Summa Teologica - III

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Articolo 6 - Se la natura umana sia stata unita al Verbo di Dio accidentalmente

In 3 Sent., d. 6, q. 3, a. 2; C. G., IV, cc. 34, 37, 41, 49; De unione, a. 1; Comp. Theol., cc. 203, 209, 210; In Rom., c. 1, lect. 2; In Philipp., c. 2, lect. 2

Pare che la natura umana sia stata unita al Verbo di Dio accidentalmente.

Infatti:

1. Del Figlio di Dio l'Apostolo [ Fil 2,7 ] dice che « fu riconosciuto uomo nell'abito [ habitu ] ».

Ma l'abito è accidentale per colui che lo ha, tanto come predicamento distinto, quanto come specie della qualità.

Quindi la natura umana fu unita al Figlio di Dio accidentalmente.

2. Ciò che un ente acquista dopo aver raggiunto la sua completezza è accidentale: chiamiamo infatti accidente ciò che una cosa può avere e non avere, senza cessare di essere ciò che è.

Ma la natura umana si unì nel tempo al Figlio di Dio, che dall'eternità aveva il suo essere perfetto.

Quindi gli si unì accidentalmente.

3. Ciò che non appartiene alla natura o essenza di una cosa è per essa un accidente, poiché le cose sono o sostanze o accidenti.

Ma la natura umana non appartiene all'essenza o natura divina del Figlio di Dio, non essendosi compiuta l'unione secondo la natura, come si è detto sopra [ a. 1 ].

Quindi la natura umana si deve essere unita al Figlio di Dio accidentalmente.

4. Lo strumento si unisce accidentalmente [ alla causa principale ].

Ma la natura umana era in Cristo lo strumento della divinità, come dice il Damasceno [ De fide orth. 3,15 ].

Quindi la natura umana fu unita accidentalmente al Figlio di Dio.

In contrario:

Gli attributi accidentali non esprimono qualcosa di sostanziale, ma la quantità, le qualità o altre modalità.

Se quindi la natura umana fosse unita a Cristo accidentalmente, dicendo che egli è uomo non gli si attribuirebbe qualcosa di sostanziale, ma una qualità, o una quantità, o qualche altra modalità.

Ora, ciò è contro una decretale del papa Alessandro III [ Decretales 5,7,7 ], il quale dice: « Essendo Cristo perfetto Dio e perfetto uomo, con quale temerarietà alcuni osano affermare che Cristo in quanto uomo non è una realtà sostanziale? ».

Ciò che non appartiene alla natura o essenza di una cosa è per essa un accidente, poiché le cose sono o sostanze o accidenti.

Ma la natura umana non appartiene all'essenza o natura divina del Figlio di Dio, non essendosi compiuta l'unione secondo la natura, come si è detto sopra [ a. 1 ].

Quindi la natura umana si deve essere unita al Figlio di Dio accidentalmente.

Dimostrazione:

Per risolvere il problema si deve ricordare che riguardo al mistero dell'unione delle due nature in Cristo sono sorte due eresie.

Una è quella di coloro che confondevano le nature, come Eutiche e Dioscoro, i quali ritenevano che da due nature se ne fosse costituita una sola: per cui Cristo sarebbe composto « di due nature », distinte prima dell'unione, ma non sarebbe « in due nature »; come se dopo l'unione la distinzione delle nature fosse cessata.

L'altra fu invece l'eresia di Nestorio e di Teodoro di Mopsuestia, i quali separavano le persone.

Altra, essi dicevano, è la persona del Figlio di Dio, e altra quella del figlio dell'uomo.

E dicevano che le persone sarebbero unite in questo modo:

primo, « secondo l'inabitazione », in quanto cioè il Verbo di Dio abitava in quell'uomo come in un tempio;

secondo, « mediante un'unione affettiva », in quanto cioè la volontà di tale uomo era sempre conforme alla volontà di Dio;

terzo, « secondo le operazioni », in quanto cioè quell'uomo sarebbe stato lo strumento del Verbo di Dio;

quarto, « secondo la dignità dell'onore »: inquantoché ogni onore che viene reso al Figlio di Dio risulta comunicato al figlio dell'uomo per la sua unione con il Figlio di Dio;

quinto, « secondo la trasposizione dei nomi », in quanto cioè affermiamo che quell'uomo è Dio e Figlio di Dio.

Ora, è chiaro che tutti questi modi comportano un'unione accidentale.

In queste eresie sono poi caduti per ignoranza alcuni maestri posteriori, pur nel tentativo di evitarle.

Alcuni di essi infatti ammettevano una sola persona in Cristo, ma due ipostasi o due suppositi, dicendo che un certo uomo, composto di anima e di corpo, fu assunto dal Verbo di Dio fin dal primo momento della sua concezione.

E questa è la prima sentenza che il Maestro pone nella sesta distinzione del Terzo Libro delle Sentenze.

- Altri invece, volendo salvare l'unità della persona, dicevano che l'anima di Cristo non era unita al suo corpo, ma che queste due parti, separate l'una dall'altra, si trovavano unite accidentalmente al Verbo, così da non moltiplicare le persone.

E questa è la terza sentenza che riferisce il Maestro [ ib. ].

Ma tutte e due queste opinioni cadono nell'eresia di Nestorio.

