potrebbero scandalizzarsi: e ciò va evitato.

Ma il medesimo scandalo può insorgere anche per quei religiosi che senza lavorare vivono a carico della comunità.

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