Summa Teologica - III |
Infra, q. 66, a. 9; q. 82, a. 8; In 4 Sent., d. 4, q. 1, a. 3, sol. 4; In Rom., c. 7, lect. 1
Pare che il carattere non rimanga nell'anima in maniera indelebile.
1. Un accidente più è nobile, più è duraturo.
Ma la grazia è più nobile del carattere, poiché il carattere è ordinato alla grazia come a un fine superiore.
Ora, la grazia può essere perduta con il peccato.
Tanto più dunque il carattere.
2. Il carattere è un'iniziazione dell'uomo al culto divino, come si è spiegato [ aa. prec. ].
Ma alcuni dal culto divino passano al culto contrario, con l'apostasia dalla fede.
Costoro quindi perdono il carattere sacramentale.
3. Cessando il fine deve cessare anche ciò che era ordinato al fine, poiché non avrebbe più scopo: come dopo la risurrezione finale non ci sarà più il matrimonio, poiché non ci sarà più la generazione, che è il fine del matrimonio.
Ma il culto esterno a cui è ordinato il carattere verrà a cessare nella Patria, dove il simbolo o figura lascerà il posto alla nuda verità.
E così il carattere sacramentale non rimane per sempre nell'anima.
Quindi non è indelebile.
S. Agostino [ Contra Parmen. 2,13.27 ] osserva che « i sacramenti cristiani non lasciano minore traccia del carattere militare impresso sul corpo ».
Ma il carattere militare non viene rinnovato, bensì « riconosciuto e approvato » in colui che ottiene dall'imperatore il perdono dopo la colpa.
Perciò neppure il carattere sacramentale può essere cancellato.
Come si è detto sopra [ a. 3 ], il carattere sacramentale è una partecipazione del sacerdozio di Cristo concessa ai suoi fedeli: come Cristo infatti ha la piena potestà del sacerdozio spirituale, così i suoi fedeli si configurano a lui partecipando in qualche misura i poteri spirituali relativi ai sacramenti e alle altre funzioni del culto divino.
Ed è anche per questo che a Cristo non si attribuisce il carattere, ma i poteri del suo sacerdozio stanno al carattere come un tutto perfetto sta alla sua partecipazione.
Ora, il sacerdozio di Cristo è eterno, secondo le parole del Salmo [ Sal 110,4 ]: « Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech ».
Per questo dunque ogni consacrazione che viene fatta in virtù del suo sacerdozio, finché dura la realtà consacrata, è permanente.
E ciò avviene anche nelle realtà inanimate: infatti la consacrazione di una chiesa o di un altare dura sempre, se essi non vengono distrutti.
Ora, poiché il soggetto del carattere, come si è visto [ a. 4, ad 3 ], è la parte intellettiva dell'anima in cui risiede la fede, è evidente che, essendo l'intelletto perpetuo e incorruttibile, anche il carattere rimane nell'anima in maniera indelebile.
1. La grazia e il carattere risiedono nell'anima in maniera diversa.
Infatti la grazia è nell'anima come una forma dotata di intrinseca completezza, mentre il carattere vi risiede secondo il modo di una virtù strumentale, come si è detto [ a. 2 ].
Ora, una forma completa risiede nel suo soggetto partecipandone le condizioni.
Poiché dunque l'anima, fintanto che si trova nello stato di via, è mutevole nel suo libero arbitrio, ne segue che la grazia si trova nell'anima in modo mutevole.
Al contrario la virtù strumentale segue le condizioni dell'agente principale.
E così il carattere rimane nell'anima indelebilmente, non per la sua perfezione, ma per la perfezione del sacerdozio di Cristo, da cui deriva a modo di virtù strumentale.
2. S. Agostino [ l. cit. nel s. c. ] risponde che « neppure gli apostati vengono a perdere il battesimo: infatti quando si pentono non lo ricevono una seconda volta, dal che si deduce che esso è indelebile ».
E la ragione di ciò sta nel fatto che il carattere è una virtù strumentale, come si è detto [ ad 1 ]; ora, l'essenza dello strumento consiste nell'essere mosso da altri, e non nel muoversi da se stesso, il che appartiene alla volontà.
Quindi, per quanto la volontà compia atti contrari, il carattere non viene cancellato, data l'immutabilità dell'agente principale.
3. Sebbene dopo questa vita non rimanga il culto esterno, rimane tuttavia il fine di tale culto.
Quindi resta il carattere: nei buoni a loro gloria e nei cattivi a loro ignominia; come anche nei soldati il carattere militare rimane dopo la vittoria: nei vincitori come titolo di gloria e nei vinti come pena.
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