Summa Teologica - III

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Articolo 6 - Se l'incarnazione dovesse essere differita alla fine del mondo

In 3 Sent., d. 1, q. 1, a. 4

Pare che l'incarnazione dovesse essere differita alla fine del mondo.

Infatti:

1. Nei Salmi [ Sal 92,11 Vg ] si legge: « La mia vecchiaia [ sarà ricolma ] di misericordia », e la Glossa [ interlin. ] per vecchiaia intende « gli ultimi tempi ».

Ma il tempo dell'incarnazione è in sommo grado il tempo della misericordia, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 102,14 ]: « È tempo di usarle misericordia ».

L'incarnazione quindi doveva essere differita alla fine del mondo.

2. In una stessa realtà, come si è detto [ a. prec., ad 3 ], la perfezione è posteriore all'imperfezione in ordine di tempo.

Perciò quanto è assolutamente perfetto deve essere temporalmente ultimo.

Ma la suprema perfezione della natura umana si ha nell'unione con il Verbo, poiché « piacque al Padre di fare abitare in Cristo tutta la pienezza della divinità », come dice l'Apostolo [ Col 1,19 ].

L'incarnazione dunque doveva essere rimandata alla fine del mondo.

3. Non conviene fare in due volte ciò che può esser fatto in una volta sola.

Ma alla salvezza della natura umana poteva bastare una sola venuta di Cristo: quella che si avrà alla fine del mondo.

Non era quindi necessario che egli venisse prima con l'incarnazione.

Così questa venuta doveva essere rinviata alla fine del mondo.

In contrario:

Il profeta Abacuc [ Ab 3,2 Vg ] aveva detto: « Nel mezzo degli anni renderai manifesta,o Signore, l'opera tua ».

Quindi il mistero dell'incarnazione, con cui Dio si manifestò al mondo, non doveva essere rimandato alla fine dei tempi.

Dimostrazione:

Come non sarebbe stato opportuno che Dio si fosse incarnato agli inizi del mondo, così non sarebbe stato conveniente che l'incarnazione fosse rimandata alla fine.

Il che risulta evidente innanzitutto in base al fatto stesso dell'unione della natura divina con la natura umana.

Come infatti abbiamo detto [ a. prec., ad 3 ], l'imperfezione precede nel tempo la perfezione in quella realtà che da imperfetta diviene perfetta, ma nel soggetto che è causa efficiente della perfezione il perfetto precede cronologicamente l'imperfetto.

Ora, nell'incarnazione queste due realtà si incontrano.

Poiché in essa la natura umana fu elevata alla suprema perfezione: per cui non conveniva che l'incarnazione avvenisse agli albori del genere umano.

D'altra parte il Verbo incarnato è la causa efficiente della perfezione umana, come si legge nel Vangelo [ Gv 1,16 ]: « Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto »: quindi l'incarnazione non doveva essere procrastinata alla fine del mondo.

Invece la perfezione della gloria a cui deve essere condotta la natura umana dal Verbo incarnato avverrà alla fine del mondo.

Secondo, in base agli effetti della salvezza umana.

Come infatti dice S. Agostino [ Ambrosiaster, De quaest. Vet. et Novi Test. 83 ], « è a discrezione di chi dona scegliere quando e in quale misura fare misericordia.

Perciò [ Dio ] venne quando stimò necessario soccorrere l'uomo e ritenne che la sua opera fosse ben accetta.

Quando infatti un certo languore del genere umano aveva cominciato a cancellare tra gli uomini la conoscenza di Dio e a corrompere i costumi, egli si degnò di chiamare Abramo, perché con lui si avesse l'esempio di un rinnovamento nella religione e nella morale.

E poiché il culto divino era ancora troppo trascurato, diede per mezzo di Mosè la legge scritta.

Avendola però le genti disprezzata con il rifiuto di assoggettarvisi, e non avendola messa in pratica neppure quelli che l'avevano accolta, mosso da misericordia il Signore mandò il suo Figlio perché, concesso a tutti gli uomini il perdono dei peccati, li offrisse santificati a Dio Padre ».

Se però questo rimedio fosse stato rimandato alla fine del mondo, sarebbe sparita del tutto dalla terra la conoscenza di Dio, il suo culto e l'onestà dei costumi.

Terzo, per il fatto che la dilazione non sarebbe stata conveniente a manifestare la potenza di Dio; la quale invece ha così salvato gli uomini in molte maniere: non solo con la fede nel Cristo venturo, ma anche con la fede nel Cristo presente e nel Cristo già venuto.

Analisi delle obiezioni:

1. Quella Glossa parla della misericordia che conduce alla gloria.

Se tuttavia la si vuole riferire alla misericordia dimostrata verso l'umanità con l'incarnazione di Cristo, allora bisognerebbe notare con S. Agostino [ Retract. 1,26 ] che il tempo dell'incarnazione può essere equiparato alla giovinezza dell'umanità « per il vigore e il fervore della fede, operante nella carità », e alla sua vecchiaia o sesta età « per il numero delle epoche, essendo Cristo venuto nella sesta età del genere umano ».

E « sebbene nel corpo la gioventù e la senilità non possano essere contemporanee, lo possono essere però nell'anima: la giovinezza per la prontezza, la vecchiaia per la ponderazione ».

Perciò S. Agostino in un passo [ Lib. LXXXIII quaest. 44 ] afferma che « la venuta dal cielo del Maestro, la cui imitazione doveva portare l'umanità alla perfezione morale, non era conveniente se non nell'età della giovinezza », mentre in un altro passo [ Contra Manich. 1,23 ] dice che Cristo è venuto nella sesta età, ossia nella vecchiaia del genere umano.

2. L'incarnazione va considerata non soltanto come il termine dello sviluppo dall'imperfetto al perfetto, ma anche come la causa della perfezione nella natura umana, secondo le spiegazioni date [ nel corpo ].

3. Rispondiamo con il commento del Crisostomo [ In Ioh. hom. 27 ] alle parole evangeliche [ Gv 3,17 ]: « Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo »: « Due sono le venute di Cristo: la prima per rimettere i peccati, la seconda per giudicare.

Se infatti non avesse fatto così, tutti si sarebbero perduti, poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio ».

È chiaro quindi che egli non doveva rimandare la sua venuta di misericordia alla fine del mondo.

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