Summa Teologica - III

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Articolo 1 - Se con la scienza infusa Cristo abbia conosciuto tutte le cose

Infra, q. 12, a. 1; In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 3, sol. 1; De Verit., q. 20, a. 6; Comp. Theol., c. 216

Pare che con la scienza infusa Cristo non abbia conosciuto tutte le cose.

Infatti:

1. Questa scienza fu data a Cristo per attuare le facoltà del suo intelletto.

Ma l'intelletto possibile dell'anima umana non è in potenza in senso assoluto a tutte le cose, bensì soltanto a quelle rispetto a cui può essere attuato dall'intelletto agente, che è il suo proprio principio attivo: e queste sono le verità conoscibili dalla ragione naturale.

Quindi con la scienza infusa Cristo non conosceva le cose che superano la ragione naturale.

2. I fantasmi stanno all'intelligenza umana come i colori alla vista, secondo Aristotele [ De anima 3,7 ].

Ma per la perfezione della vista non si richiede la conoscenza delle cose totalmente prive di colore.

Perciò neppure per la perfezione dell'intelligenza umana si richiede la conoscenza delle cose di cui non si può avere il fantasma, come sono le sostanze separate.

Quindi, esistendo la scienza infusa in Cristo in vista della perfezione della sua anima intellettiva, pare che con tale scienza egli non conoscesse le sostanze separate.

3. Alla perfezione dell'intelligenza non serve conoscere i singolari.

Quindi con la scienza infusa l'anima di Cristo non conosceva i singolari.

In contrario:

Isaia [ Is 11,2s ] afferma che « lo riempirà lo Spirito di sapienza e di intelligenza, di scienza e di consiglio », nei quali termini sono compresi tutti gli oggetti conoscibili. Infatti la sapienza riguarda la conoscenza di tutte le realtà divine, l'intelligenza la conoscenza di tutte le realtà spirituali, la scienza la conoscenza di tutte le conclusioni, il consiglio la conoscenza di tutte le cose da fare.

Quindi Cristo con la scienza infusagli dallo Spirito Santo aveva la conoscenza di tutte le cose.

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ q. 9, a. 1 ], era conveniente che Cristo avesse un'anima assolutamente perfetta mediante l'attuazione di ogni sua potenzialità.

Ma nell'anima umana, come in ogni creatura, c'è una duplice potenza passiva: una attuabile dagli agenti naturali, l'altra attuabile dal primo agente, il quale può portare qualsiasi creatura ad azioni superiori a quelle a cui essa è portata dagli agenti naturali: e questa potenza nella creatura prende il nome di « potenza obedienziale ».

Ora, ambedue le potenzialità dell'anima di Cristo furono attuate dalla scienza infusa in essa da Dio.

Perciò con tale scienza l'anima di Cristo conobbe in primo luogo tutte le cose che l'uomo può conoscere con il lume dell'intelletto agente, quali sono tutte le verità delle scienze umane.

In secondo luogo poi con la medesima scienza Cristo conobbe tutte le cose che sono note agli uomini per rivelazione divina: o mediante il dono della sapienza, o mediante quello della profezia, o mediante qualunque altro dono dello Spirito Santo.

Infatti tutte queste cose l'anima di Cristo le conosceva più e meglio di tutti gli altri.

L'essenza di Dio invece non la conosceva con la scienza infusa, ma solo con la scienza beata, di cui si è già parlato [ q. prec. ].

Analisi delle obiezioni:

1. L'argomento vale per l'attività naturale dell'anima intellettiva, quella cioè che si svolge per opera dell'agente naturale, che è l'intelletto agente.

2. Nello stato della vita presente l'anima umana, essendo in certo qual modo legata al corpo, così da non poter intendere senza l'aiuto dei fantasmi, non può conoscere le sostanze separate.

Ma dopo questa vita l'anima separata potrà conoscere in qualche modo direttamente le sostanze separate, come si è detto nella Prima Parte [ q. 89, a. 2 ].

E ciò vale principalmente per le anime dei beati.

Ora, Cristo prima della morte non era soltanto viatore, ma anche comprensore.

Perciò la sua anima poteva conoscere le sostanze separate nel modo in cui le conosce l'anima separata.

3. La conoscenza dei singolari non rientra nella perfezione della scienza speculativa dell'anima, ma rientra nella perfezione della scienza pratica, che non viene raggiunta senza la conoscenza dei singolari, nell'ambito dei quali si svolgono le nostre attività, come nota Aristotele [ Ethic. 6,7 ].

Per cui alla prudenza occorre « la memoria delle cose passate, la conoscenza delle presenti, la previsione delle future », come scrive Cicerone [ De invent. 2,53 ].

Poiché dunque Cristo grazie al dono del consiglio aveva la pienezza della prudenza, egli conosceva tutti i singolari passati, presenti e futuri.

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