Summa Teologica - III |
Infra, a. 4; In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 3, sol. 2; De Verit., q. 20, a. 3, ad 1
Pare che l'anima di Cristo non potesse fare uso della scienza infusa senza ricorrere ai fantasmi.
1. I fantasmi stanno all'anima intellettiva come i colori alla vista, dice Aristotele [ De anima 3,7 ].
Ma la vista di Cristo non poteva esercitarsi senza l'aiuto dei colori.
Quindi neppure la sua anima intellettiva poteva intendere senza il ricorso ai fantasmi.
2. L'anima di Cristo è della medesima natura delle nostre anime, altrimenti egli non sarebbe della nostra specie, contro l'affermazione dell'Apostolo [ Fil 2,7 ] che « egli divenne simile agli uomini ».
Ma la nostra anima non può intendere se non rivolgendosi ai fantasmi.
Quindi neppure l'anima di Cristo.
3. I sensi sono stati dati all'uomo perché servano all'intelligenza.
Se dunque l'anima di Cristo poteva conoscere senza il ricorso ai fantasmi che derivano dai sensi, questi sarebbero stati inutili nell'anima di Cristo: il che è inammissibile.
Perciò l'anima di Cristo non poteva conoscere se non ricorrendo ai fantasmi.
L'anima di Cristo conosceva alcune cose che non possono essere conosciute per mezzo dei fantasmi, cioè le sostanze separate.
Quindi poteva conoscere senza ricorrere ai fantasmi.
Prima della morte Cristo era insieme viatore e comprensore, come spiegheremo meglio in seguito [ q. 15, a. 10 ].
E aveva le condizioni del viatore specialmente nel corpo passibile, le condizioni invece del comprensore particolarmente nell'anima intellettiva.
Ora, l'anima del comprensore si trova nella condizione di non essere soggetta al corpo in alcun modo, di non dipendere da esso e di comandarlo a suo piacere, per cui dopo la risurrezione la gloria dell'anima ridonderà anche nel corpo.
Invece l'anima dell'uomo viatore ha bisogno di volgersi ai fantasmi per il fatto che risulta legata al corpo, e in qualche modo ad esso soggetta e da esso condizionata.
Perciò le anime beate prima e dopo la risurrezione possono conoscere senza servirsi dei fantasmi.
Altrettanto quindi bisogna dire dell'anima di Cristo, che aveva perfettamente la facoltà del comprensore.
1. Il paragone fatto dal Filosofo non vale in senso assoluto.
È infatti chiaro che il fine della vista è di conoscere i colori, mentre il fine dell'intelligenza non è di conoscere i fantasmi, bensì le specie intelligibili che essa apprende dai fantasmi e nei fantasmi nel corso della vita presente.
C'è dunque somiglianza nel senso che i colori e i fantasmi cadono sotto l'una e l'altra facoltà, ma non nel senso che siano anche il termine dell'una e dell'altra.
Ora, nulla impedisce che una certa cosa, trovandosi in stati diversi, possa perseguire il suo fine in modi diversi: il suo fine proprio rimane comunque identico.
Mentre quindi la vista non può conoscere nulla senza i colori, l'intelletto in qualche stato può conoscere senza i fantasmi; non però senza le specie intelligibili.
2. Sebbene l'anima di Cristo fosse della stessa natura delle nostre anime, era tuttavia in uno stato, quello dei contemplanti, che le nostre anime ora non hanno in atto, ma solo nella speranza.
3. L'anima di Cristo, pur potendo intendere senza rivolgersi ai fantasmi, aveva però la possibilità di servirsene.
Quindi i sensi in lui non erano inutili; tanto più che essi sono dati all'uomo non solo per la conoscenza intellettiva, ma anche per le necessità materiali della vita.
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