Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 17, q. 1, a. 3, sol. 3; Comp. Theol., c. 233
Pare che Cristo possa pregare con la sua sensualità [ cioè con il suo appetito sensitivo ].
1. In nome di Cristo il Salmista [ Sal 84,3 ] così si esprime: « Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente ».
Ma la sensualità è l'appetito della carne.
Quindi la sensibilità o sensualità di Cristo poteva elevarsi al Dio vivo con esultanza, e quindi pregare.
2. Può pregare chi può desiderare ciò che chiede.
Ma Cristo chiedeva qualcosa che la sua sensualità desiderava, implorando [ Mt 26,39 ]: « Passi da me questo calice ».
Quindi la sensualità di Cristo pregava.
3. Essere unito ipostaticamente a Dio è più che elevarsi a lui con la preghiera.
Ma la sensualità fu assunta ipostaticamente da Dio, come anche le altre parti della natura umana.
Quindi molto più poteva elevarsi a Dio con la preghiera.
S. Paolo [ Fil 2,7 ] dice che il Figlio di Dio secondo la natura assunta « è divenuto simile agli uomini ».
Ma gli altri uomini non pregano con la loro sensualità.
Quindi neppure Cristo.
Pregare con la sensualità, o appetito sensitivo, può essere inteso in due modi.
Primo, nel senso che la preghiera sia un atto delle facoltà sensitive.
E in questo senso Cristo non pregava con la sua sensualità.
Poiché questa aveva la stessa natura specifica della nostra.
Ora, in noi essa non è capace di pregare, per due ragioni.
Primo, perché il moto della sensualità non può trascendere le realtà sensibili, e quindi non può elevarsi a Dio, come invece richiede la preghiera.
- Secondo, poiché la preghiera implica un coordinamento, in quanto uno desidera qualcosa come realizzabile da Dio, e tale coordinamento è proprio della ragione.
Per cui la preghiera è un atto della ragione, come si è spiegato nella Seconda Parte [ II-II, q. 83, a. 1 ].
Secondo, pregare con la sensualità può essere inteso nel senso che la ragione sottoponga a Dio nella preghiera ciò che la sensualità desidera.
E in questo senso Cristo pregava con la sua sensualità, in quanto la sua preghiera, quasi facendosi avvocata della sensualità, ne interpretava gli affetti.
E questo per darci un triplice insegnamento.
Primo, per dimostrare che egli aveva assunto una vera natura umana con tutte le affezioni naturali.
Secondo, per mostrare che è lecito avere secondo gli affetti naturali delle tendenze contrarie a ciò che Dio vuole.
Terzo, per mostrare che l'uomo deve sottomettere la propria sensualità alla volontà divina.
Per cui S. Agostino [ Enarr. in Ps. 32,1 ] scrive: « Cristo vivendo da uomo manifesta la sua personale volontà umana con le parole: "Passi da me questo calice".
Si trattava infatti di una volontà umana con un suo desiderio particolare.
Ma poiché egli vuole che l'uomo sia retto e tenda a Dio soggiunge: "Però non come voglio io, ma come vuoi tu", quasi dicesse: "Specchiati in me: poiché tu puoi volere per te una cosa anche quando Dio ne vuole un'altra" ».
1. La carne esulta nel Dio vivente non con un atto della carne ascendente a Dio, ma per una ridondanza dal cuore alla carne, nel senso che l'appetito sensitivo segue il moto dell'appetito razionale.
2. Sebbene la sensualità volesse ciò che la ragione domandava, chiederlo però con la preghiera non competeva alla sensualità, ma alla ragione, come si è detto [ nel corpo ].
3. L'unione ipostatica è l'unione nell'essere personale che si comunica a ciascuna parte della natura umana. Invece l'elevazione della preghiera è un atto che può compiere soltanto la ragione, come si è detto [ ib. ].
Per cui il paragone non regge.
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