La prima perché ammettere in Cristo due ipostasi o due suppositi è lo stesso che ammettere due persone, come si è detto sopra [ a. 3 ].

E se si volesse far forza sul termine persona, si deve ricordare che anche Nestorio parlava di unità della persona nel senso di unità nella dignità e nell'onore.

Per cui il Quinto Concilio [ Constant. II, 8,5 ] scomunica chi parla di « una sola persona secondo la dignità, l'onore e l'adorazione, come vaneggiando scrissero Teodoro e Nestorio ».

- L'altra opinione poi cade nell'errore di Nestorio in quanto ammette un'unione accidentale.

Non c'è infatti differenza fra il dire con Nestorio che il Verbo di Dio si unì all'uomo Cristo abitando in lui come in un suo tempio, e dire con la terza sentenza che il Verbo si unì all'uomo rivestendosene come di un indumento.

Anzi, tale opinione dice qualcosa di peggio di Nestorio, affermando che l'anima e il corpo non sarebbero uniti.

La fede cattolica dunque, tenendo la via di mezzo fra le suddette posizioni, non dice né che l'unione di Dio e dell'uomo è avvenuta nell'essenza o natura, né che è avvenuta in un modo accidentale, ma che è avvenuta in un modo intermedio, secondo la sussistenza o ipostasi.

Perciò nel Quinto Concilio [ ib., can. 4 ] si legge: « Nella molteplicità dei sensi in cui si intende l'unità, coloro che seguono l'eresia di Apollinare e di Eutiche, volendo la distruzione delle realtà che si unirono insieme » ( cioè sopprimendo ambedue le nature ), « parlano di unità di mescolanza; invece i seguaci di Teodoro e di Nestorio, parteggiando per la divisione, inventano l'unità affettiva; al contrario la Chiesa santa di Dio, respingendo l'una e l'altra eresia, professa l'unione del Verbo di Dio con la carne per composizione, cioè secondo la sussistenza ».

Così dunque risulta chiaro che la seconda delle tre opinioni esposte dal Maestro, quella che ammette una sola ipostasi nell'uomo-Dio, non va considerata un'opinione, ma è la sentenza della fede cattolica.

Al contrario la prima opinione, che ammette due ipostasi, e la terza, che sostiene un'unione accidentale, non vanno considerate opinioni, ma eresie condannate dalla Chiesa.

Analisi delle obiezioni:

1. Come dice il Damasceno [ De fide orth. 3,26 ], « non è necessario che gli esempi si adattino alla perfezione, altrimenti si ha l'identità e non la somiglianza.

Soprattutto poi nelle cose di Dio: è infatti impossibile trovare tali esempi, « sia nella Teologia », a proposito cioè della divinità delle Persone, « sia nell'Economia » redentiva, cioè riguardo al mistero dell'incarnazione.

La natura umana dunque è paragonata in Cristo a un abito, cioè a un vestito, non certo quanto all'unione accidentale, ma perché il Verbo è reso visibile dalla natura umana come l'uomo dal vestito.

E anche perché, come nel confezionare un vestito su misura è la stoffa che subisce delle modifiche e non chi indossa il vestito, così la natura umana assunta dal Verbo è stata nobilitata mentre il Verbo non si è mutato, come nota S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 73 ].

2. Ciò che sopravviene a un ente già completo è accidentale, a meno che non venga tratto alla comunione di quell'essere completo.

Come nella risurrezione il corpo si unirà all'anima preesistente, ma non in maniera accidentale: poiché gli verrà comunicato l'essere dell'anima stessa, facendo sì che riceva la vita dall'anima.

Ciò invece non accade per la bianchezza, poiché il suo essere è diverso da quello dell'uomo che la riceve.

Ora, il Verbo di Dio aveva il suo essere completo come ipostasi o persona da tutta l'eternità, ma nel tempo gli si è aggiunta la natura umana, la quale è stata assunta dal Verbo a condividere l'essere non quanto alla sua natura, come il corpo riceve l'essere dell'anima, ma quanto all'ipostasi o persona.

Perciò la natura umana non è unita al Figlio di Dio in modo accidentale.

3. L'accidente si contrappone alla sostanza.

Ma la sostanza ha un doppio significato, come risulta da Aristotele [ Met. 5,8 ]: quello di essenza o natura e quello di supposito o ipostasi.

Per non avere quindi un'unione accidentale basta che l'unione sia avvenuta nell'ipostasi, sebbene non sia avvenuta nella natura.

4. Lo strumento come tale, p. es. la scure o la spada, non è una parte dell'ipostasi di chi lo adopera; nulla però ci impedisce di adoperare quali strumenti anche delle parti della nostra ipostasi, come il corpo umano o le sue membra.

Nestorio invece diceva che la natura umana fu assunta dal Verbo soltanto come strumento, e non nell'unità dell'ipostasi.

Perciò non ammetteva che quell'uomo fosse veramente il Figlio di Dio, ma solo un suo strumento.

Per cui S. Cirillo [ Epist. 1 ] asserisce: « La Scrittura presenta l'Emanuele », cioè il Cristo, « non come un uomo preso a strumento, ma come Dio veramente umanato », cioè fatto uomo.

Quanto poi al Damasceno, egli affermò che la natura umana è in Cristo come uno strumento congiunto ipostaticamente [ al Verbo ].

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